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De: Butterfy (Mensaje original) |
Enviado: 15/03/2011 21:50 |
Tsunami, i precedenti nel mondo
ROMA-. Ecco i precedenti degli ultimi due decenni di tsunami, onda anomala provocata da terremoti sottomarini, il piu' disastroso dei quali e' stato quello che ha colpito, alla fine del 2004, l'Indonesia e un po' tutti i paesi costieri dell'Oceano Indiano, causando centinaia di migliaia di morti.
12 dicembre 1992 - un terremoto di magnitudo 6,8 Richter colpisce l'isola di Flores in Indonesia, provocando un'onda gigantesca di 25 metri che sommerge due piccole isole. Il bilancio complessivo delle vittime e' di circa 2.500 morti.
- 12 luglio 1993 - un terremoto di magnitudo 7,8 Richter al largo delle coste di Hokkaido, in Giappone, provoca uno tsunami che travolge soprattutto la zona turistica dell'isola Okushiri, causando circa 200 morti.
- 3 giugno 1994 - almeno 200 morti nell'area di Banyuwangi, nella punta orientale dell'isola di Giava, in Indonesia, per uno tsunami provocato da una scossa di magnitudo 5,9 Richter. - 5 ottobre 1994 - uno tsunami, conseguenza di un terremoto al largo di Hokkaido, in Giappone, colpisce le isole Kurili e uccide una decina di militari russi.
- 15 novembre 1994 - circa 60 sono le vittime dello tsunami che si abbatte sull'isola di Mindoro, nelle Filippine, a sud di Manila, in conseguenza di un terremoto di magnitudo 6,7 Richter con epicentro in mare aperto.
- 26 dicembre 2004 - un terremoto di magnitudo 8,9 al largo di Sumatra provoca un gigantesco tsunami che raggiunge le coste di Sri Lanka, Thailandia, Indonesia, India, Maldive e Malaysia, provocando distruzioni e quasi 230.000 morti. Tra le vittime, molti turisti occidentali in vacanza nei paradisi esotici, tra cui 40 italiani. La provincia indonesiana di Aceh e' la piu' colpita.
- 17 luglio 2006 - uno tsunami colpisce le coste meridionali dell'isola di Giava, in Indonesia, provocando almeno 650 morti e 382 feriti. Altre 300 persone risultano disperse. Il maremoto e' stato provocato da un terremoto sottomarino di magnitudo 7,7 gradi della scala Richter registrato al largo dell'isola.
- 2 aprile 2007 - uno tsunami, seguito a una scossa di 8,1 gradi Richter, colpisce villaggi sulle coste delle isole Salomone e provoca almeno 34 morti.
- 30 settembre 2009 - Questa volta sono colpitie le isole Samoa, 155 le vittime
- 27 ottobre 2010 - Uno tsunami colpisce l'Indonesia provocando 272 morti
- 27 febbraio 2010 - Un violento tsunami si abbatte sulle coste del Cile, almeno 350 le vittime
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Il terremoto in Giappone è colpa dell'uomo. Le prove
Martedí 15.03.2011 10:22
Il terremoto che ha colpito il Giappone di magnitudo 8,9 ha provocato un enorme tzunami con onde alte oltre 10 metri e la preoccupante esplosione del reattore N°1 della centrale nucleare di Fukushima. Il sisma è stato uno dei più devastanti negli intimi 150 anni (il più tremendo si verificò nel maggio del 1960 in Cile quando la terra tremò ad un magnitudo 9.3) e ha provocato uno spostamento dell'asse terrestre pari a 10 cm, portando all'aumento della rotazione della terra di un microsecondo (un milionesimo di secondo). Ma cosa sta succedendo al nostro pianeta? Siamo sicuri che sia tutto solo un fattore naturale e che l'uomo non centri nulla?
Tra le mille ipotesi fatte c'è chi sostiene che la causa del terremoto sia di natura umana. E che sia stato proprio l'uomo a causare il sisma. Come? Attraverso i test nucleari.
LE PROVE- Dagli anni 50 Stati Uniti, Russia, Cina e India hanno iniziato ad effettuare test nucleari e forti terremoti, superiori al magnitudo 7.0 della scala Richter, sono succeduti alcuni giorni dopo questi test, sarà solo casualità?
