Sulla tomba bigliettini, pupazzi, ciondoli. E un libro raccoglie i messaggi dei fan
SAN GIORGIO A CREMANO (Napoli) - Un messaggio scritto sul biglietto del treno, l’impronta di due labbra tinte di rossetto stampata su un tovagliolino di carta, un pupazzetto di pelouche azzurro e poesie, cartoline, lettere e ancora pupazzi, ciondoli, anelli e parole, parole, parole zavorrate da un amore che, dieci anni dopo la sua morte, continua a trattenere Massimo Troisi sulla terra. Una terra che può essere questo cantuccio di cimitero, dove riposa nella tomba di famiglia, o un altro dei tanti angoli del mondo dai quali sono piovuti i ricordi raccolti adesso nel libro «Come un cesto di viole» (i cui proventi saranno devoluti all’associazione Italia Solidale che si occupa di adozioni a distanza), scritto da sua sorella Rosaria e curato da Paola Amadesi per la Alberto Perdisa Editore.
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I successi di Massimo Troisi clicca su una foto
Si tratta, in gran parte, di testimonianze che recano in calce nomi
sconosciuti, persone che hanno conosciuto Massimo soltanto attraverso i suoi film e che tuttavia conservano nel cuore una traccia indelebile di quegli istanti: una sequenza che sembra modellata sulla tua vita, la scena che d’improvviso dà voce a qualcosa che prima se ne stava in silenzio dentro te, un timido sorriso che cancella volgari stereotipi, uno sguardo sbilenco sul mondo...
Non a caso, chiunque abbia amato e ami Troisi custodisce gelosamente quella che considera la sua battuta, quasi fosse stata scritta per lui e basta. Forse perché, come scrive Roberto Vecchioni nella prefazione al libro, la comicità di Massimo non era «un’ascesi alla felicità, che è vetta invisibile e irraggiungibile, ma una rincorsa ad una sorta di "contentezza spirituale", un riaggiustare e rappezzare un mondo incontrollabile con l’arma dello sberleffo, dell’ironia colta e tagliente, con l’ingenuità e lo stupore di un candido "popolare" (non voltairiano) che "non si fa capace" che gli uomini e la vita non siano come devono essere».
Nessuna sorpresa, allora, se perfino Rosaria Troisi confessa che un film, più di ogni altro, le ha graffiato il cuore. «Sì, amo particolarmente "Che ora è", diretto da Ettore Scola, dove Massimo recitava la parte del figlio di Marcello Mastroianni - racconta -. Tutta la trama ruota intorno a un orologio da ferroviere uguale a quello che aveva nostro padre e che lui trattava come un oggetto preziosissimo. In quella storia, balena l’anima segreta di mio fratello, la malinconia, la determinazione e l’ironia dolente che l’hanno sempre accompagnato. Gli innumerevoli messaggi lasciati in questi anni sulla sua tomba, e gli altri che ci sono stati recapitati a casa, dimostrano che Massimo parlava al cuore della gente».
Sfogliando le pagine del libro, infatti, t’accorgi che quegli scritti non appartengono al popolo nomade dei fan, capace di saltabeccare da un idolo all’altro seguendo il vento mutevole delle mode. Sono lettere indirizzate a un amico lontano, che è andato via ma chissà dove si nasconde: qualcuno gli scrive da Empoli, qualcuno da Venezia, tanti da Napoli e altri dalla Svezia, dagli Stati Uniti, dalla Germania. «Il custode del camposanto mi ha confidato che una volta s’è ritrovato dinanzi un giapponese, arrivato fin qui soltanto per pregare sulla tomba di Massimo - dice Rosaria -. E’ come se le persone che l’hanno amato volessero trattenerlo accanto a loro, impedirgli di scomparire. Nessuno sente di averlo perso definitivamente. E forse anche per questo ne parlano al presente, quasi fosse ancora vivo. Ho intitolato il libro "Come un cesto di viole" proprio perché nel linguaggio dei fiori le viole dicono "non ti scordar di me" con la stessa voce di questi messaggi».
Cercare di capire cosa sollevi l’onda lunga di un amore, è impresa vana. Ognuno ha una sua spiegazione. «Massimo è stato l’esempio di un modo d’essere napoletani che dovrebbe essere tenuto a modello da chiunque, nato sotto il Vesuvio, abbia intelligenza e sensibilità», sottolinea il giornalista Mimmo Liguoro. «Ci sentiamo sempre più orfani in una società depauperata delle espressioni più genuine. Non ci rimane che il culto del rimpianto e del ricordo», commenta l’ex presidente della Camera, Giorgio Napolitano.
«Io non mi faccio queste domande - mormora Rosaria Troisi - Quello dei grandi artisti è un fascino segreto e tale deve rimanere». Ma forse quel segreto, che era poi l’essenza della sua anima, si svela in un biglietto scritto da Massimo nel 1977, durante gli anni di piombo, alla nipotina appena nata: «A Lynda, per il coraggio dimostrato aggregandosi agli umani in un periodo tanto difficile. Ciao e auguroni».
Enzo d’Errico