Da qualunque parte la si guardi, la questione alta velocità Torino-Lione appare come un nodo intricato, difficile da sciogliere. Da una parte c’è un territorio, la valle di Susa, e c’è una popolazione di circa 80 mila persone che proprio non vuole la nuova linea ferroviaria con il megatunnel di 53 km. sotto il Moncenisio. I motivi sono noti, anche se per troppo tempo sottovalutati: attraversamento di una valle già pesantemente interessata da infrastrutture (la più recente è l’autostrada del Frejus ma ci sono anche due statali, la linea ferroviaria "storica" e un elettrodotto); inquinamento acustico in zone che verrebbero interessate dal passaggio di oltre 400 treni al giorno; scavo di gallerie in montagne contenenti notevoli quantità di amianto. Dall’altra parte c’è il "resto del mondo": l’Unione europea, i governi di Italia e Francia, la Regione Piemonte, la Provincia e il Comune di Torino. Che invece insistono nel dire che «la Torino-Lione è strategica, è un’opera essenziale per lo sviluppo del Paese». Un braccio di ferro che, in teoria, non dovrebbe avere storia. La Valle di Susa vista sulla cartina geografica del cosiddetto "corridoio 5", che nelle ambizioni dei proponenti dovrebbe collegare attraverso un concatenarsi di linee ferroviarie, Barcellona a Kiev, è solo un piccolo, in apparenza insignificante, segmento. Ma questa piccola ruga sulla geografia dell’Europa e dell’Italia, in questi giorni, si è fatta sentire. Ponendosi come autentica pietra di inciampo sul cammino dell’alta velocità-capacità. La cronaca dei fatti è nota. Lunedì 31 ottobre, giorno annunciato per l’avvio dei sondaggi preliminari alla costruzione dell’opera, sui monti di Mompantero (piccolo centro ai piedi del Rocciamelone) centinaia di manifestanti, con in testa sindaci e presidenti delle Comunità montane, si sono opposti all’avvio dei lavori, in un drammatico muro contro muro con le forze dell’ordine, oltre mille tra poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa. Un faccia a faccia durato tutto il giorno, che impediva ai tecnici di Ltf (Lyon-Turin-Ferroviaire, società costituita tra le ferrovie italiane e francesi per progettare la tratta internazionale dell’opera), di raggiungere i siti dei sondaggi. Problema "risolto" nella notte con un blitz delle forze dell’ordine che avrebbe consentito di delimitare le aree interessate. Un atto che ha scatenato le proteste, il giorno successivo (1° novembre), con ripetuti blocchi ferroviari e stradali lungo la valle, da Bruzolo, a Borgone, a Condove, a Sant’Ambrogio, ad Avigliana. Momenti di tensione si sono ripetuti nei giorni successivi. Fino al ritrovamento, nel pomeriggio di sabato 5 novembre, di un pacco bomba sulla statale 25, tra Susa e Giaglione: all'interno un candelotto con 200 grammi di esplosivo da cava, una videocassetta e una miccia. Immediata la presa di distanze da parte degli enti locali valsusini: «E' un fatto molto grave», - ha commentato Antonio Ferrentino, presidente della Comunità Bassa valle di Susa, che capeggia il movimento contro la linea ad alta velocità, «come amministratori pubblici abbiamo già chiesto un incontro alla Procura di Torino per esaminare la situazione. Le vittime di questi gesti sono le popolazioni valsusine. Bisognerà dare risposte forti per prendere le distanze'». Risposte che non sono tardate ad arrivare. Nella stessa sera di sabato, 15 mila persone si davano l’appuntamento a Susa per manifestare «contro il terrorismo e contro l’alta velocità». Una fiaccolata cui prendevano parte sindaci ma anche tante persone comuni: anziani, giovani, famiglie. Nella serata di domenica 6 e nella mattinata di lunedì 7 l’altra novità, questa volta attesa: 70 persone denunciate dalla Digos e 30 dai carabinieri. Si tratta di sindaci della Val di Susa, rappresentanti delle istituzioni locali e persone che a vario titolo sarebbero coinvolte negli incidenti a Mompantero durante le manifestazioni contro l’alta velocità. Varie le ipotesi di reato formulate: inosservanza dei provvedimenti dell’autorità di pubblica sicurezza, manifestazione non preavvertita, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, blocco stradale. Fra i denunciati ci sarebbero il presidente del Consiglio provinciale di Torino, Sergio Vallero; Antonio Ferrentino, presidente della Comunità montana bassa Valle di Susa, Mauro Carena, presidente della Comunità Alta Valle di Susa, e i sindaci di Condove, Barbara Debernardi, e di Chianocco, Mario Russo, oltre a numerosi assessori comunali e due vigili urbani. Ma le denunce non frenano la protesta valsusina. Che proseguirà mercoledì 16 novembre, con uno sciopero generale della valle di Susa. Un appuntamento voluto dai delegati sindacali delle fabbriche valsusine, dai sindaci e dai comitati anti-Tav. «Non dobbiamo sprecare questo momento nel quale, finalmente, dopo tanti anni, l’attenzione dei mass media si è concentrata sulla Valle di Susa», commentano gli organizzatori. In attesa del 16, vengono annunciate assemblee nei luoghi di lavoro, sit in davanti alla sede Rai di Torino, presenze di fronte alle sedi istituzionali di Regione, Provincia, Comune di Torino ma anche davanti alla Curia di Torino e a quella di Susa con distribuzione di volantini. Mentre nei paesi si succedono affollate assemblee pubbliche. Il dilemma su come uscire dal braccio di ferro valsusino rimane. Sembra difficile riavviare il dialogo tra posizioni radicalmente contrapposte: il "no tav" della valle e il "sì tav" di tutti gli altri. E la valle di Susa, oggi più che mai, è una questione nazionale. Bruno Andolfatto