Sappiamo benissimo che la crosta terrestre è in continuo movimento e le placche tettoniche che sfregano le une sulle altre provocano naturalmente vulcani e terremoti ma rimane il dubbio sul perché, tutti i terremoti avvenuti dopo esperimenti nucleari, siano sempre stati a un magnitudo pari o superiore allo 6.0 della scala Richter.
Nel 1974 il Dottor Matsushita, scienziato del National Center of Atmosferic Research, scoprì che dopo questi test nucleari la ionosfera e il campo magnetico terrestre venivano disturbati per un periodo da dieci giorni a due settimane portando addirittura ad oscillazioni dei poli terrestri.
Lo scienziato fu subito messo a tacere dal governo degli Stati Uniti e gli fu impedito di continuare le sue ricerche in merito nascondendo tutte le prove che egli aveva rilevato.
Non riesco a inserirla, andatela a vedere su www.libero.it
Ecco la tabella con le varie date dei test e i relativi terremoti:
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Il bambino necessita di costante sorvelianza perché non sa, per esempio, che con il fuoco ci si brucia.
Possibile che gli scienziati nucleari siano dei bambini? Possibile che non conoscano le conseguenze dei loro esperimenti?
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Torna l'era del carbone
Il no all’atomo rilancia le energie inquinanti. Il sisma giapponese arricchirà petrolieri, produttori di metano e la Cina che detiene tecnologia fotovoltaica. Affari anche per chi ricostruirà.
Quanto rischia il mondo con la catastrofe giapponese? è la domanda del momento. Che però andrebbe posta anche al contrario: chi guadagna dal fallout, radioattivo e non, della crisi di Tokyo? Rispondendo otterremo una lista probabilmente più lunga dell’elenco delle perdite. Le grandi tragedie in tempo di pace non sono dissimili dalle guerre: uccidono vite ma rilanciano prepotentemente molti portafogli.
Una notizia dei primi giorni è passata quasi inosservata. Il Pil del Giappone, in declino da anni e nel 2010 sorpassato dalla Cina al secondo posto nel mondo, potrebbe ripiegare ancora nell'immediato ma su una prospettiva non troppo lunga beneficiare di un aumento superiore al 2 per cento. Cioè più elevato rispetto ad ogni altra grande economia occidentale, Usa e Germania a parte. Qualcuno ha ricordato il terremoto di Kobe nel 1995, che causò danni per 10 mila miliardi di yen, il 2,5 per cento del prodotto lordo giapponese di allora: eppure a fine anno il Giappone contò tre trimestri consecutivi di crescita. Quel qualcuno di buona memoria non è gente qualsiasi: si tratta della Nomura, la prima banca d'affari del Sol Levante e tra le più potenti del mondo. Nomura ha già sfornato un report che prevede due trimestri di recessione tra l'1,1 e l'1,5 per cento, e poi un periodo di ripresa. A fine anno, appunto, il Pil giapponese potrebbe segnare un rialzo del 2,1 per cento.
Chi ne beneficerebbe? «Innanzi tutto la domanda legata alla ricostruzione: acciaio, cemento, infrastrutture» scrivono gli analisti di Nomura. Che evocano il Namazu, il pesce gatto della mitologia nipponica. Vive sottoterra e quando sfugge alla guardia del dio Kashima si dibatte provocando terremoti e devastazioni, ma anche resurrezioni. Il Namazu è stato spesso associato allo spirito di rinascita del Giappone dopo le grandi sconfitte militari, soprattutto la seconda guerra mondiale. Ora però spopola tra Wall Street e le business room di Riyad, Mumbai, Mosca e ovviamente Shangai.
Anche JP Morgan traccia uno scenario a breve, che vede ribassi per le materie prime in relazione al rallentamento dell'economia, e poi un loro rilancio legato soprattutto all'energia, alle costruzioni e alla finanza. Tutti settori che dovrebbero beneficiare del temporaneo ko nipponico. Il motivo è evidente: l'ondata di ripensamenti sul nucleare pomperà da una parte le energie cosiddette verdi (fotovoltaico, eolico, biomasse), dall'altra le vecchie fonti quali petrolio, gas e carbone. Il che significa dire Cina, Arabia, Medio Oriente, Russia e ancora Cina. Se rallenta il nucleare le tre fonti energetiche più immediatamente disponibili sono il petrolio, il gas ed il carbone. Soprattutto quest'ultimo, sempre trascurato dagli analisti: ma quanti sanno che già secondo il World Energy Outlook 2010 da qui al 2035 il vecchio carbone è destinato a consolidarsi come la prima fonte energetica del mondo, passando dal 39 al 45 per cento della produzione globale? E indovinate chi sta facendo incetta di miniere e diritti, dall'Africa all'Asia? La Cina. Quanto al gas, la Gazprom stava rinegoziando le forniture con tutti i paesi europei in piena crisi libica: contratti lunghi e un po' onerosi in cambio di forniture stabili e strategiche rispetto al greggio. Ora gli inviati del colosso russo, e di Vladimir Putin, moltiplicano i contatti. Su questo punto è giusto dare anche a Silvio ciò che è di Silvio: a lungo accusato di aver legato se stesso e l'Eni alla dipendenza energetica dal gas russo (files di Wikileaks in testa), il premier italiano vede in fondo premiate le proprie scelte: con petrolio e nucleare ballerini, il gas risulta indispensabile all'Italia. E certo Putin è tra coloro che si fregano le mani; ma non è il solo.
