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General: 2 Giugno 2010
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Respuesta  Mensaje 1 de 16 en el tema 
De: ♥♫moon♫♥  (Mensaje original) Enviado: 02/06/2010 00:56
 


           

Il 2 giugno 1946 gli italiani furono chiamati alle urne per scegliere attraverso un referendum la nuova forma istituzionale dello Stato, cioè per decidere con il voto se l'Italia doveva continuare ad essere una Monarchia oppure diventare una Repubblica. Nello stesso giorno vennero indette le elezioni per l'Assemblea Costituente, incaricata di elaborare la nuova Carta Costituzionale, in sostituzione del vecchio Statuto Albertino, rimasto pressochè immutato dal 1848. Per la prima volta nella storia italiana si vota a suffragio universale maschile e femminile. Prima di allora, infatti, le donne non avevano avuto diritto al voto.

La monarchia sabauda, che regnava sul Paese dall’Unità d’Italia, era ormai invisa alla maggioranza degli italiani, che le attribuivano la colpa di aver facilitato l’instaurazione della dittatura fascista e di non essersi opposta alle leggi razziali e alla dichiarazione di una guerra che aveva devastato il paese. Infatti nel 1922, in occasione della Marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III aveva rifiutato di decretare lo stato d'assedio suggerito e predisposto dal primo ministro Luigi Facta e aveva designato Benito Mussolini come primo ministro, dando quindi la sua benedizione e il suo appoggio al regime fascista.

Così i cittadini italiani si erano trovati sotto il tallone di ben due poteri: quello del re e quello di un dittatore e questo aveva reso più scompensata la condizione di equilibrio fra i cittadini e le istituzioni, ormai lontanissime da qualsiasi principio democratico. La rappresentanza politica infatti era stata azzerata e la Camera dei deputati era stata mutata in Camera delle corporazioni e completamente esautorata. Il re non fece da parte sua mai niente per opporsi al regime fascista.

Ma quando si accorse che la guerra a fianco della Germania ormai volgeva al peggio, cinicamente scaricò su Mussolini tutte le colpe e in accordo con parte dei gerarchi fascisti, gli revocò il mandato e lo fece arrestare, affidando il governo al maresciallo Pietro Badoglio. Il nuovo governo iniziò i contatti con gli Alleati per giungere ad un armistizio. All'annuncio dell'armistizio di Cassibile, l'8 settembre 1943, l'Italia precipitò nel caos. L'esercito nel suo complesso, privo di ordini, si sbandò e venne rapidamente disarmato dalle truppe tedesche; Vittorio Emanuele III, la corte e il governo Badoglio fuggirono da Roma, lasciando il paese nella disperazione e senza una guida. La guerra contro i Tedeschi fu proseguita da ciò che restava dell’esercito - cioè da tutti quegli ufficiali, sottufficiali e truppe che non erano scappati insieme a quel vigliacco del re - ma soprattutto dalle organizzazioni volontarie di cittadini e di militanti dei partiti democratici, che presero il nome di “formazioni partigiane”. Erano giovani e anziani, erano donne coraggiose che facevano le staffette, che rischiavano la vita ed è proprio così che guadagnarono sul campo il diritto di voto per tutte le donne. Erano cittadini e cittadine che amavano il loro paese e desideravano ancora esserne fieri, poterlo riscattare davanti al mondo, poter sollevare la testa e dire con orgoglio “sono italiano”. Qualcosa che noi abbiamo smesso di fare da tempo. Com’è triste vergognarsi del proprio paese. Come avvilisce, come non dà più senso e sapore a nulla vivere nella consapevolezza del disprezzo altrui. Ma perché subirlo? Perché non ribellarsi? Perché aspettare di potersi accodare a qualcuno che apra la via? E se nessuno fa il primo passo? Ci lasciamo affogare nel letame della corruzione, dell’immoralità, delle menzogne? Ma cosa ci è successo, amici e compagni? Prendiamo questa giornata per rifletterci sopra, per ripensare a noi, alla nostra storia, a quello che è successo in questi anni. Pensiamo a quel giorno lontano in cui avemmo il coraggio di dire “basta!” e di cambiare la nostra vita.

 

scheda1 1948

 

Il re si era comportato in modo così ignobile, che per tentare di salvare la Corona - poco prima della consultazione referendaria del 2 giugno - fu costretto ad abdicare (9 maggio 1946) in favore del figlio Umberto II, che fu chiamato appunto “il re di maggio”, perchè durò solo poche settimane: infatti il 2 giugno il referendum spazzò via la monarchia.

Al referendum andarono a votare più di 24 milioni di italiani su 28 milioni di aventi diritto: una percentuale altissima: dell’89,1 %. Ci furono circa un milione emmezzo di voti nulli, quelli validi furono divisi in questo modo: 10.688.210 i voti alla monarchia e 12.672.076 alla repubblica. C’è una leggenda metropolitana che vuole che ci siano stati dei brogli elettorali in favore della repubblica. Naturalmente sono i monarchici a gridare al broglio: vi ricorda qualcuno? C’è chi non sa perdere. Se avessero avuto ragione quelli che parlavano di brogli, il partito monarchico nelle elzioni politiche del 18 aprile 1948 non sarebbe stato un gruppuscolo parlamentare che arrivava a malapena al 2, 78 % alla Camera e solo al 2% al Senato. Questo per dire basta una volta per tutte alle balle che si raccontano. Poi vorrei chiedere a quegli stessi monarchici che oggi fanno i nostalgici: ma vi piacerebbe davvero avere Vittorio Emanuele come re, come guida di questo paese? Ma se è stato ripudiato perfino dalla sua famiglia?!? Eppure se ci fosse stata la monarchia ce lo saremmo dovuto tenere. Dio santo: vengono i brividi solo a pensarlo! Era destino però che saremmo finiti comunque male, eh…

