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Respuesta  Mensaje 1 de 27 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN  (Mensaje original) Enviado: 27/09/2011 04:32

Non c'e' momento piu' rilassante come quello di avere un libro fra le mani e poter scorrere le sue pagine coinvolgendo la nostra mente a la nostra psiche.......
Spesso  le pagine di un libro parlano per
 noi, dicono ciò che avremo  voluto dire
 ma che non sapevamo esprimere;  altre
volte dicono ciò che vorremo sentirci dire; altre ancora ci aprono gli occhi verso qualcosa che fino ad allora ignoravamo, forse anche intenzionalmente...

Se vi fa piacere potremmo riportare brani che ci hanno coinvolto durante la lettura di un libro..........

Distesa sul divano, con le mani tra le ginocchia, Mariam fissava i mulinelli di neve che turbinavano fuori dalla finestra.
Una volta Nana le aveva detto che ogni fiocco di neve era il sospiro di una donna infelice da qualche parte del mondo. Che tutti i sospiri che si elevano al cielo, si raccoglievano a formare le nubi e poi si spezzavano in minuti frantumi, cadendo silenziosamente sulla gente.
"A ricordo di come soffrono le donne come noi" aveva detto. "Di come sopportiamo in silenzio tutto ciò che ci cade addosso".

(Da Mille splendidi soli, Khaled Hoesseini)

Annamaria



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Respuesta  Mensaje 13 de 27 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 30/11/2011 22:44
L'ho letto anch'io più di una volta, è un grande libro!

Respuesta  Mensaje 14 de 27 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN Enviado: 01/12/2011 20:32
 
Un uomo aveva sempre il cielo dell'anima coperto di nere nubi. Era incapace di credere alla bontà. Soprattutto non credeva alla bontà e all'amore di Dio. Un giorno mentre errava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi scuri dubbi, incontrò un pastore. Il pastore era un brav'uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva l'aria particolarmente disperata e gli chiese:
"Che cosa ti turba tanto, amico?".
"Mi sento immensamente solo".
"Anch'io sono solo, eppure non sono triste".
"Forse perché Dio ti fa compagnia..."
"Hai indovinato".
"Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com'è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com'è possibile che ami me?".
"Vedi laggiù quel villaggio?", gli chiese il pastore, "Vedi le finestre di ogni casa?".
"Vedo tutto questo".
"Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell'arco della giornata. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra".
 

Respuesta  Mensaje 15 de 27 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 03/12/2011 00:04

 

 
 
 
La leggenda narra di un uccello che canta una sola volta nella vita, più soavemente di ogni altra creatura al mondo.
Da quando lascia il nido, cerca e cerca un grande rovo e non riposa finché non lo abbia trovato.
Poi, cantando tra i rami crudi, si precipita sulla spina più lunga e affilata. E, mentre muore con la spina nel petto,
vince il tormento superando nel canto l'allodola e l'usignuolo. Una melodia suprema il cui scotto è la vita.
Ma il mondo intero tace per ascoltare, e Dio, in Paradiso, sorride.
Al meglio si perviene soltanto con grande dolore... o così dice la leggenda.
 
 
da "Uccelli di rovo"  -  Colleen McCullough
 
 
 

Respuesta  Mensaje 16 de 27 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN Enviado: 03/12/2011 18:25
 

Stralci dal romanzo di Alphonse de Lamartine,
Graziella.....racconto di uno struggente amore giovanile dell'autore,

 durante un soggiorno a Procida.
 