L'Edison, per esempio. Azienda simbolo del capitalismo privato italiano, con domicilio in Foro Buonaparte a Milano, è oggetto del pressing insistente della francese EdF, colosso energetico pubblico che sta a Nicolas Sarkozy quasi quanto la Gazprom sta a Putin. Una guerra tra azionisti vede contrapposti EdF e A2A, guerra che si era conclusa con una spartizione a vantaggio dei francesi, finché Giulio Tremonti non ha bloccato tutto. Ma è interessante l'obiettivo dichiarato della EdF: fare di Edison «l'hub strategico per il gas nel Sud Europa». Dopo il carbone il gas, dunque. E dopo ancora, ovviamente le energie verdi. Forse qualcuno ha notato che nel bagno generale di piazza Affari collegato alla crisi libica e al Giappone, tra i pochi titoli che hanno salvato le penne ci sono Enel Green Power e la Cir. Che cosa c'entra la finanziaria di Carlo De Benedetti? Semplice: controlla la Sorgenia, azienda deputata al business delle rinnovabili.
Stessa cosa in Germania per Q-Cells, Nordex e SolarWind (otto punti guadagnati in un solo giorno a Francoforte), in Danimarca per la Vestas Wind Systems (più 5 per cento alla borsa di Copenhagen), a Madrid per Gamesa. E se questo accade per aziende tutto sommato di dimensioni piccole e medie, proviamo ad immaginare le ricadute future per colossi come la tedesca E.On o l'americana Bechtel. Le rinnovabili però costano, più di quello che danno, e la situazione non cambierà per molti anni. Devono i
nsomma essere sovvenzionate, ed il record lo abbiamo proprio in Italia: quest'anno gli incentivi graveranno per 5,7 miliardi sulle bollette di tutti i cittadini, che di elettricità verde non consumano neppure un watt. Una situazione insostenibile per molti governi, Roma e Berlino in testa. Ma ora la lobby delle rinnovabili, attivissima a Bruxelles, sta proponendo facilitazioni comunitarie per i pannelli solari e le pale eoliche: e vedrete che la spunterà. E poco importa che già il 50 per cento della produzione di tecnologia fotovoltaica sia, di nuovo, in mano alla Cina.
Alla fine, però, è ancora a Wall Street che è bene guardare attentamente. Benché acciaccati, gli squali - tra cui il nostro Gordon Gekko - hanno un'altra grande chance, ed è impensabile che non la sfruttino. Per esempio: il Giappone ha il più alto debito pubblico mondiale, ma è anche con 882 miliardi di titoli di stato americani il maggior creditore degli Usa dopo la Cina. Se riduce un po' per finanziare la ricostruzione, i prezzi dei T-bond scendono e di conseguenza il loro rendimento sale. A loro volta i titoli in yen saranno costretti ad offrire cedole superiori. Tutto questo potrebbe riaprire la guerra mondiale delle obbligazioni. Ma c'è qualcosa di ancora più importante nell'agenda giapponese del dopo disastro: si tratta dell'adesione alla Trans Pacific Partneship, una zona di libero scambio con Australia, Nuova Zelanda, Usa, Cile, Perù, Malaysia, Vietnam, Brunei, Singapore. La trattativa è stato finora osteggiato da due potenti lobby nipponiche, quella agricola e quella automobilistica.