 

scheda 1948

 

Per fortuna allora vinse la repubblica ma, come si vede dai dati, anche allora il paese era spaccato quasi a metà. Come adesso. Due italie che non potrebbero essere più lontane ed estranee una all’altra. Da quando l’Italia è un solo paese è sempre stata divisa: fra nord e sud, fra polentoni e maccaroni, fra campagna e industria, fra destra e sinistra, fra fascisti e comunisti, fra cattolici e laici, fra magistrati coraggiosi e mafiosi delinquenti, fra civiltà e barbarie, fra etica e corruzione…

E comunque quel 2 giugno 1946 ci fu una svolta storica in questo paese di scontri e di sabbie mobili: nacque la Repubblica, che fu proclamata ufficialmente il successivo 18 giugno. Pochi giorni dopo il referendum il re Umberto II, "il re di maggio", fu costretto ad andare in esilio in Portogallo (13 giugno 1946).

L'Assemblea Costituente, liberamente eletta, inizia i suoi lavori il 25 giugno 1946 e tre giorni dopo elegge Enrico De Nicola capo provvisorio dello Stato. Il 22 dicembre 1947, dopo 170 sedute e 1090 interventi, l'Assemblea approva il testo della Costituzione italiana, che entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.

Per molti anni la festa del 2 giugno, la festa della Repubblica, scadde d’importanza, fino a che nel 2000 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la riportò in auge con gran fasto, insieme al nostro inno nazionale: e di questo dobbiamo essergliene grati, veramente molto grati. Il rispetto e la difesa della Costituzione lo dobbiamo a un altro presidente: Oscar Luigi Scalfaro, che ancora alla sua veneranda età si batte come un leone contro le aggressioni pesanti e pericolose del cavaliere - che ha detto chiaramente che il PdL sarà un partito monarchico( andate nel sito dei monarchici a controllare) - e della sua coalizione filofascista.

Noi cittadini democratici abbiamo un legato ereditario di grande valore e ora spetta a noi conservarlo integro e salvo per i nostri figli e nipoti: non permettiamo che venga distrutto come il resto di questo paese, perché dopo non ci sarà più nulla su cui ricostruire, da cui ricominciare.

Buona festa della Repubblica a tutti i cittadini di questo paese, anche quelli che non sono consapevoli di esserlo e pensano che la patria è là dove ti pagano.

(Articolo di Barbara Fois)

                                                                                                                                          

Voglio issare la Bandiera Italiana sul pennone più alto che ci sia 

per celebrare il 2 Giugno non come giornata dedicata ai viaggi,

ai bagordi o alle gite fuori porta ma per rendere onore ad

un simbolo di Libertà, di Indipendenza e di Democrazia,

un traguardo raggiunto grazie al sacrificio di tante vite umane,

il segno tangibile di quegli ideali che infiammarono i nostri padri,

  di quei valori che amo più di ogni cosa e che sembrano ormai

sopìti da tempo, quel " morire da uomini per vivere da uomini"

che ha caratterizzato la nostra storia meravigliosa e gloriosa.

La festa dedicata alla Repubblica Italiana dovrebbe avere

il compito di risvegliare nelle coscienze quei concetti di fratellanza

e di comunione d'intenti divenuti obsolèti, ma per fortuna non per tutti.

Con la speranza che il mio piccolo messaggio possa essere

chiaramente recepito dai più auguro a tutti coloro che

hanno la bontà di leggermi e a tutti i cari amici della community

Buona Festa della Repubblica.

       ( dal Web)
     

                                                                                                                                         ♥♫moon♫♥



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Respuesta  Mensaje 2 de 16 en el tema 
De: Butterfy Enviado: 02/06/2010 06:51
Anche Google ci ha ricordato questo memorabile giorno...

Respuesta  Mensaje 3 de 16 en el tema 
De: clicy21 Enviado: 02/06/2010 06:55

 

Festa della Repubblica....dovrebbe essere

  una festa bellissima ove armonia ed orgoglio di appartenenza....

dovrebbero prevaricare qualsiasi ideologia stupida!

l'Italia e' in assoluto il piu' bel paese del mondo

Abbiamo montagne affascinanti, abbiamo colline serene, abbiamo mari scintillanti, abbiamo coste splendide ed abbiamo citta' meravigliose

abbiamo tutto, saremmo un paese perfetto......peccato

MA CHE POPOLO SIAMO?Arrabbiato

Polemico, piagnone, individualista, egoista, furbastro, offensivo..... da una parte

Lavoratore, silenzioso, orgoglioso, che guarda oltre...... dall'altra!

MA CI VOGLIAMO UNIRE DAVVERO E FARE DELL'ITALIA UN PAESE LEADER? 

MA UNIRCI.........NON SOLO PER IL CALCIOPerplesso!!!!!

