ambiente
22/03/2011 - L'Onu e la sfida per una risorsa vitale
Siamo acqua al 70%
e lo dimentichiamo
63% sono le famiglie italiane che consumano acqua minerale
Oggi è la Giornata dell'oro blu: un miliardo di
persone non ne ha abbastanza. E nel Primo Mondo crescono gli sprechi,
mentre si tenta di privatizzarla
CARLO GRANDE
E’ un bene vitale che manca a oltre un miliardo di
persone, per il quale si combattono guerre palesi o striscianti, che
durano anni; è una risorsa strategica al centro di interessi e appetiti
enormi, dovrebbe essere un diritto per ogni essere umano ma si vuole
ridurre a merce qualsiasi.
Oggi è la Giornata mondiale
dell’acqua, l’allarme lanciato dall’Onu, «Acqua per le città,
rispondere alla sfida urbana», ricorda che l’oro blu sarà sempre più
conteso anche nelle metropoli. La vergogna è che la sfida delle acque
urbane non è dovuta alla scarsità della risorsa, ma alla cattiva
gestione e alla cattiva politica, che non contrastano l’inquinamento e i
cambiamenti climatici, l’avidità delle multinazionali che si
accaparrano questo bene comune.
I dati sul rapporto tra acqua e urbanizzazione, pubblicati sul sito ufficiale del World Water Day 2011 (www.worldwaterday2011.org),
parlano chiaro. La crescita della popolazione urbana avanza al ritmo
di due persone al secondo, metà della popolazione mondiale vive ormai
nelle città, entro due decenni saranno il 60% con punte del 95% nei
Paesi in via di sviluppo.
In Africa e Asia si calcola che la
popolazione urbana raddoppierà entro il 2030, e già ora un abitante su
quattro delle città del mondo (789 milioni di esseri umani) vive senza
adeguate strutture igienico-sanitarie. La sfida dell’oro blu nelle
città aumenta se si considerano i dati sulla povertà: 828 milioni di
persone vivono in baraccopoli o luoghi senza adeguati servizi idrici e
igienico-sanitari. I poveri pagano fino a 50 volte in più per un
litro d’acqua rispetto ai loro vicini più ricchi, poiché spesso devono
comprarla da fornitori privati. L’acqua viene accaparrata soprattutto
da industria e agricoltura (monocolture industriali) e l’inquinamento è
costante: due milioni di tonnellate di rifiuti vengono smaltiti in
corsi d’acqua ogni giorno, dicono gli esperti (nei Paesi in via di
sviluppo il 90% delle acque reflue viene immesso senza essere trattato
direttamente in fiumi, laghi e mari), la salute umana viene compromessa
dalla scarsità di acqua potabile, che provoca malattie come il colera e
la malaria. Le reti di distribuzione urbana sono un colabrodo,
perdono anche il 50% del prezioso liquido, con una stima annuale che si
aggira tra i 250 e i 500 milioni di metri cubi di acqua potabile nelle
grandi città.
Ecco una «grande opera» da affrontare subito.
Il
continente più disastrato è l’Africa: secondo l’Amref, acronimo di
African Medical and Research Foundation, la principale organizzazione
sanitaria del continente nata oltre cinquant’anni fa a Nairobi (Kenya),
nell’Africa subsahariana l’accesso all’acqua pulita è un diritto
fondamentale negato a più del 40% della popolazione: «Senz’acqua non c’è
salute né sviluppo – dice Tommy Simmons, direttore generale di Amref
Italia –. I danni all’agricoltura sono incalcolabili, il bestiame
muore, le lezioni a scuola non si possono svolgere regolarmente e
saltano anche gli equilibri familiari, perché le donne sono costrette
ad assentarsi per ore alla ricerca di acqua, lasciando incustoditi i
figli».
La mancanza di acqua pulita e di servizi igienici
adeguati costa ogni anno all’Africa Subsahariana il 5% del suo Pil ed è
legato, direttamente o indirettamente, all’80% delle malattie.
All’acqua,
prodigioso elemento del quale siamo in gran parte composti, è dunque
legato il destino dell’umanità: fino a ieri la parola d’ordine sembrava
essere privatizzazione, oggi si comincia a capire che la gestione
delle multinazionali non funziona, che dev’essere il settore pubblico a
garantire l’acqua a ogni cittadino: lo si è visto anche a Berlino e a
Parigi, dove il Comune si è ripreso la gestione completa delle acque
sottraendola alle multinazionali Veolia e Suez grazie a
un’amministratrice, Anne Le Strat, non a caso laureatasi con una tesi
sul tema dell’acqua nel conflitto israelo-palestinese.
In un
mondo sempre più ingiusto, il prossimo referendum italiano potrebbe
costituire una svolta: il controllo sull’acqua dovrebbe essere
pubblico, sociale, cooperativo, equo e non destinato alla creazione di
profitto; deve rispettare l’ecosistema, le sorgenti e le falde.
Principi difficili da realizzare se si considera Madre Terra solo come un business, un deposito infinito di materie prime.
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