Ora Tokyo potrebbe avere l'interesse o la necessità di uscire dal proprio non più splendido isolamento commerciale. L'asse che si creerebbe modificherebbe la geografia commerciale planetaria andando ad urtare le alleanze di Cina e India. Che a questo punto intensificherebbero le attenzioni verso le altre economie emergenti del Sud America, verso il Medio Oriente ed anche verso la vecchia Europa. «Ferro azzurro ama Anacot acciaio» diceva Michael Douglas. Occhio alle nuove Anacot: Gekko le ha già puntate.
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L'atomo tricolore se ne va all'estero
Nei centri di ricerca Enea e Infn si lavora sull'atomo ma i cervelli sono pronti a emigrare con lo stop al nucleare.
Disillusione, stanchezza, preoccupazione. E un clima da «dita incrociate», nella speranza che un no ideologico al nucleare non faccia saltare la ricerca. Costringendo alla fuga all'estero i cervelli che avevano creduto, negli ultimi anni, di poter lavorare nel nostro Paese. Il mondo della ricerca segue con trepidazione gli eventi seguiti all'incidente di Fukushima. E, soprattutto, l'onda anti-nucleare che attraversa l'opinone pubblica. E che getta un'ulteriore incognita, dopo quella del referendum, sul futuro in Italia di chi lavora sul nucleare.
Tra gli studenti, la disillusione è diffusa, e in molti guardano già all'estero. Come Carlo, 23 anni, che studia ingegneria energetica e tecnologie nucleari alla Sapienza, a Roma. E confessa di aver perso le speranze di lavorare qui, visto l'impeto della preoccupazione popolare. «Sono pronto ad andare via, magari nelle centrali estere dell'Enel», dice. «Qui c'è troppa sfiducia, qui. Non penso che il nucleare italiano riparta». Più drastico ancora il suo compagno Pietro, 26 anni, laureando. Che spiega di essere sempre stato un cervello in procinto di fuga. «Ho messo in conto di andare all'estero quando mi sono iscritto. Certo che questa di Fukushima potrebbe essere la mazzata finale, l'ultima di una serie di disillusioni. Sono arrabbiato con la disinformazione e la mentalità italiana: qui se parli di nucleare, si pensa subito e solo alla paura di Chernobyl».
La paura della ricerca, invece, è che si arrivi a un niet emotivo che blocchi tutto. «Sono due i possibili effetti che l'incidente potrebbe avere sul mondo della ricerca», dice Gianni Lelli, Commissario Enea Nuove Tecnologie. «Il primo è un aumento dell'attività: da eventi come negativi come questi bisogna imparare a costruire meglio, più sicuro. Ma il secondo effetto possibile è uno stop completo. Qualcuno che dica: «Lasciamo perdere del tutto, non rendendosi conto che la tecnologia non può essere interrotta ideologicamente. Noi stiamo a guardare l'evoluzione della vicenda e incrociamo le dita». Nell'attesa di qualche decisione definitiva, comunque, i cervelli del nucleare italiano continuano a lavorare. Anche perché «uno stop completo del nucleare in Europa», sottolinea Lelli, «è impossibile».
E pure all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare si prosegue. «La nostra ricerca va avanti, sui settori che ci competono», spiega Umberto Dosselli, vicepresidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. «Alcuni di noi avevano visto di buon occhio il riaprirsi di un discorso serio, tranquillo e scientifico sul nucleare. Ma il modo in cui è stato cavalcato l'incidente in Giappone ne fa dubitare. La speranza, comunque, è che il Paese voglia avvalersi del nostro lavoro. Sennò è un'occasione mancata». Anche e soprattutto per la ricerca, che già è costretta a contare sui progetti futuri per finanziarsi. «Considerati stipendi e costi di funzionamento», spiega il ricercatore Infn Paolo Valente «il budget della ricerca è già stato tagliato del 50%, taglio che dovrebbe essere recuperato in parte su progetti che dovrebbero essere finanziati dal Cipe e in parte sulla valutazione del merito». L'esaurimento delle risorse a disposizione della ricerca sarebbe un danno che non colpirebbe solo l'industria dell'energia, ma anche tutti i campi legati alla fisica nucleare. «In un certo senso», dice Valente, «la parola nucleare è sempre foriera di preoccupazioni irrazionali. Chi si ricorda che noi fisici abbiamo inventato la risonanza magnetica nucleare per scopi assolutamente di ricerca di base?».