UFFFFFFFFFFFFFFFFFFFFArrabbiato  

addolcisco la mia arrabbiatura con un pensierino

Augurandovi con affetto il sole nel cuore ed una riflessione molto profonda

Ely (orgogliosissima di essere italiana)


Respuesta  Mensaje 4 de 16 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 02/06/2010 12:16
 
Buona Festa a tutti!
 
 
 
 
 E' una splendida giornata e abbiamo la fortuna di non avere più i Savoia sul trono, vi pare poco?
Garibaldi disse: "Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani"
Giolitti a suo tempo rispose "Fare gli italiani non è impossibile, è inutile!"
Vogliamo sfatare questo detto e dimostrarci veri Italiani, fieri di un Paese che tutti ci invidiano per le sue meraviglie?
Si può fare, basta unirci e rispolverare quegli ideali che da troppo tempo hanno perso il loro valore; basta pecoroni,
ma persone che, come ha detto Ely, smettano di guardare sempre dall'altra parte ma siano partecipi in un comune intento di giustizia e di identità ben precise. Insomma, impariamo a farci rispettare, altrimenti non saremo mai un popolo
degno di stima.... quindi non un'Italietta da repubblica di banane, ma un vero Paese al quale il mondo dovrà guardare con
ammirazione!
Ne varrà la pena, per noi e per le future generazioni....

 
 
 

 

    

Respuesta  Mensaje 5 de 16 en el tema 
De: Butterfy Enviado: 02/06/2010 14:27
Con questi pecoroni al governo penso che non cambierà mai niente...

Respuesta  Mensaje 6 de 16 en el tema 
De: lore luc Enviado: 02/06/2010 15:55
Sono più propenso a credere che ad "unire" gli italiani abbia contribuito, e continui a contribuire, il tifo nelle varie competizioni sportive.
 
omissis ....

Ne I Malavoglia di Giovanni Verga appare chiara la disillusione, seguita da una cocente delusione, della popolazione di fronte alla nuova Italia unita, attraverso i racconti della lunga coscrizione del giovane 'Ntoni, la morte del giovane Luca nella battaglia di Lissa e le nuove tasse[7]. La cocente delusione di chi sperava che l'unità d'Italia avrebbe cambiato le sorti del sud è ben raccontata anche nel romanzo di Anna Banti, Noi credevamo[8].

Deluso fu lo stesso Garibaldi, che, nel 1868, in una lettera ad Adelaide Cairoli, scrisse: "Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio[9][10]".


Respuesta  Mensaje 7 de 16 en el tema 
De: lore luc Enviado: 02/06/2010 16:02
omissis ...
 
"Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani": a questo motto - attribuito dai più a Massimo D'Azeglio, ma da alcuni anche a Ferdinando Martini - fu ispirata tutta la politica successiva alla spedizione dei Mille.

Respuesta  Mensaje 8 de 16 en el tema 
De: lore luc Enviado: 02/06/2010 16:08
Metternich e l'Italia [modifica]
  « In Europa allo stato attuale esiste un solo vero uomo politico, ma disgraziatamente è contro di noi. È il conte di Cavour»
 
(Klemens von Metternich)

Il 2 agosto 1847 Metternich scrisse, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la famosa e controversa frase «L'Italia è un'espressione geografica»[2]. Tale frase venne ripresa l'anno successivo dal quotidiano napoletano Il Nazionale, riportandola però in senso dispregiativo: «L'Italia non è che un'espressione geografica»; nel pieno dei moti del '48 i liberali italiani si appropriarono polemicamente di questa interpretazione utilizzandola in chiave patriottica per risvegliare il sentimento anti-austriaco negli italiani.

Gli storici sono abbastanza concordi nel riconoscere in tale affermazione la constatazione di uno stato di fatto invece di una connotazione negativa: dal punto di vista politico infatti, lo statista austriaco (che concepiva l'Impero asburgico come una confederazione di stati con vario grado di autonomia) vedeva come l'Italia fosse «composta da Stati sovrani, reciprocamente indipendenti» (così proseguiva nel testo della nota), così come lo era la Germania. Più che un arrogante disprezzo nei confronti dell'Italia e di coloro che puntavano alla sua unificazione, a muovere Metternich era il calcolo politico di mantenere divisa la penisola, permettendo al suo paese di esercitare una stretta influenza (diretta e indiretta) sugli stati italiani.


Respuesta  Mensaje 9 de 16 en el tema 
De: clicy21 Enviado: 02/06/2010 18:00
Pecoroni al governo????????????