 
 
 

L'uomo ha un bel guardare ed abbracciare lo spazio; la natura intera non si compone per lui che di due o tre punti sensibili, ai quali tutta la sua anima converge. Togliete dalla vita il cuore che vi ama: che cosa vi resta? Ugualmente avviene della natura. Cancellate il luogo e la casa che i vostri pensieri cercano e che i vostri ricordi popolano, non scorgereste più che un vuoto immenso in cui lo sguardo s'immerge senza trovar né fondo né riposo. Come si può stupire, dopo ciò, che le scene più sublimi della creazione siano contemplate con occhi ben diversi dai viaggiatori? Gli è che ciascuno porta con sé il suo punto di vista. Una nube sull'anima vela e scolora più di una nube sull'orizzonte. Lo spettacolo è nello spettatore. Io lo provai. (p. 111-112)
Un giorno dell'anno 1830, entrando di sera in una chiesa di Parigi, vidi la bara d'una giovinetta, coperta da una coltre bianca. Questa bara mi ricordò Graziella. Mi nascosi all'ombra di un pilastro e pensai a Procida, piangendo a lungo.
Le mie lagrime si asciugarono, ma le nubi che avevano attraversato il mio pensiero durante la tristezza del funerale non dileguarono.
Rientrai silenzioso nella mia camera, svolsi i ricordi che sono tracciati in questo libro e scrissi tutto d'un fiato, piangendo, i versi intitolati: Primo rimpianto. È la nota, resa fievole da vent'anni di distanza, d'un sentimento che fece zampillare la prima sorgente del mio cuore. Ma vi si sente ancora la lacerazione d'una fibra intima che non guarirà mai.
Ecco queste strofe, balsamo d'una ferita, sboccio di un cuore, profumo di un fiore sepolcrale: Non vi manca che il nome di Graziella. Ve lo incastonerei in una strofa, se vi fosse quaggiù un cristallo abbastanza puro per rinchiudere questa lagrima, questo ricordo, questo nome! (p. 151)

 
Isola di Procida-Graziella
 
 

Sulla spiaggia sonora ove il mar di Sorrento
spiega le azzurre sue acque ai pie' degli aranceti,
posa, lungo il sentiero, sotto la siepe odorosa,
una piccola pietra, indifferente
ai piedi distratti dello straniero.

I cespi di viola vi nascondono
un nome che nessuna eco ha mai ripetuto!
Eppur talvolta il passante, arrestandosi,
vi legge tra le erbe una data e un'età,
e sentendosi salire una lagrima agli occhi
dice: «Aveva sedici anni! Troppo presto per morire!»

Ma perché lasciarmi sedurre da visioni lontane?
Che il vento gema e mormori il flutto;
indietro, indietro, o miei tristi pensieri!
Io voglio sognare e non piangere!

 

Respuesta  Mensaje 17 de 27 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN Enviado: 10/12/2011 09:06

 

Le mani di Dio
Un maestro viaggiava con un discepolo incaricato di occuparsi del cammello. Una sera, arrivati ad una locanda, il discepolo era talmente stanco che non legò l'animale.
"Mio Dio, pregò coricandosi, prenditi cura del cammello: te lo affido".
... Il mattino dopo il cammello era sparito.
"Dov'è il cammello?" chiese il maestro.
"Non lo so", rispose il discepolo. "Devi chiederlo a Dio! Ieri sera ero così sfinito che gli ho affidato il cammello. Non è certo colpa mia se è scappato o è stato rubato. Ho semplicemente domandato a Dio di sorvegliarlo. E' Lui il responsabile. Tu mi esorti sempre ad avere la massima fiducia in Dio, no?"
"Abbi la più grande fiducia in Dio, ma prima lega il tuo cammello", rispose il maestro. "Perché Dio non ha altre mani che le tue".
Agisci come se tutto dipendesse da te, ma prega perchè tutto dipenda da Dio
S. Ignazio da Loyola


Respuesta  Mensaje 18 de 27 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN Enviado: 12/12/2011 07:17
Amico, gli dissi quella sera, lei mi consiglia di aspettare tutto da Dio, ma se mi aspetto tutto da lui, che cosa mi rimane da fare?
Ti rimane tutto da fare, disse.
Cerca di capirmi: l'artista più grande non può suonare su delle corde rotte, il soffio del vento resta impotente di fronte alla barca che non ha albero, che ha vele ripiegate, il più puro dei ghiacciai non potrebbe generare un fiume magnifico se nel fondo del suo letto è disteso il sudiciume... e Dio-Amore non può nulla se l'uomo libero non si presenta ritto in piedi, artigiano laborioso della propria vita e operaio del mondo insieme ai tuoi fratelli.
(M. Quoist)
 