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Gli scienziati conoscono le conseguenze.E' qualcun altro a ignorarle volutamente. |
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Bravo Principe! Condivido! |
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Il processo di Norimberga ha sentenziato l'inalienabilità della responsabilità individuale in ogni caso, perfino per il militare in tempo di guerra il quale rifiutandosi di obbedire rischierebbe la Corte Marziale con l'inevitabile sentenza della fucilazione. Lo scienziato, consapevole, sarebbe in ogni caso un criminale. |
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Le nubi non hanno confini di Stato.
Una centrale nucleare francese è a 200 Km dal confine italiano; un'altra svizzera a 120 Km ed altri possibili pericoli ci minacciano dalla Germania e dalla Slovacchia. Siamo, come in passato, per la politica delle mani nette. |
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CONGRESSO BERLINO - ATTENTATO AL RE - MINISTERI CAIROLI
IL PRIMO MINISTERO CAIROLI: IL SUO PROGRAMMA -IL TRATTATO DI SANTO STEFANO - RIPERCUSSIONE DEL TRATTATO RUSSO-TURCO AL PARLAMENTO ITALIANO - IL CONGRESSO DI BERLINO - LA POLITICA ITALIANA DELLE "MANI NETTE - INDIGNAZIONE PER IL CONTEGNO DEI RAPPRESENTANTI ITALIANI AL CONGRESSO - MATTEO RENATO IMBRIANI E "L'ITALIA IRREDENTA" - IL DISCORSO DI PAVIA - LA POLITICA DEL "REPRIMERE E NON PREVENIRE" - DAVIDE LAZZERETTI - II DISCORSO DI ISEO - VIAGGIO DEI REALI D' ITALIA - PASSANANTE ATTENTA ALLA VITA DI UMBERTO I - DISCUSSIONE PARLAMENTALE SULLA POLITICA INTERNA - IL TERZO MINISTERO DEPRETIS - DISCUSSIONE PARLAMENTARE SULLA POLITICA ESTERA - LA "LEGA DELLA DEMOCRAZIA" - IL DISEGNO TAJANI SUL MATRIMONIO - DISEGNO DI LEGGE SULL'ABOLIZIONE DELLA TASSA SUL MACINATO - CONFLITTO TRA I DUE RAMI DEL PARLAMENTO - DIMISSIONE DEL MINISTERO DEPRETIS IL PRIMO MINISTERO CAIROLI - IL TRATTATO SI SANTO STEFANO - IL CONGRESSO DI BERLINO - LA POLITICA ITALIANA DELLE « MANI NETTE » - M. R. IMBRIANI E L' ITALIA IRREDENTA --------------------------------------------------------------------------------------
IL PRIMO MINISTERO CAIROLI IL TRATTATO DI SANTO STEFANO - IL CONGRESSO DI BERLINO LA POLITICA ITALIANA DELLE " MANI NETTE " - M. R. IMBRIANI E L'ITALIA IRREDENTA
Nel modo in cui era caduto il governo DEPRETIS (il 9 marzo 1878) il Re, sovrano da soli due mesi, giudicò inopportuno il tentativo di far costituire un terzo ministero Depretis, e affidò proprio al nuovo presidente della Camera, BENEDETTO CAIROLI (che era stata la causa della caduta del governo) l'incarico di formare un nuovo governo. Cairoli, come uomo, non solo godeva la stima del sovrano ma godeva anche molta simpatia nel Parlamento e nel Paese. CAIROLI il 24 marzo formava il ministero tenendo per sé la presidenza e dando l'Interno a GIUSEPPE ZANARDELLI, gli Esteri al senatore conte LUIGI CORTI, le Finanze e il Tesoro al SEISMIT-DODA, i Lavori Pubblici ad ALFREDO BACCARINI, la Grazia e Giustizia a RAFFAELE CONFORTI, la Pubblica Istruzione a FRANCESCO DE SANCTIS, la Guerra al generale senatore GIOVANNI BRUZZIO e la Marina all'ammiraglio senatore ENRICO di BROCCHETTI.