Respuesta  Mensaje 10 de 16 en el tema 
De: Butterfy Enviado: 02/06/2010 18:48


Respuesta  Mensaje 11 de 16 en el tema 
De: clicy21 Enviado: 02/06/2010 19:44
Non so di dove sia questo lutwak o simile, comunque credo che farebbe bene a guardare in casa sua prima di venire a sindacare in Italia! In ogni paese del mondo ci sono corruzione, giochetti politici, approfittarsi delle situazioni etc.........con una differenza: CHE NESSUNO, DI UN PAESE STRANIERO SI PERMETTEREBBE MAI DI OFFENDERE IL PROPRIO PAESE, NE' DI SPUTTANARLO O CRITICARLO ALL'ESTERO, IL GOVERNO IN CARICA PUO' NON PIACERE MA LO RISPETTANO COME RISPETTANO IL PROPRIO PAESE ED I PROPRI CONCITTADINI seguendo il detto: I PANNI SPORCHI SI LAVANO IN CASA PROPRIA!  Ma l'Italia e' un paese anomalo ed anormale solo in Italia si puo' trovare un DIPIETRO che spende €40.000 (soldi dei cittadini) per comprare una pagina di un quotidiano inglese per: SPUTTANARE L'ITALIA, PER SPUTTANARE IL SUO PAESE SPUTTANANDO COSI' ANCHE GLI ITALIANI TUTTI, PER SPUTARE NEL PIATTO DOVE MANGIA. Solo in Italia si puo' trovare un'opposizione supportata da media che fanno campagna elettorale basandosi su gossip anziche' su un programma politico valido che tra l'altro non ha! L'Italia non sara' mai un paese coeso........troppi italiani non conoscono le parole correttezza, rispetto ed educazione! Gli italiani sono solo furbini o furbastri, piagnoni, menefreghisti di cio' che accade a mt.100 da essi ed ignoranti (non faccio di tutta un'erba un fascio ovvio) ! L'Italia....paese piu' bello del mondo, ha troppi  cittadini immeritevoli di abitarla! un salutone Ely  

Respuesta  Mensaje 12 de 16 en el tema 
De: clicy21 Enviado: 02/06/2010 19:47
 Dimenticavo.........chiunque non rispetti l'Italia non ha diritto a rispetto! Ely

Respuesta  Mensaje 13 de 16 en el tema 
De: Butterfy Enviado: 02/06/2010 20:33
Adoro l'Italia ed è,anzi,potrebbe essere davvero il Paese
più bello del mondo per quella miriade di
bellezze e ricchezze
che possiede e non parlo solo di arte...ma di meraviglie naturali
e culturali...ma ci rendiamo anche conto dell'attuale decadimento
della nostra amata Patria,forse dovuto al vecchio sistema di fare
politica...dei politici...
 

Respuesta  Mensaje 14 de 16 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 03/06/2010 00:00
 
Infatti è notorio che ogni nazione ha i suoi scandali, le sue corruzioni, i propri scheletri negli armadi, nessuno può ergersi a giudice nei nostri confronti ma ognuno dovrebbe prima ben bene guardare a casa propria.... eppure non è una novità che non siamo ben visti all'estero. Le ragioni sono tante, il nostro passato per es. : basta leggere il libro di Gian Antonio Stella "Quando gli albanesi eravamo noi" per farci un'idea del perchè di questo disprezzo,  e anche "La pelle" di Malaparte racconta pagine che davvero sarebbe bene dimenticare.... Etc, etc...
Ma oggi potremmo riscattarci e andare a testa alta, eppure è impossibile perchè siamo proprio noi in primis a renderci ridicoli tramite tutta una serie di gaffes e teatrini politici che ci mettono alla berlina agli occhi di chi non è poi migliore di noi ma ha il buon gusto e la saggezza di esaltare e di difendere il proprio Paese, invece di denigrarlo. Sono troppe le cose che non vanno, troppe davvero!
Se sono fiera di essere italiana?  Non lo so, amo l'Italia ma questo popolo di, lo ribadisco, pecoroni, qualunquisti, menefreghisti, ottusi, 'furbetti del quartierino', quaraquaquà etc. a volte mi fa desiderare di essere da qualche altra parte.... e non ho grandi speranze per il futuro!

Respuesta  Mensaje 15 de 16 en el tema 
De: lore luc Enviado: 03/06/2010 03:41

Edward Luttwak

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Edward Nicolae Luttwak (Arad, 4 novembre 1942) è un economista e saggista statunitense, conosciuto per le sue pubblicazioni sulla strategia militare e politica estera.

 

Biografia [modifica]

Luttwak nacque in una famiglia ebraica ad Arad in Romania. In seguito studiò nella London School of Economics and Political Science e all'Università Johns Hopkins di Baltimora, dove ricevette un dottorato in economia. Il suo primo incarico come professore fu all'Università di Bath. A partire dal 2004, è diventato un consulente al Centro Internazionale per gli Studi Strategici a Washington.

Ha ottenuto il ruolo di consulente all'Ufficio del Ministero della difesa, il National Security Council ed al Dipartimento di Stato americano. È un membro del National Security Study Group del Dipartimento della Difesa americano, e fa parte del Ministero del Tesoro giapponese, più precisamente dell'Istituto delle Politiche Fiscali e Monetarie. È inoltre nel comitato editoriale del periodico francese Geopolitique e delle riviste inglesi Journal of Strategic Studies, e del Washington Quarterly.

Durante la sua infanzia Luttwak visse a Palermo e Milano; parla italiano (ma anche inglese, spagnolo, francese e ebraico) e in Italia compare di frequente in televisione e partecipa a numerosi seminari. È anche autore di due libri insieme a Susanna Creperio Verratti: Che cos'è davvero la democrazia (1996) e Il libro delle libertà (2000). È noto per l'atteggiamento duro e provocatorio, ben esemplificato dal saggio Give war a chance nel quale suggerisce l'inutilità delle missioni di pace e delle attività umanitarie delle ONG, in quanto queste faciliterebbero il riarmo della fazione più debole.

Il libro Colpo di Stato: Un pratico manuale tascabile è la sua opera più conosciuta, tanto da essere stata tradotta in 14 lingue.

