Se oggi c'è bisogno di qualcosa, non è certo di un deprimente senso di inutilità e disvalore: «Io sono ok! Tu sei ok!»
Se c'è uno slogan che mi ha aiutato a vivere è quello che sentii dall'on. Michelini in una tribuna politica di molti anni fa: «Poco se mi considero, molto se mi confronto». Non vedo perché dovrei avere un'alta opinione degli altri ed una bassa di me stesso.
E poi, una "virtù" che si riferisca alla conoscenza invece che alla volontà mi lascia sempre perplesso.
Col passare degli anni, mi son convinto che l'umiltà è sì una grande virtù, ma va riferita principalmente alla volontà: è l'opposto della «hybris» greca.
Non ci vuol molto a capire che non siamo dèi: il problema è dominare la rabbia di non esserlo! Illudersi di essere superuomini è solo un patetico modo di gonfiare il petto per aiutarsi a sopravvivere, mentalmente prima che fisicamente. Il pavone che fa la ruota cerca solo di "vendersi" al meglio...
L'umiltà che mi serve è quella virtù che mi induce a fare i conti coi mezzi che ho, accontentandomi di ricavarne il massimo: niente di meno, ma niente di più. Se cerco di andare al di là dei miei mezzi, raramente sarà per una genuina sopravvalutazione "teorica" di essi: quasi sempre si tratterà della volontà di "forzarli", di andare "oltre", come se bastasse voler essere alto due metri per diventarlo.
E se spesso resterò al di sotto delle mie possibilità, non sarà per una fondata sottostima dei mezzi a mia disposizione, ma perché non saprò accontentarmene: «Per così poco, non vale neanche la pena». E così l'invidia per ciò che vorrei e non ho mi distrae e mi fa dis-prezzare ciò che ho.
Prendere atto di essere "in gabbia" (la gabbia dei miei limiti creaturali) e decidere che è stupido sprecare quelle poche energie che ho a compiangermi o ad avventarmi contro le sbarre: ecco il primo passo dell'umiltà che amo.
Ed appena mi sarò calmato un pochino, ecco il secondo passo: forse quello che ho non è poi così poco (e qui potrebbe soccorrerci MODUGNO con una delle sue canzoni più belle ed incoraggianti: «Meraviglioso»).
Imparare a seminare anche in terreni che non assicurano una resa del cento per cento; a riseminare anche dopo un raccolto andato a male; a curare la manutenzione della mia "cella" anche se so che si tratta di un lavoro senza fine. Soprattutto imparare a godere delle piccole cose e della stessa attività di manutenzione, senza rinunciare ad approfittare di tutte le opportunità per dilatare le pareti della mia prigione (a volte possono servire anche degli specchi...), o per stabilire "contatti" con altre "celle".
È il problema degli "altri": li si può considerare come l'inferno, o come componenti essenziali del paradiso; come compagni di cella o come più limitanti delle stesse sbarre; come carcerieri o come compagni di sventura. L'atteggiamento del saggio verso gli altri non sarà meno "umile" che verso se stesso. Guai a dimenticare che spesso «il meglio è nemico del bene».