Esponendo il suo programma, CAIROLI diede a molti l'impressione che non era l'uomo di Stato di cui abbisognava l'Italia in quel preciso momento. Promise di ripristinare il Ministero dell'Agricoltura, inopportunamente soppresso, e lo ripristinò, infatti, tenendo lui stesso l'interim e chiamandovi nel novembre ENRICO PESSINA; promise una prossima riforma tributaria per la quale non fosse più colpito "il proletario nel meschino e sudato frutto del suo lavoro"; promise ancora una riforma elettorale in cui il principio della capacità avrebbe sostituito quello del censo; annunziò maggiori spese per la marina e per le strade ferrate; ma nulla disse sulle questioni più difficili ed interessanti, mostrando di non avere al riguardo, una via chiaramente tracciata; non parlò cioè delle idee del Governo sulle finanze, non fece parola dei rapporti dell'Italia con l'Austria e delle relazioni con l'Estero e si limitò a dire: "II momento è grave, il domani incerto; l'Italia in amichevoli relazioni con tutte le potenze, saprà con il proposito di una neutralità sottratta od ogni pericolo mantenersi rispettata". Ed era veramente poco! Perché invece veramente grave era il momento che attraversava l'Europa. La Russia, vincitrice, aveva imposto con il "trattato di Santo Stefano" (3 marzo 1878) condizioni di pace molto dure alla Turchia: indipendenza della Serbia, accresciuta con i distretti di Nisch e di Mitrovitza; indipendenza ed accrescimento del Montenegro, che riceveva i porti adriatici d'Antivari e Dulcigno; indipendenza della Romania; dotazione alla Bosnia ed all'Erzegovina d'istituzioni moderne sotto il controllo della Russia e dell'Austria (da notare quest'ultima! che aveva permesso tutto questo alla Russia, convinta di guadagnare chissà cosa); erezione della Bulgaria in principato autonomo protetto dalla Russia; libera navigazione del Danubio; libertà di passaggio alle navi mercantili per i Dardanelli e il Bosforo; riforme in Armenia, a Creta e nelle province greche soggette alla Porta; indennità di guerra di un miliardo e quattrocentodieci milioni di rubli. Di questa somma la Russia lasciava un miliardo e cento milioni in cambio di Batum, Ardahan, Kars (sul Mar Nero) ed Aloschkert in Asia e della Dobrugia in Europa, che cedeva alla Romania per riavere la Bessarabia.
Contro il "trattato di Santo Stefano" protestarono l'Inghilterra (intanto rafforzava la sua base a Malta) e l'Austria, che si vedevano lese nei loro interessi; la Russia cercò di ottenere l'appoggio della Germania, ma BISMARCK dichiarò di voler restare neutrale e propose solo un congresso delle grandi potenze a Berlino per la revisione del "trattato di Santo Stefano". L'Inghilterra fece qualcosa di più, ma in gran segreto, il 6 giugno, cioè sei giorni prima del congresso che si apriva il successivo 12 giugno a Berlino: firmerà con i Turchi un trattato, impegnandosi a difenderla da ogni "ulteriore" attacco russo, e ottiene pure dalla Porta di poter occupare l'isola di Cipro.
Anche in Italia le condizioni della pace russo-turca ebbero una ripercussione. Nella prima settimana di aprile, VISCONTI-VENOSTA, MICELI, MUSOLINO e PANDOLFI interpellarono il Governo sulla linea di condotta che avrebbe tenuto nella questione orientale, e FELICE CAVALLOTTI parlò del pericolo che per l'Europa costituiva una Russia "piantata da padrona sull'Egeo, sul Bosforo e nell'Adriatico" e sostenne che l'Italia aveva interesse ad accordarsi con l'Inghilterra e con l'Austria, cercando di ottenere da quest'ultima, il possesso delle terre irredente.
A tutti il ministro degli Esteri CORTI dichiarò che il Governo italiano nei prossimi negoziati, ispirandosi al principio di nazionalità, avrebbe cercato di conciliare i contrastanti interessi e che in caso di un nuovo conflitto si sarebbe mantenuto "in quel contegno di rigorosa imparzialità che corrispondeva all'unanime sentimento della Nazione".
Il congresso di Berlino si aprì il 12 giugno e durò fino al 13 del mese successivo. La Germania era rappresentata da BISMARCK, del principe HOHENLOHE e dal barone WERTHER; l'Inghilterra da BENIAMINO DISRAELI, dal marchese di SALISBURY e da lord RUSSEL; la Francia da WADDINGTON, da DESPREZ e dal conte di SAINT-VALLIER; l'Austria-Ungheria dal conte ANDRASSY, dal barone HAYMERLE e dal conte KAROLY; l'Italia dal conte CORTI e dal conte de LAUNAY; la Russia dal principe GORTCIAKOFF, dal barone d' OUBRIL e dal conte SCHOUVALOFF; la Turchia da CARATHEODORY-pascià, da MEHEMET-ALì e da SADULLAH-BEY.