Respuesta  Mensaje 19 de 27 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 21/12/2011 13:29

 

 
 
 
 

“Un lieto Natale” da “Piccole donne” di Louisa May Alcott

Nella grigia luce del mattino di Natale, la prima a svegliarsi fu Jo; rimase delusa nel vedere che non vi erano calze appese al camino ma, ricordandosi della promessa della mamma, cercò sotto il cuscino e ne trasse un libretto rilegato in rosso. Era la bellissima storia della vita del miglior Uomo che fosse vissuto; Jo la conosceva bene e sapeva che non poteva esistere un miglior libro-guida per un pellegrino in cammino.
Con un allegro “Buon Natale” destò Meg e le ricordò di cercare sotto il cuscino. Anch’essa trovò un libro con la copertina verde e con alcune parole di dedica scritte dalla mamma. Questo, rendeva il dono ancor più prezioso. Poco dopo Beth ed Amy si svegliarono e, frugando sotto i guanciali, trovarono la prima un libro color cenere, la seconda uno color turchino. Le ragazze cominciarono a sfogliare i libri commentandoli, mentre il cielo si tingeva di rosa per il sorgere del sole.
Margherita, malgrado le sue piccole vanità, era molto buona e saggia ed aveva una certa influenza sulle sorelline, specialmente su Jo che le voleva molto bene.
- Ragazze – disse Meg, abbracciando con un solo sguardo le quattro testine arruffate – la mamma desidera che noi leggiamo ed amiamo i libri: dobbiamo ubbidire fin da ora.
Così detto cominciò a leggere. Io le passò un braccio attorno alle spalle e iniziò la lettura con la guancia appoggiata a quella della sorella.
- Meg è proprio buona – esclamò Beth commossa. – Vieni, Amy, seguiamo il loro esempio; ti spiegherò le parole che non conosci ed io, se non capirò qualcosa, mi rivolgerò a loro.
- Ho piacere che la copertina del mio libro sia turchina! – disse Amy.
Tutta la casa piombò nel silenzio, interrotto soltanto dal frusciare delle pagine. Intanto il sole inondava la camera, augurando il “Buon Natale” alle quattro testine bionde.
- Dov’è la mamma, Anna? – domandò Meg, dopo una mezz’ora, mentre scendeva le scale insieme a Jo.
- Dio solo lo sa! È venuto un povero a chiedere l’elemosina e dopo essersi informata su ciò che gli abbisognava, è uscita con lui. Non conosco nessuna donna più generosa nel donare cibi ed abiti ai poveri.
- Immagino che tornerà presto: prepara intanto le torte: poi prepariamo il resto, – disse Meg, guardando i regali dentro al paniere.
- Ma dov’è l’acqua di Colonia di Amy?
- L’ha presa lei pochi momenti fa per metterci un nastro o non so quale altra cosa – rispose Jo, saltellando per la casa.
- Sono belli i miei fazzoletti? Anna me li ha lavati e stirati ed io li ho cifrati, – disse Beth guardando le cifre piuttosto irregolari.
- Ma guarda, invece di ricamare “M.M.” ha fatto “Mamma”! – esclamò Jo, guardandone uno.
- Ho forse fatto male? Anche Meg ha come cifra una doppia “M” ed io voglio che questi fazzoletti li adoperi soltanto la mamma! – rispose Beth turbata.
- Hai fatto benissimo, tesoro! La mamma sarà molto contenta, – disse Meg lanciando una severa occhiata a Jo e sorridendo a Beth.
- Ho sentito dei passi, presto, nascondiarno i regali! – esclamò Jo concitatamente, ma non era la mamma: era Amy che entrava in gran fretta, tutta confusa nel vedere che le sorelle l’aspettavano già.
- Dove sei stata e cosa nascondi, lì dietro? – chiese Meg molto meravigliata nel constatare che la pigra sorellina era uscita così di buon’ora.
