Georgiche
Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera.
Scena pastorale.
Georgiche, Libro III. Manoscritto, prima metà V sec. d.C.
Le Georgiche (dal greco
"cose attinenti ai contadini") sono un poema di Publio Virgilio Marone, scritto in esametri, composto tra il 36 e il 29 a.C., diviso
in quattro libri dedicati rispettivamente al lavoro nei campi,
all’arboricoltura, all’allevamento del bestiame e all’apicoltura, per un totale
di 2188 versi. Il titolo molto probabilmente deriva da un'opera del poeta greco
didascalico Nicandro di Colofone.
L’opera fu "orientata" da Mecenate seguendo le ispirazioni ideologiche
augustee: venne composta proprio nel periodo relativo all’affermazione di Ottaviano a
Roma e nello stesso periodo in cui Virgilio entrò a far parte del circolo di
Mecenate. Lo stile è più ricco e ricercato rispetto alle Bucoliche,
anche se segue sempre i canoni dell’alessandrinismo.
I libri
Libro I
Vi si trova la dedica a Mecenate e al Princeps; spiega i vari
aspetti della coltivazione dei campi: qualità dei terreni, metodi (come aratura
e semina), i segni celesti che il pastore deve leggere per evitare le calamità
naturali. Importanti gli excursus sulle origini del labor, su quelle del
calendario
e sui prodigi celesti avvenuti dopo la morte di Cesare. Il libro termina raccontando della devastazione
provocata nei campi dalle guerre civili.
Libro II
Invocazione a Bacco
e descrizione della coltivazione delle piante: le varietà, i metodi.
Particolare attenzione hanno la vite e l’olivo. Lodi all'Italia, in quanto terra fertile e ricca di eroi, e alla primavera.
Conclude con l'elogio della serena vita agreste.
Libro III
Invocazione agli dei, lode ad Augusto e preludio dell'Eneide; metodi
di allevamento del bestiame: buoi, cavalli, pecore e capre. Presente anche una sezione dedicata a cani e serpenti. Digressione
sulla pestilenza che sterminò il bestiame nel Norico.
Libro IV
Nuova dedica a Mecenate e invocazione ad Apollo. Descrizione
dell’apicoltura:
descrive abitudini e specie, spiega qual è la stagione migliore per prelevare
il miele e come
curare le malattie che le colpiscono. Excursus sul vecchio di Còrico e
narrazione dell'epillio
del pastore Aristeo, con inserimento in questo di una digressione del mito di Orfeo ed Euridice. Nell'epilogo dell'opera l'autore ricorda il
soggiorno napoletano e la composizione delle Bucoliche.
Le uniche opere certe di Virgilio sono le opere giovanili contenute nell'Appendix
Vergiliana.
Struttura del poema
Anche qui, come nelle Bucoliche, non troviamo componimenti sciolti ma
un vero e proprio poema. I quattro libri che lo compongono possiedono una
chiara autonomia tematica, ma sono collegati da un piano complessivo e da
sottili riferimenti interni: il primo e il terzo terminano in modo
pessimistico, il secondo e il quarto in modo ottimistico. I primi due libri
parlano di una natura inanimata (cioè campi e alberi), mentre gli ultimi due si
riferiscono ad una natura viva (il bestiame e le api).
I proemi, inoltre, si alternano tra lunghi, nei libri dispari, e brevi, nei
libri pari: i più importanti sono quelli del I e del III libro, in cui
ricorrono anche inni di lode ad Ottaviano. Anche per quanto riguarda le
digressioni conclusive, si possono notare corrispondenze simmetriche. La
descrizione delle guerre civili, nel libro I, si lega a quella del libro III
sulla peste che
colpisce gli animali del Norico (gli orrori della storia e gli orrori della
natura); l'elogio della vita campestre, nel libro II, si oppone agli orrori
della guerra e la rinascita prodigiosa delle api, nel libro IV, risponde alla
morte per pestilenza.
Un poema didascalico
Il poema, benché rimanga all'interno del genere didascalico,
non vuole solo spiegare il lavoro dei campi o fornire indicazioni tecniche
sull’agricoltura: mira anche a esaltare l'attività
agricola come palestra di virtù civili e partecipazione del cittadino a
vantaggio della collettività, in accordo con l'ideologia augustea. Virgilio,
in alcuni punti, sembra rifarsi a Lucrezio, il poeta latino autore del poema
didascalico De Rerum Natura, anche se non condivide
pienamente la sua visione della natura. Sotto certi aspetti preferisce
l’orientamento stoico; per altri, come la suddetta esaltazione del mondo
agricolo e la sua minuziosa descrizione, il poeta latino sembra avvicinarsi
molto al greco Esiodo,
con le sue Opere e i giorni (Ἔpγα
καὶ ἡμέραι).
Si avverte in lui la volontà di costruire intorno all’uomo un mondo
“complice”: il mondo della natura campestre è l’unico adatto ad una vita sana e
virtuosa in contrapposizione alla vita cittadina e alla sua corruzione.
Il lavoro
La digressione sulle origini del lavoro presenta quest'ultimo come dono di Giove all'uomo affinché egli, spinto dalla
necessità, acuisse l'ingegno ideando le varie attività e perseguendo il
progresso. In questo mito Virgilio fuse due opposte concezioni del lavoro, una
di Esiodo e
l'altra di Lucrezio.
Del primo mantenne il valore sacrale del lavoro eliminandone il carattere
punitivo (per Esiodo era una condanna di Giove), del secondo mantenne il valore
positivo ed eliminò i tratti laici e razionalistici (per Lucrezio erano stati
la fatica e l'ingegno dell'uomo a segnare la sua evoluzione dall'età primitiva
all'età civile).
Lo stoicismo e le api
Il lavoro visto non più come una condanna, ma come dono divino, viene
rivalutato dal punto di vista etico e culturale. Da questo punto di vista
assume una particolare importanza la figura delle api nella digressione del IV
libro. L'autore mostra le api riprendendo la metafora sociale di Cicerone: esse hanno un’organizzazione
comunitaria, caratterizzata dalla fedeltà alla casa e alle leggi, dalla
condivisione delle risorse e dalla dedizione al lavoro, in una tipica visione
stoica della società. Le api, inoltre, sono disposte anche al sacrificio
personale per il bene comune e mantengono l’assoluta dedizione al capo: tutti
elementi del più puro idealismo augusteo. Con le Georgiche, Virgilio abbandonò
la dolcezza consolatoria della natura presente nelle Bucoliche per trasformare
la natura in cultura, grazie al lavoro dell'uomo.