La Grande Strategia dell'Impero Romano dal Primo Secolo al Terzo ha provocato varie discussioni tra gli storici. Luttwak è visto come un dilettante e non uno specialista della materia, ma il suo scritto ha dato origine a molte domande e creato un'intera nuova corrente d'opinione tra gli studiosi dei rapporti tra esercito romano e barbari alla frontiera. Luttwak chiede semplicemente: "Come facevano i Romani a proteggere le proprie frontiere?", una domanda che secondo lui ha finito per essere trascurata nella confusione di teorie demografiche, economiche e sociologiche. Nonostante la maggior parte degli esperti rifiuti il suo punto di vista sulla "strategia" romana, il suo libro, pubblicato nel 1976 si è rivelato utilissimo per alimentare il dibattito.

Geoeconomia [modifica]

Luttwak ha contribuito nella discussione teorica sul nuovo modo di porsi degli Stati nella moderna struttura economica globalizzata. Alcuni studiosi pongono l’accento sulla inarrestabile erosione e marginalizzazione del potere degli Stati nazionali con la creazione di una nuova geografia politica ed economica del mondo, organizzata secondo il principio di sussidiarietà, per cui le funzioni economiche essenziali verrebbero sottratte progressivamente agli Stati da parte delle regioni e istituzioni sovranazionali costituite per dirigere i poli economici pan regionali. Altri (Michael Porter, Jeffrey Anderson, Patrizio Bianchi) invece sono di parere opposto. Ritengono che nello Stato-nazione permangono funzioni essenziali, anzi l’attenuazione dell’intervento statale in settori in cui si era indebitamente espanso, come nella gestione diretta dell’economia, finirà per rafforzare lo Stato. A questo secondo filone appartiene lo studioso di strategia e politica internazionale e consulente del Governo degli Stati Uniti Edward N. Luttwak.

Luttwak sostiene che con la fine della guerra fredda la forza militare ha perduto d’importanza nelle relazioni tra Stati. Le guerre, soprattutto tra stati avanzati, sono ormai ritenute un’eventualità inattuabile per l’enorme distruttività delle armi moderne e per l’enorme costo delle stesse in termini economici. Importanti evoluzioni nella struttura sociale e demografica ed il funzionamento delle democrazie impediscono ai governi l’utilizzo indiscriminato dell’azione bellica. Non esistendo più la potenza sovietica da contenere, hanno perso inoltre la loro importanza anche le grandi coalizioni strategiche e militari, che in passato erano costituite anche se tra gli alleati coesistevano gravi conflitti economici. Dal punto di vista economico il periodo attuale è caratterizzato dall’esistenza di un capitalismo che non è più minacciato da un’ideologia che ne nega la legittimità e non più limitato nella sua azione dal frapporsi di frontiere. Un capitalismo globale che Luttwak chiama “turbo-capitalismo” o terzo capitalismo successivo quindi al primo della rivoluzione industriale ed al secondo del welfare State. In tale contesto, lo studioso americano, sostiene comunque che la politica mondiale non è ancora sul punto di cedere totalmente il passo al commercio mondiale, World Business, un libero commercio disciplinato solo da una propria logica di carattere non territoriale. La scena internazionale è ancora principalmente occupata da Stati e blocchi di Stati che attuano una politica rivolta a:

  • massimizzare il volume di affari nell’ambito dei propri confini fiscali;
  • regolare le attività economiche in modo tale da favorire l’interesse nazionale. Tale attività è svolta spesso con metodiche simili all’arte bellica utilizzando la segretezza e l’inganno (ad esempio gli standard per regolare le caratteristiche di determinati prodotti sono definiti segretamente consultando i produttori nazionali);
  • costruire infrastrutture e fornire servizi in modo da favorire i propri residenti;
  • favorire lo sviluppo della tecnologia nazionale ponendo a volte ostacoli a quella straniera, (si citano ad esempio gli ostacoli posti dagli aeroporti americani agli aerei francesi Concorde causando un notevole ritardo della loro introduzione nei voli internazionali).

Gli Stati, in definitiva, sono rimasti essenzialmente delle entità territorialmente definite che non possono attuare una politica commerciale che ignori del tutto i propri confini. Questa politica è inoltre supportata da gruppi di interesse economico che, con influenze diverse in ogni singolo Stato, attuano politiche di lobby rivolte a salvaguardare i loro interessi economici e dalle strutture burocratiche dei singoli stati che, in maniera connaturata e autonoma, agiscono per l’interesse dei soggetti nazionali. Con la marginalizzazione del potere militare, il conflitto tra gli Stati continua, ma con altre forme e con diversi strumenti ed obiettivi. Nel gruppo dei paesi industrializzati il conflitto diventa economico in tutti i suoi aspetti. La potenza economica diventa centrale, determinando la gerarchia ed il rango tra gli stati e le loro possibilità di azione nel contesto internazionale. Luttwak crea quindi un popolare neologismo, la geoeconomia, che nella struttura teorica iniziale, avrebbe dovuto sostituire la geopolitica o quantomeno diventarne la componente predominante. In maniera molto elegante spiega che la logica di della competizione geoeconomica è quella della guerra mentre la grammatica, (la tattica) è quella dell’economia. Si tratta in sostanza di un approccio di tipo strategico - militare all’economia, pur con i dovuti distinguo poiché la competizione economica presenta comunque caratteristiche diverse da quella militare. La geoeconomia è, infatti, caratterizzata dai seguenti elementi:

  • non è mai un gioco a somma zero, dove il beneficio di una parte corrisponde ad una perdita per l’altra. Non è mai un gioco ad eliminazione. I conflitti non tendono mai alla distruzione completa dell’avversario né si concludono generalmente con essa;
  • l’uso solo potenziale della forza a fini dissuasivi svolge un ruolo minore rispetto al significato che riveste geostrategia;
  • il dilemma della sicurezza del pensiero strategico, molto simile al dilemma del prigioniero, è sostituito dal paradosso della cooperazione, secondo cui si ha tanto maggiore interesse a violare gli accordi e regole quanto più gli altri le rispettano;
  • in geostrategia di solito vi è un solo avversario, in geoeconomia sono avversari tutti gli stati o i soggetti geoeconomici su cui si tende a conseguire vantaggi economici indebiti;
  • in geopolitica lo stato ha il controllo completo dei suoi strumenti e ne conosce la vulnerabilità e la capacità, in geoeconomia tale controllo e solo parziale. Il sistema economico è a responsabilità decisionale diffusa ed è percorso da forze che sfuggono alla volontà ed al controllo degli Stati. Gli stati possono solo attivare un comportamento favorevole ai propri fini mettendosi nella loro logica predisponendo opportuni incentivi.

In questo nuovo modo di iterazione conflittuale tra Stati, le cosiddette armi di distruzione di massa, che caratterizzano i moderni armamenti strategici e che rendono drammatico e difficilmente attuabile un conflitto armato tra grandi potenze, sono sostituite da quelle che Luttwak chiama “armi di distruzione commerciale” che consistono:

  • nelle restrizione delle importazioni più o meno simulate;
  • nelle sovvenzioni alle esportazioni più o meno occultate;
  • il finanziamento pubblico di progetti a valenza competitiva;
  • educazione e preparazione professionale;
  • la fornitura di infrastrutture che rendano un differenziale economico in termini concorrenziali;
  • embarghi ecc.

Lo studioso americano tiene a precisare che la nuova era, caratterizzata dal conflitto geoeconomico, non è una regressione verso una nuova forma di mercantilismo. L’obiettivo del mercantilismo era quello di massimizzare le riserve auree. In questo contesto le dispute commerciali tra Stati spesso diventavano scontri militari che culminavano spesso in vere e proprie guerre. Un moderno stato “geoeconomico” invece ha come obiettivo la prosperità economica della propria popolazione (piena occupazione, benessere ed alto reddito) e la guerra è considerata poco conveniente per i suoi costi sociali ed economici troppo alti. Pertanto mentre nel mercantilismo l’economia era la causa di molte guerre, nella moderna epoca geoeconomica, invece, l’economia non è solo causa di conflitto ma anche arma e strumento.Queste teorie nascono da un intenso dibattito che era in corso negli Stati Uniti dopo la caduta del Muro di Berlino. Da un lato c’era la convinzione che la fine della guerra fredda stesse provocando una vera e propria discontinuità nella politica mondiale. Era presente il ricco settore di studio del Japan bashing, che attribuiva i successi economici nipponici e le difficoltà statunitensi, soprattutto negli anni Ottanta, alle pratiche sleali messe in atto dal governo giapponese. Con la sostituzione della geopolitica con la geoeconomia si auspicava un profondo rinnovamento etico e politico americano, che avrebbe ricostruito le basi economico e sociale della nazione. La rivalità geoeconomica avrebbe costituito la nuova minaccia unificante delle energie del popolo degli Stati Uniti. In quest'ottica, la globalizzazione, il soft power e l’ideological dominance, avrebbero garantito la superiorità dell’Occidente nel mondo e quella degli Stati Uniti nell’occidente, a patto che si lasciasse agire liberamente le forze naturali del mercato. L’approccio “militarista” della geoeconomia e stata ripresa da diverse scuole di pensiero molto differenti tra di loro: dai propugnatori della teoria della fine dello stato della guerra e del territorio fino ad arrivare ai critici della globalizzazione liberista. Vi sono aspetti delle teorie di Luttwak su cui tutti gli esperti sono concordi come l’esigenza che vengano perfezionati i sistemi di educazione e formazione professionale e l’adeguamento della forza lavoro alle esigenze della nuova economia, anche in termini di flessibilità e mobilità. L’impostazione geoeconomica luttwakiana è stata oggetto anche di critiche provenienti da diversi studiosi.