- Non ridere, Jo. Non volevo dirlo a nessuno, ma mi avete scoperto. Sono andata a cambiare la boccetta di profumo con una più grande: ho speso tutti i miei risparmi. Voglio diventare veramente buona.
Amy mostrò la bella bottiglia che avrebbe sostituito quella più piccola ed era così bello ed umile il suo gesto che Meg non potè fare a meno di abbracciarla.
- Stamattina dopo aver letto il libro – mi sono vergognata del mio egoismo. Appena alzata sono uscita per cambiare la boccetta, ma adesso sono contenta perchè il mio regalo è il più bello di tutti – soggiunse Amy.
La porta di casa si chiuse di nuovo e le ragazze fecero sparire rapidamente il paniere sotto il divano.
- Buon Natale, mamma! Buon Natale! Grazie dei libri: abbiamo già cominciato a leggerli e saranno la nostra lettura di ogni mattina – gridarono allegramente le quattro ragazze.
“Buon Natale a voi, figlie mie! Sono contenta che abbiate già iniziato e spero che continuerete. Ma
prima di sederci, devo dirvi una cosa. Poco lontano da qui, una donna ha appena avuto un bimbo. Ne ha già altri sei, che stanno rannicchiati in un unico letto per non gelare. Infatti, non hanno né legna per il fuoco, né qualcosa da mangiare… Bambine mie, vorreste donare loro la vostra colazione come regalo di Natale?”
Per un momento nessuna parlò: avevano un grande appetito poichè attendevano già da un’ora. L’indecisione durò per poco.
- Sono contenta che tu sia arrivata prima che cominciassimo.
- Vengo io ad aiutarti? – chiese Beth con premura.
- Io porto la crema e le focaccine, – soggiunse Amy.
- Sapevo che le mie bambine avrebbero fatto questo piccolo sacrificio – disse sorridendo la signora March. – Verrete tutte con me e quando torneremo faremo colazione con latte, pane, burro.
In pochi minuti tutte furono pronte per uscire. Per loro fortuna, le strade erano deserte e nessuno si meravigliò di quella processione.
La stanza che videro era veramente una stamberga! Il fuoco era spento, le finestre sconquassate; le coperte lacere e in un angolo la madre ammalata col piccolo che strillava. Sotto una vecchia coperta erano sei bambini che, quando videro entrare le fanciulle, sorrisero spalancando gli occhi per la meraviglia.
- Mio Dio! Sono gli angeli che vengono ad aiutarci, – esclamò la povera madre commossa.
- Strani angeli con cappucci e guanti! – esclamò Jo e tutti risero allegramente.
Pochi minuti dopo la stanza aveva mutato aspetto. Anna, che aveva portato la legna da casa, accese il fuoco. Poi, con cappelli vecchi e perfino il suo scialle, chiuse le aperture dei vetri rotti. Intanto la signora March preparava per la madre il tè e una minestra, promettendole nuovi aiuti. Le ragazze preparavano la tavola ed imboccavano i sei bambini, ridendo, chiacchierando e cercando di capire il loro strano modo di parlare. I bambini, tra un boccone e l’altro, le chiamavano “angeli” e questo divertiva molto le ragazze che prima di allora non erano mai state chiamate così, specialmente Jo che, fin dalla nascita, era stata considerata un ” sanciopancia “.
Terminata la colazione, tutte tornarono a casa e forse in tutta la città non vi erano quattro fanciulle più liete.
- Sono contenta di aver fatto un po’ di bene ai nostri simpatici vicini! – esclamò Meg mentre disponeva sulla tavola i doni per la mamma che, in quel momento, stava cercando al piano superiore indumenti per i piccoli Hummel.