Nel congresso -pur dopo una revisione- fu riconosciuta l'indipendenza della Romania, della Serbia e del Montenegro, al quale fu lasciato il solo porto di Antivari e furono assai ridotti gli ingrandimenti territoriali; la Romania cedette alla Russia la Bessarabia ricevendone la Dobrugia; si restrinse il territorio del principato Bulgaro; si stabilì di restituire alla Turchia la Macedonia e di accordare alla Rumelia orientale una larga autonomia amministrativa; si limitò a due mesi l'occupazione del territorio bulgaro da parte delle truppe russe, che, secondo il trattato di Santo Stefano, dovevano rimanervi due anni; la Bosnia e l'Erzegovina rimasero sotto la nominale sovranità della Porta ma furono occupate e amministrate dall'Austria, la quale inoltre strappò al Montenegro il porto di Spitza, e ottenne di porre una sua guarnigione nel sangiaccato di Novi Bazar e che nelle acque di Antivari non entrassero navi da guerra delle varie nazioni. Fu mantenuta la neutralizzazione del Danubio e confermata la libertà degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Una commissione europea doveva elaborare la costituzione bulgara e riorganizzare le province greche soggette alla Turchia. L'8 luglio i rappresentanti inglesi comunicarono che il 4-5 giugno l'Inghilterra aveva ottenuto dalla Turchia di poter occupare Cipro, ma non rivelò di aver fatto anche un trattato antirusso.
Nel congresso di Berlino l'Italia ebbe una parte puramente passiva. Fra l'altro il conte CORTI (che rimase in carica solo sei mesi) arrivò al Congresso assolutamente impreparato, non avendo conoscenza alcuna dei problemi lì in discussione (dal 1861 al 1881 l'Italia ebbe 19 ministri degli esteri!)
Vi si presentò senza un programma o, meglio, con il programma della "politica delle mani nette". I propositi di CRISPI di non permettere, senza compensi per l'Italia un ingrandimento dell'Austria erano stati del tutto dimenticati, e si era perfino lasciata cadere l'offerta di compensi nell'Albania, fatta dal Bismarck e da lord Derby, e non si erano intavolate le trattative per un'alleanza contro la Francia che il cancelliere tedesco si era dichiarato pronto a stipulare. L'Italia fu anche schernita: quando il rappresentante italiano fece quel vago tentativo per ottenere all'Italia il Trentino, Gorciakov osservò (con un chiaro riferimento alla guerra del '66) che "l'Italia doveva aver perduto un'altra battaglia se chiedeva di annettersi un'altra provincia".
Né questo fu tutto. Nell'agosto e nell'ottobre del 1876 (l'abbiamo già accennato nel precedente capitolo) il conte austriaco ANDRASSY aveva proposto all'Italia di cercare a Tunisi o altrove compensi per un'eventuale occupazione austriaca della Bosnia e dell'Erzegovina (insomma era come dire "fatevi una guerra per conto vostro"); e nel febbraio del 1877 pure il generale russo IGNATIEFF (che poi stipulò il trattato di Santo Stefano) aveva spinto il governo italiano ad occupare la Tunisia; ma il DEPRETIS non aveva raccolto le proposte, ostinato nell'idea di ottenere una rettifica dei confini orientali della penisola (Trento e Trieste - ma che l'Austria non voleva nemmeno sentirne parlare).
Nel febbraio del 1878 (quindi prima del Congresso) l'Inghilterra e l'Austria avevano fatto alcune aperture con il Depretis (pochi giorni prima della caduta del suo governo, formato poi da Cairoli) per un accordo mirante a difendere i comuni interessi commerciali e politici nel Mediterraneo, ma il DEPRETIS aveva rifiutato ed essendosi rinnovate poco dopo le proposte inglesi lo stesso aveva fatto il CAIROLI, facendo rispondere il 28 marzo a lord DERBY che l'Italia non avrebbe preso "impegni categorici e tali da poterla condurre ad un azione".
E come se tutto ciò non bastasse, il 6 giugno del 1878, alla vigilia quasi del congresso di Berlino, il CORTI aveva scritto all'ambasciatore NIGRA a Pietroburgo dichiarando che l'Italia si sarebbe "presentata al congresso assolutamente libera da qualsiasi impegno con tutti i gabinetti europei". E così il rappresentante italiano non patrocinò gli interessi della nazione al congresso, non protestò contro l'occupazione austriaca della Bosnia ed Erzegovina e contro gli altri vantaggi ottenuti dal vicino impero austro-ungarico, mantenne un silenzio quasi costante, e non si accorse nemmeno che l'Inghilterra, con il consenso della Germania, aveva dato alla Francia piena libertà per Tunisi. Probabilmente le grandi potenze si misero a ridere, quando il rappresentante italiano sosteneva il principio dello status quo nel Mediterraneo e dell'integrità territoriale dell'Impero turco sia nei Balcani, sia nell'Africa settentrionale. Loro avevano - con i patti segreti, con i consensi o chiudendo gli occhi - già diviso tutto, o deciso di dividersi tutto in futuro.
