Toccare con mano
Son stato lì cinque minuti buoni a fissare la rete, le reti anzi, ché ne hanno fatto un secondo giro. Fissato proprio la rete, non quello che c’è dietro. Mi sono avvicinato e l’ho toccata. Filo spesso. Una tenaglia, ho pensato, si è parlato di cesoie, ma tenaglia e tronchese sono strumenti più adatti. Ma nella testa c’è qualcos’altro, tipo un rumore di fondo, un’interferenza.
Ho alzato lo sguardo. Larghe volute di filo spinato. Mi son messo sulle punte dei piedi, ho alzato un braccio e l’ho toccato. E son rimasto perplesso. Niente.
Mi sono acceso un’altra cicca e son stato lì a guardare. Dentro strade di terra battuta, luci potenti e mezzi pesanti. Poi uomini in divisa.
L’aiuto inaspettato
Poi ieri a pranzo ricevo una telefonata e fra le altre cose la mia interlocutrice mi chiede come sia la situazione su. Nel pensiero scorrono le immagini e dico: “Manca solo che mettano Arbeit macht frei sul cancello e poi pare un campo di concentramento”.
Eureka!
Sì, se all’improvviso mi trovassi sulla Discovery al cospetto di HAL 9000 comincerei subito a toccare, a sincerarmi che ciò che vedo sia reale. Toccare la rete, toccare il filo spinato. Guardarsi intorno. Le azioni tipiche di chi visita per la prima volta un set cinematografico.
Sì, perché ciò che si vede in Clarea è la scenografia di tutti quei film sui lager che ho visto nella mia vita, penso.
Cosa quadra e cosa no
- Ci sono quelli della DIGOS che riprendono in continuazione, quindi, sì, siamo sul set di un film.
- Non c’è un varco che mi permetta di andare di là dalle recinzioni, quindi no, questa rete non è SOLO un arredo di scena.
- Però sì, ci sono i militari, le guardie, esattamente come nei film sui lager.
- Ma questi militari sono lontani dalla tipica figura cinematografica delle SS.
- In compenso da come si muovono, da come parlano e da cosa dicono, sembrano appena pescati dalle commedie all’italiana ambientate nel ventennio.
- ma dentro non ci sono prigionieri in pigiama a righe.
- E poi non c’è troupe, non c’è regista e nemmeno sceneggiatura.
Dunque?
No, non credo sia un film. Questa roba è un’altra roba. Sì, è spettacolo, ma non solo.
Allora cos’è?
Da mesi ormai il movimento lo chiama il fortino, ma a un fortino proprio non ci somiglia, a un cantiere meno che mai, ma non è nemmeno una trincea, né una fortezza, né un posto di blocco.
A cosa somiglia, allora?
Somiglia a un lager.
Cos’è un lager? Un campo di lavoro e prigionia.
Sì, le guardie ci sono, ma i prigionieri?
Un’ipotesi
I prigionieri verranno. Chi ha ordinato la costruzione del lager prevede presto di portarceli. D’altronde i tempi sono maturi, la crisi è il momento buono per distanziare le posizioni di sfruttati e sfruttatori, fino a che non diventano schiavi e padroni.
Gli schiavi hanno spesso il vizio di scappare. Meglio tenerli prigionieri. Ci vuole un lager.
Il gioiellino
Ma per ora prigionieri non ce n’è.
Solo guardie. A cosa fanno la guardia?
A una cosa preziosa.
Cosa c’è di così prezioso qui su?
Forse la necropoli neolitica? No, quella l’han spianata con la draga.
Il museo archeologico? No, l’han riempito di piscio e graffiti da autogrill.
Le vigne? Quelle l’han gasate coi CS.
Il paesaggio, le persone? Per carità.
Allora cosa c’è di così prezioso?
Il lager.
Il lager è un gioiellino, una sfolgorante promessa di profitti e ordine.
Gli schiavi assicurano maggiori profitti, i prigionieri sono sempre ordinati. Il lager è lo strumento che permette tutto ciò: è davvaero prezioso.
Poi magari, perché i padroni lo sanno che la speranza aumenta la produttività, glielo scrivono sul serio Arbeit Macht Frei sul cancello.