Benchè i regali non fossero gran cosa, la tavola così preparata con le rose, i crisantemi e l’edera, faceva un bell’effetto.
Le opere benefiche e la distribuzione dei doni occupò le ragazze per tutta la mattinata; il pomeriggio, invece, trascorse tra i preparativi per la festa di quella sera. Essendo ancora troppo giovani per andare a teatro e non avendo la possibilità di comperare tutto il necessario per le loro rappresentazioni, le ragazze dovevano aguzzare il loro ingegno. Alcune delle loro trovate erano veramente ingegnose: chitarre di cartone colorato, lumi antichi ricavati dalle scatole di burro, abiti di cotonina ornati con diamanti di stagnola, armature di lamina di zinco. Il mobilio della stanza era abituato ad essere messo sossopra per quelle ingenue baldorie. Alle recite erano ammesse solo le bambine, così Jo poteva divertirsi ad impersonare tutte le parti maschili. Essa andava molto orgogliosa di un paio di stivaloni di cuoio che le erano stati regalati da un’amica e di un vecchio fioretto che compariva in tutte le rappresentazioni. L’esiguo numero di attori richiedeva che i principali recitassero varie parti, mutando in tutta fretta gli abiti.
La sera di Natale, su una brandina che fungeva da platea, erano sedute una dozzina di spettatrici: grande era l’attesa davanti al sipario di tela azzurra. Dietro al sipario si udivano fruscii, rumori di passi, un parlare sommesso e le risatine soffocate di Amy, che era in preda ad una grande agitazione.
Finalmente il sipario si alzò e cominciò la ” Tragedia musicale “. La scena rappresentava una foresta oscura: qua e là vi erano vasi di piante, un vecchio tappeto verde simulava il prato. Nel fondo vi era una grotta le cui pareti erano fatte con diverse scrivanie; la scena era resa tenebrosa da un fuoco acceso nella caverna su cui bolliva una pentola, sorvegliata da una vecchia strega. L’effetto era grande specialmente quando la strega alzava il coperchio della pentola, lasciando sfuggire sbuffi di denso fumo nero.
Dopo un attimo di pausa, Ugo, il personaggio malvagio della tragedia, entra sbatacchiando la porta, col cappello calato sugli occhi e gli immancabili stivali. Dopo aver camminato un po’ per il palcoscenico, comincia a cantare il suo odio per Roderigo, il suo amore per Zara e il proposito di uccidere il primo e di farsi amare dalla seconda.
Il sipario si chiuse tra gli applausi degli spettatori che commentarono l’opera masticando frutta candita.
Colpi di martelli risuonarono per tutto l’intervallo, ma quando il sipario si alzò, nessuno ebbe il coraggio di lamentarsi per il ritardo. Una torre si ergeva fino al soffitto, nel centro vi era una finestrella illuminata, attraverso la quale appariva Zara in un elegante vestito azzurro.
Zara doveva uscire dalla finestra, e stava per metter piede a terra, quando lo strascico della sua veste, impigliandosi nelle finestrelle, fa crollare la torre e seppellisce gli infelici amanti. Dalla platea sorse un urlo generale che presto si tramutò in una risata clamorosa mentre, dalle macerie, uscivano agitandosi due stivaloni gialli e una testolina tutta riccioli che gridava:
- L’avevo detto io! l’avevo detto!
Fortunatamente l’incidente si risolse assai felicemente.
Il terzo atto si svolge nel salone del castello dove è nascosta Agar, pronta ad uccidere Ugo e a liberare i due prigionieri. Sentendolo giungere, essa si nasconde e lo vede preparare le bevande, poi volgersi a un servo e dire:
- Porta queste bevande ai due prigionieri e di che verrò tra poco.
Ma Agar, approfittando di un momento di distrazione del malvagio, sostituisce due coppe innocue a quelle avvelenate. Il servo esce e Ugo, dopo un lungo canto, preso dalla sete beve la coppa contenente il veleno destinato a Roderigo. Dopo vari gesti e contorsioni egli cade morto per terra mentre Agar compie interamente la sua vendetta informandolo di tutto il suo operato con una bellissima romanza.
Il quarto atto rivela come Roderigo, che si credeva abbandonato da Zara, voglia uccidersi. Ma un dolce canto lo informa della fedeltà della sua amata e una chiave lanciata dentro la sua prigione gli permette di liberarla.
Il pubblico applaudì freneticamente e l’applauso sarebbe durato a lungo se non fosse accaduto uno strano incidente. La branda su cui erano seduti gli spettatori si chiuse improvvisamente, soffocando il generale entusiasmo.
Ridevano ancor tutti quando Anna entrò portando gli auguri di Buon Natale da parte della signora March ed invitando tutti ad un piccolo trattenimento. Fu una sorpresa anche per le ragazze; sapevano che la mamma avrebbe offerto qualcosa, ma una cena così bella non l’avevano più veduta dal tempo della lontana ricchezza. C’erano due gelati; uno bianco ed uno rosso; torta, frutta, un vassoio di fondante e, nel centro della tavola, quattro bellissimi mazzi di fiori. Le bambine guardarono meravigliate, poi assalirono la madre di domande:
- Sono le fate? – domandò Amy.
- È il Babbo Natale! – disse Beth.
- È stata la mamma! – esclamò Meg, sorridendo felice.
- Per una volta tanto la zia March ha avuta una buona idea! – esclamò Jo improvvisamente.
- Avete sbagliato! – rispose la signora March. – Ha mandato tutto il Sig. Laurence!
- Il Sig. Laurence? Ma se non ci conosce neppure! – esclamò Meg, stupita.
- Anna ha raccontato ad una delle sue domestiche la nostra spedizione di questa mattina in casa Hummel. La storia lo ha commosso, molti anni fa egli era amico del mio babbo, ed oggi mi ha scritto un bigliettino chiedendomi il permesso di mandarvi qualche ghiottoneria, in onore del giorno di Natale. Non potevo rifiutare ed ecco qui un banchetto che certamente vi ricompenserà del pane e latte di questa mattina.
- È certamente opera del suo nipotino: è un ragazzo molto simpatico e mi piacerebbe di conoscerlo. Credo che anche a lui piacerebbe di fare la nostra conoscenza ma è piuttosto timido, e Meg non mi permette di salutarlo quando lo incontriamo, – disse Jo mentre i piatti dei dolci circolavano e l’allegria aumentava sempre.
- È un ragazzo molto educato e non ho alcuna difficoltà che facciate amicizia con lui; i fiori li ha portati lui, lo avrei invitato volentieri se avessi saputo che cosa stavate combinando lassù. Credo che avrebbe accettato molto volentieri, ma…
- Per fortuna non l’ha fatto! la recita è stato un vero fiasco, ma ne faremo delle altre e avremo occasione di invitarlo: forse potrà anche aiutarci. Non sarebbe bello? – disse Jo con entusiasmo.
- Com’è grazioso il mio mazzo di fiori! – esclamò Meg. – È il primo che ricevo!
- Sì, davvero grazioso, ma io preferisco le rose di Beth. – Così dicendo, la signora March aspirò il profumo delle rose ormai appassite che teneva alla cintura.
Beth l’abbracciò e sussurrò:
- Vorrei mandare qualche rosa anche al babbo, non credo che abbia trascorso un Natale così felice come il nostro!

