Esibendosi sul palcoscenico del teatro Ariston di Sanremo, un Roberto Benigni sottotono, meno istrionico e brillante del solito, ha celebrato con enfasi ufficiale il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, sudando molto e visibilmente a disagio a causa delle direttive imposte dai vertici Rai che lo hanno bloccato, temendo evidentemente qualche frecciatina maligna scoccata all’indirizzo del sultano nazionale. Ma l’unica battuta di spirito è stata concessa nel momento in cui il giullare toscano ha menzionato un altro celebre Silvio, autore de “Le mie prigioni”, alludendo ai guai giudiziari del premier.
Nella circostanza canzonettistica il comico pratese ha denotato una scarsa scioltezza istrionica e una vena poco creativa nelle battute che invece hanno sempre contrassegnato le sue esibizioni. Senza vincoli Benigni era un ciclone di satira e poesia, ma a Sanremo la sua solita verve ironica e dissacrante si è spenta e Benigni non ha mancato di esaltare persino i Savoia, definita la dinastia più antica d’Europa, come se il primato derivante da un’ascendenza secolare fosse un motivo di vanto, mentre avrebbe dovuto segnalare le gravi colpe e i demeriti dei suddetti sovrani, che si sono distinti nei secoli come la più retriva ed oscurantista fra le famiglie reali europee. Ma tant’è che Benigni di castronerie ne ha dette molte nella serata sanremese, anche a proposito dell’”eroico” pirata nizzardo, nonché dell’astuto conte di Cavour e di altri noti esponenti della massoneria risorgimentale, fino ad indicare il premier britannico Winston Churchill come il “vincitore” del nazi-fascismo. Lo smemorato di Prato ha affermato una plateale corbelleria e una falsità storica dicendo che l’Italia sarebbe stata liberata dal nazismo nientemeno che da Churchill, sulla cui figura ci sarebbe molto da obiettare: basti pensare che nel 1933 definì Benito Mussolini “il più grande legislatore fra i viventi”.
L’aver attribuito al primo ministro inglese l’appannaggio esclusivo della vittoria sul nazismo rappresenta uno sbaglio eclatante commesso di proposito per compiacere i dirigenti RAI e i politici di destra presenti in platea. Ad aggravare le colpe di Benigni sono stati i mancati richiami alla Resistenza antifascista, per cui avrebbe dovuto ricordare quanto in termini di lacrime e sangue è costata la conquista della libertà al popolo italiano. Invece non ha proferito nulla a riguardo per non urtare la suscettibilità di qualche nostalgico ed irascibile ministro ex squadrista. Insomma, nell’esibizione sanremese l’ispirazione ironica di Benigni è stata frenata dalle direttive della RAI. Si vede che con l’avanzare dell’età il povero giullare è diventato fiacco, remissivo e calcolatore, mentre agli esordi della carriera era un uragano incontenibile e travolgente.
Del resto, già nel film “La vita è bella” il Roberto nazionale ha preso un abbaglio clamoroso, mistificando la storia per accattivarsi le simpatie dello star system hollywoodiano e aggiudicarsi l’Oscar. Nel film attribuisce agli americani la liberazione di Auschwitz, quando entra in scena il carro armato con la stella bianca, mentre è noto che il 27 Gennaio 1945 (in tale data si celebra la Giornata della memoria) ad Auschwitz entrarono i soldati dell’Armata Rossa liberando i prigionieri sopravvissuti. E’ vero che nel film non si specifica che il lager sia quello di Auschwitz, tuttavia lo lascia intendere chiaramente. Diciamo che è stata una “sviolinata” concessa ai signori di Hollywood.