L’economista statunitense Paul Krugman fa notare che l’approccio geoecomico di Luttwak è imperialista, in quanto giustifica l’imposizione delle regole americane al resto del mondo e costringe ai Paesi in via di sviluppo, che chiedono la cooperazione degli Stati Uniti e la partecipazione al commercio mondiale, standard sociali ed ecologici di tipo occidentale. Krugman sostiene, infatti, che le ricchezze degli Stati e gli standard di vita delle popolazioni sono determinati da fattori interni. L’importanza centrale data alla competitività inoltre è considerata strumentale e pericolosa. Strumentale perché è stata utilizzata per l’accaparramento del consenso interno individuando un nemico esterno al cui sleale e scorretto comportamento si potessero imputare le difficoltà americane dell’epoca. Pericoloso in quanto farebbero sorgere tensioni e contrapposizioni che innescherebbero conflitti armati che potrebbero perfino originare nuove guerre mondiali. Robert Solow critica la pura trasposizione delle strategie militari in campo economico teorizzata da Luttwak, senza tener conto dell’elemento di complessità dell’economia. Gli Stati, sostiene l’economista americano, non possono controllare l’economia alla pari di come controllano la forza militare di cui hanno invece il monopolio. L’economia non è, infatti, strutturata secondo un’organizzazione piramidale, come una struttura burocratica o un esercito ma bensì a rete. La politica non può dominare il mercato che agisce secondo una logica sua propria in cui i singoli attori economici perseguono obiettivi e politiche definite autonomamente. La logica del liberismo renderebbe impraticabile l’utilizzazione dell’economia come arma. La politica potrebbe controllare il mercato solo introducendo misure protezionistiche e neomercantiliste che danneggerebbero tutti. Gli italiani Paolo Savona e Carlo Jean contestano la dicotomia tra geoeconomia e geopolitica. La geoeconomia la considerano come l’analisi a la teoria dell’approntamento e dell’impiego degli strumenti economici per conseguire scopi geopolitici, così come la geostrategia indica l’analisi e la teoria dell’approntamento e dell’impiego degli strumenti militari. La politica non può essere ridotta ai contenuti mercantili, anche se essi hanno assunto una maggiore importanza nella globalizzazione. La geoeconomia, secondo i due studiosi italiani, quindi è uno strumento della geopolitica e non un sostituto. La geoconomia, in tale ottica e volendo parafrasare E.N. Luttwak, si fonda non solo sulla stessa logica ma anche sulla stessa sintassi della geopolitica. La differenza sta invece nella grammatica specifica di ciascun mezzo.

La grammatica varia perché riflette la specificità del mezzo impiegato, ma le diverse grammatiche condividono tutte le medesime logiche e spesso anche la medesima sintassi. Tesi intermedie fra quelle di Luttwak e i suoi critici sono stati sostenuti da Daniel F. Burton e Ernest H. Preeg che affermano l’importanza dei sistemi paese nella nuova economia globale e Erik R. Peterson che si sofferma invece sull’espansione esponenziale della globalizzazione economica e sulla possibilità dell’adozione di misure protezionistiche, dati i differenti tempi dell’integrazione economica rispetto a quella politica. Lo stesso Luttwak ha poi attenuato la sua iniziale impostazione militarista, prestando maggiore attenzione agli aspetti sociali ed umani della globalizzazione economica. Il nuovo approccio e volto a ridurre i pericoli e sfruttare le opportunità offerte dal turbo-capitalismo globalizzato a dalla rivoluzione dell’informazione.

L'assetto geopolitico e strategico contemporaneo secondo Luttwak [modifica]