 

 

 

 


Respuesta  Mensaje 20 de 27 en el tema 
De: Butterfy Enviado: 23/12/2011 07:18

Il Natale di Martin

di Leone Tolstoj

In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
- Che Dio ti benedica!-  rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera-  rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.
Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati -  le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: -  Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. -  È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
-  Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.


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De: MOTHERSIXTEN Enviado: 23/12/2011 13:49
 

PERCHE’ ALLA GROTTA C’ERANO L’ASINO E IL BUE

Mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio verso Betlemme, un angelo radunò tutti gli animali per scegliere i più adatti ad aiutare la Santa Famiglia nella stalla.
Per primo, naturalmente, si presentò il leone. “Solo un re è degno di servire il Re del mondo”, ruggì. “Io mi piazzerò all’entrata e sbranerò tutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino! “.
“ Sei troppo violento”, disse l’angelo. Subito dopo si avvicinò la volpe, con aria furba e innocente insinuò:” Io sono l’animale più adatto, per il Figlio di Dio ruberò tutte le mattine il miele più profumato e il latte più ricco di panna. Porterò a Maria e Giuseppe, tutti i giorni un pollo grasso!”.
“ Sei troppo disonesta”, disse l’angelo. Tronfio e sfolgorante arrivò il pavone. Dispiegò la sua magnifica ruota color dell’iride e proclamò:” Io trasformerò quella povera stalla in una reggia più bella del palazzo di Salomone!”. “Sei troppo vanitoso!” disse l’angelo.
Passarono, uno dopo l’altro, tanti animali. Ciascuno magnificava il suo dono, invano.
L’angelo non riusciva a trovarne uno che andasse veramente bene per il compito delicato di custodire e aiutare il Re dei Re. Si accorse però di un paio di animali che continuavano a lavorare, con la testa bassa, nel campo di un contadino, nei pressi della strada di Betlemme.
Erano l’asino e il bue. L’angelo li chiamò:” E voi non avete niente da offrire?”
“Niente”, rispose l’asino ,” non abbiamo niente oltre l’umiltà e la pazienza. Tutto quello che abbiamo in più sono le bastonate!”.
Ma il bue, timidamente, senza alzare gli occhi, disse:” Però potremmo di tanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code”.
L’angelo finalmente sorrise:” Voi siete quelli giusti”.

 

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De: primaveraestate Enviado: 23/12/2011 16:23
Che bella!

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De: MOTHERSIXTEN Enviado: 28/12/2011 14:57
Vecchio, benedetto, Pekisch, questo non me lo dovevi fare. Non me lo merito. Io mi chiamo Pehnt, e sono ancora quello che se ne stava sdraiato per terra a sentire la voce nei tubi, come se quella arrivasse davvero, e invece non arrivava. Non è mai arrivata. E io adesso sono qui. Ho una famiglia, ho un lavoro e la sera vado a letto presto. Il martedì vado a sentire i concerti che danno alla sala Trater e ascolto musiche che a Quinnipak non esistono: Mozart, Beethoven, Chopin. Sono normali eppure sono belle. Ho degli amici con cui gioco a carte, parlo di politica fumando il sigaro e la domenica vado in campagna. Amo mia moglie, che è una donna intelligente e bella. Mi piace tornare a casa e trovarla lì, qualsiasi cosa sia successa nel mondo quel giorno. Mi piace dormire vicino a lei e mi piace svegliarmi insieme a lei. Ho un figlio che amo anche se tutto fa supporre che farà l'assicuratore. Spero che lo farà bene e che sarà un uomo giusto. La sera vado a letto e mi addormento. E tu mi hai insegnato che questo vuol dire che sono in pace con me stesso. Non c'è altro. Questa è la mia vita. Io lo so che non ti piace ma io non voglio che tu me lo scriva. Perché voglio continuare ad andare a letto, la sera, ed addormentarmi. Ognuno ha il mondo che si merita. Io forse ho capito che il mio è questo qua. Ha di strano che è normale. Mai visto niente del genere, a Quinnipak. Ma forse proprio per questo, io qui ci sto bene. A Quinnipak si ha negli occhi l'infinito. Qui, quando proprio guardi lontano, guardi negli occhi di tuo figlio. Ed è diverso. Non so come fartelo capire, ma qui si vive al riparo. E non è cosa spregevole. È bello. E poi chi l'ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l'impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà. È proprio obbligatorio essere eccezionali? Io non so. Ma mi tengo stretta questa vita mia e non mi vergogno di niente: nemmeno delle mie soprascarpe. C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità. E io sono uno di quelli. Si guarda sempre l'infinito qui a Quinnipak, insieme a te. Ma qui non c'è l'infinito. E così guardiamo le cose, e questo ci basta. Ogni tanto, nei momenti più impensati, siamo felici. Andrò a letto, questa sera, e non mi addormenterò. Colpa tua, vecchio, maledetto Pekisch. Ti abbraccio. Dio sa quanto ti abbraccio. Pehnt, assicuratore.