Enorme fu l'indignazione degli Italiani quando videro che il ministro degli Esteri conte LUIGI CORTI aveva chiesto niente e ovviamente ottenuto niente al congresso. Uomini di ogni colore politico inveirono contro il Governo che con la sua politica debole e di rinuncia disonorava la nazione e minacciava di rovinarla. Numerosi comizi di protesta furono tenuti in molte città. In quello tenuto a Cesena, AURELIO SAFFI disse: "Dalla coscienza dei diritti, di dovere, d'onore nazionale esce l'agitazione presente, e guai per la nazione italiana se così non fosse. Il silenzio dei popoli su ciò che offende la dignità dell'essere loro, è segno di decadenza, foriera di servitù".
RUGGIERO BONGHI scrisse: "La coscienza dell'Italia, in quanto si è chiarita nell'azione della sua diplomazia, è apparsa misera, angusta. Una nazione diventata grande è come un uomo salito su un monte: una più gran distesa di terre, di acque, di cose gli si rivela agli occhi. La diplomazia d'Italia, diventata grande Nazione, nella prima crisi di generale importanza cui ha assistito, non è parsa aver toccato nessuna cima. Anzi, le giogaie delle Alpi da una parte e il mare dall'altra non le hanno lasciato vedere nulla al di là. L'Italia non si è sentita di assumere, già com'è, popolata da ventisei milioni di uomini, un posto, un ufficio, una missione nel mondo".
Quelli che più gridarono ovviamente furono gli "irredentisti", capitanati da MATTEO RENATO IMBRUNI, il quale nel marzo del 1875 aveva fondato il battagliero giornale "L'Italia degli Italiani" con un programma "irredentista" e nel maggio del 1877 aveva fondato l'Associazione Italia Irredenta (suo il termine "irredentista")
Irredentista noto era pure il CAIROLI, che nel novembre del 1877, inaugurandosi il monumento dei Caduti a Mentana, aveva affermato: "Noi non ci trarremo mai dalla politica militante finché non vedremo riunite all'Italia le province ora soggette a dominazione straniera. Il sacrificio di Mentana è stato fecondo: siamo a Roma; ma l'ultima mèta non è per nulla raggiunta e si conseguirà soltanto con la concordia degli animi e con la forza del sacrificio". Ma erano solo parole.
Gli irredentisti non sapevano darsi pace che, con un presidente del Consiglio che condivideva le loro idee ed i loro sentimenti, la diplomazia italiana a Berlino si era lasciata giocare in quel modo. Il fermento per i risultati del congresso non fu lieve. A Venezia i dimostranti assalirono il consolato austriaco e ne calpestarono e poi gettarono in un canale lo stemma. A Roma, il 21 luglio, si tenne un gran comizio irredentista, presieduto da MENOTTI GARIBALDI e vi si reclamò a gran voce la liberazione di Trento, di Trieste, dell'Istria, di Nizza, di Malta e del Canton Ticino. Il generale GARIBALDI e AVEZZANA invitarono Triestini e Trentini ad insorgere. Ma insurrezioni non ve ne furono; esodi di giovani, fra cui GUGLIELMO OBERDAN, per sottrarsi al servizio militare austriaco sì; ed essi accrescevano il numero degli irredentisti e rendevano più intensa la passione della lotta mentre sulle colonne dell'"Italia degli Italiani" IMBRIANI chiamava l'insuccesso diplomatico di Berlino "la sventura maggiore che l'Italia avesse sofferta dopo Novara" e scriveva profetando: "Si vanno svolgendo putride ore; a riscattarle occorrerà, fra non molto, tanto sangue italiano; il delitto di Berlino, così leggermente commesso, le cui conseguenze sono incalcolabili, richiederà sforzi e sacrifici del pari incalcolabili". La linea d'orizzonte del 1915 è ancora molto lontana, ma la vista fin d'ora era chiarissima
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