Sulla scorta delle teorie geoeconomiche, Luttwak traccia una nuova mappa della conflittualità tra Stati. Gli Stati possono essere divisi essenzialmente in tre categorie.
Alla prima categoria appartengono i paesi industrializzati avanzati, per i quali la guerra appare insensata e poco conveniente. Essi risolveranno il loro conflitti interstatuali con gli strumenti delle geoeconomia.
Ci sono poi i Paesi dove predomina l’elemento del sottosviluppo. Essi non sono in grado di produrre una potenza militare al di fuori del proprio territorio. Essi saranno in preda a guerre interne condotte con armi poco sofisticate ma estremamente cruenti e sanguinose.
Tra queste due tipologie si trovano Stati con un livello intermedio di sviluppo, come quelli del sud e del sud – est asiatico. L’arma della guerra sarà un elemento caratterizzante nel conflitto di quest’ultimi Paesi. In essi si riscontra una condizione geopolitica simile agli Stati europei del IX secolo. Altro aspetto caratterizzante dell’assetto geopolitica dopo la caduta del Muro di Berlino e la supremazia multidimensionale degli Stati Uniti, senza precedenti in tutta la storia dell’umanità. Gli Stati Uniti potrebbero sfruttare questo momento storico per incrementare la loro effettiva potenza, sfruttando il potenziale dalla loro prevalenza in campo economico, tecnologico, militare e informativo. Ma la realtà non è così semplice. Anche la colossale potenza statunitense deve sottostare ad alcune limitazioni di natura strutturale e strategica delle quali Luttwak ne ha sapientemente colto il significato e la portata.
Una delle tesi più riprese ed affascinanti di Luttwak è che i percorsi ed i mutamenti della storia possono essere compresi solo utilizzando la logica del “paradosso”, fondato sullo stratagemma, sull’inganno e sulla sorpresa, sulfatto che la via più lunga e tortuosa è per l’appunto quella più adatta adisorientare l’avversario e destabilizzare le sue strutture con un’azione chesuperi la flessibilità del suo sistema, rendendogli impossibile lametabolizzazione dell’evento imprevisto. Il paradosso permane in tutti gli ambiti ed i vari livelli delle relazioni tra gli Stati che non possono essere spiegati con logica lineare causa-effetto. Tutto dipende dalle contingenze e la situazione del momento e della loro percezione dal parte dei governati, del nemico e della popolazione. L’intero corpo della scienza strategica, con le varie teorie, non sono in grado indicare quello che deve essere fatto in ogni situazione. La stessa storia insegna, come ribadisce più volte lo studioso, una sola cosa: quella di non poter insegnare nulla. Questa complessità, inoltre, offre un largo spazio all’errore. La superiorità teorica di una valida condotta strategica può venire rovesciata nella pratica ed in guerra una manovra astuta e complessa può dimostrarsi cosi carica di attriti da risultare peggiore di un semplice e brutale attacco frontale.
Con queste premesse la gli Stati Uniti d’America devono affrontare uno scenario internazionale, sempre caotico ed instabile, con notevoli limitazioni dettate dalla cosiddetta era post eroica, che rende le popolazioni sensibili alle perdite umane che possono scaturire in un conflitto armato, e dalle limitazioni dettate da una moderna società democratica. Il sistema democratico influisce in un duplice modo. Quasi sempre le forze politiche che governano un paese democratico esprimono principi e programmi che non hanno nulla di strategico. Questo riduce notevolmente la possibilità di dissuasione armata in altre parole è molto più difficile per una democrazia convincere un’altra nazione dell’effettivo e concreto utilizzo delle strumento bellico. Un'immagine bifronte effettuata proclamando una devozione alla pace, che esclude ogni possibilità di aggressione, e una grande disposizione a battersi se attaccati non è adatta ad una grande potenza.
Le democrazie moderne posseggono un altro grande limite che reca pregiudizio alla natura stessa della natura paradossale della decisione strategica. Nel dibattito pubblico delle nazioni democratiche si fanno frequenti appelli per una definizione di strategia nazionale coerente e logica. E’ dato per scontato che le mosse di ogni componente del governo siano strettamente coordinate in modo da costituire una linea politica nazionale, che deve essere logica in termini di senso comune. Tutto questo va bene nel quadro di una politica economica e sociale, però, insiste sempre Luttwak, quando si entra nel campo della politica internazionale e quindi nella strategia, soltanto le linee politiche che possono sembrare contraddittorie riescono ad evitare l’effetto autodistruttivo della logica paradossale. Le democrazie, afferma lo studioso americano, non potranno mai comportarsi come astute guerriere, simulando, per esempio, una politica pacifica per preparare occultamente una aggressione di sorpresa.
Anche se gli Stati Uniti sfruttassero pienamente la loro prevalenza nel campo economico, tecnologico, militare ed informativo per diventare definitivamente la grande potenza della storia con un controllo pressoché totale sugli eventi mondiali, si entrerebbe in una situazione che comunque, ammonisce Luttwak, non potrebbe durare a lungo. All’epoca della guerra fredda gli Stati Uniti seguivano una strategia coerente che consisteva a massimizzare al massimo la loro potenza per contrastare quella dell’Unione Sovietica. Tra le due potenze c’era un sostanziale equilibrio con un assorbimento automatico di azioni e reazioni. All’interno del blocco occidentale, e specularmente ma in modi diversi in quello orientale, c’era uno schema di reciproca dipendenza tra la super potenza e gli altri Stati. Gli Stati Uniti erano necessari ai propri alleati come elemento di protezione, ma a loro volta avevano bisogno di una collaborazione attiva. Oggi però che l’Unione Sovietica non esiste più e conseguentemente non c’è più nessun equilibrio tra potenze Una piena egemonia americana, sostiene Luttwak, sarebbe considerata oppressiva ed intollerabile per tutte gli altri Stati. Ne deriverebbero risposte difensive e reazioni ostili. In particolare si avrebbe una resistenza sotterranea da parte dei paesi deboli e una netta opposizione da parte dei meno deboli. Per proteggere la loro indipendenza, ipotizza Luttwak, Cina e Russia ed anche molti ex alleati degli Stati Uniti sarebbero costretti ad una coalizione globale. Si incomincerebbero a sfruttare sistemi a basso costo ed a basso rischio per contrastare ed erodere la potenza ed il prestigio americano in qualsiasi situazione possibile. Si potrebbero creare schermaglie diplomatiche con l’obiettivo di svuotare di significato le alleanze occidentali e gli accordi ereditati dalla guerra fredda. Ci sarebbe il declino di grandi organizzazioni internazionali come la World Trade Organization, l’Onu e la Banca Mondiale che continuerebbero ad esistere come istituzioni burocratiche, ma nella sostanza finirebbero di funzionare delineare politiche effettive. In altre parole, l’intera sovrastruttura delle istituzioni occidentali e mondiali che gli Stati Uniti hanno progettato a propria immagine e sostenuto con ingenti finanziamenti diverrebbe sempre meno utile per gli scopi americani.
Tutto questo significa, secondo Luttwak, che dopo il crollo sovietico esiste un punto culminante di successo nella massimizzazione dell’influenza americano sulla scena mondiale. Superare questo punto, situazione che altri possono accettare con sufficiente serenità, deve comportare una riduzione invece di un aumento della potenza e dell’influenza.

Bibliografia [modifica]

 


Respuesta  Mensaje 16 de 16 en el tema 
De: lore luc Enviado: 03/06/2010 03:50
Che la STORIA sia presentata ai bambini delle elementari con l'enfasi della favola, può anche starci.  Ma non possiamo esimerci dal crescere, analizzare la realtà e non aspettare che siano gli stranieri a raccontarci i fatti. Il dantesco grido di dolore "serva Italia di dolore ostello non donna di province ma bordello"  misura l'immenso amore di Dante per la sua Terra che non potendo far crescere come Nazione, fece nascere come lingua.


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