Alessandro Baricco  da Castelli di Rabbia
 

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De: MOTHERSIXTEN Enviado: 02/01/2012 17:04
 
Però quando la gente ti dirà che hai sbagliato... e avrai errori dappertutto dietro la schiena, fottitene. Ricordatene. Devi fottertene. Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto erano solo vita... e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si spacca... ...io questo l'ho capito, che il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro... le sue piccole tristi biglie infrangibili... e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo... sono belle, a me è piaciuto guardarle, per tutto il tempo che ti sono stato vicino... ci si vede dentro tanta di quella roba... è una cosa che ti mette l'allegria addosso... non smetterla mai... e se un giorno scoppieranno anche quella sarà vita a modo suo... meravigliosa vita.
 (Andersson)
 

Respuesta  Mensaje 25 de 27 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 03/01/2012 14:10

 

 

 
 
 
Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare.
Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa,
mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa
che può cominciare con una parola, con un incontro, con l'amico di un amico di una persona
che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra
diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro d'umanità dinanzi
al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove.
La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare.
 
"Un indovino mi disse" -  Tiziano Terzani
 
 
 

Respuesta  Mensaje 26 de 27 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN Enviado: 03/01/2012 17:27
 
Che cerca il mare quando fragoroso
con le onde richiama verso sé le creature?
E il sole quando picchia all'orizzonte prosciugando
di ogni linfa perfino le distese erbose?
E i fulmini, quando non paghi del roboante tuono,
cadono a picco con lampi minacciosi?
I venti tempestosi, che chiedono? I fiumi tumultuosi?
I vulcani accesi di fiamme immense e perigliose?
Che chiede la natura con la belligeranza che manifesta?
Che vuole comunicare a chi la vive e a chi la sente?

 
 

Quello che chiede un uomo quando piange.
Che un bimbo in mezzo ad una strada, tacitamente cerca insieme all'elemosina pietosa.
Che chiedono madri afflitte sul corpo di un fanciullo donato per la guerra.
Quello che invocano i corpi-immagine di un anima malata,
negli ospedali dell'umana solitudine rinchiusi.
Un'unica voce!
Unico gemito di rabbia e di dolore!
Uno solo il canto che il loro cuore intona: Pace, Giustizia e Carità!
Chiedono amore.

 
 

Amore per l'amore e per nient'altro.
Amore per la pace perché è lo specchio della comunione di tutti i cuori.
Amore per la guerra, perché fa male... ma perché tanto male sente in cuore suo chi la crea e poi la nutre con i suoi fratelli migliori.
Amore inoltre per la povertà perché è sorella prediletta dell'ingiustizia di queste società.
Amore per i mali corporali perché son mali da mancanza d'amore.
Amore per sé stessi, perché ognuno proietti intorno a sé i propri raggi di luce e di colore.
Possano questi tempi di ingiustizia e di dolore portare agli uomini il dono del perdono per se stessi.
Possa quel dono aprire poi le porte dell'Immensa Comprensione e possano essere attraversate le sue ante dalla Scintilla del Divino Amore.
Anna Perrino
 

Respuesta  Mensaje 27 de 27 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN Enviado: 10/01/2012 10:29
 
CANTO DEL CUORE
 C'era una volta un grand'uomo che sposo' la donna dei suoi sogni.  Con il loro amore misero al mondo una bambina.   Era una bambina intelligente e allegra e il grand'uomo le voleva molto bene.
Quando era molto piccola, la prendeva in braccio, canticchiava a bocca chiusa un motivetto e ballava con lei per la stanza e le ripeteva: "ti voglio bene bambina".
Quando la bambina era diventata piu' grandicella, il grand'uomo l'abbracciava e diceva. "ti voglio bene, bambina".  La bambina si imbronciava e obiettava: "non sono piu' una bambina".  Allora l'uomo rideva e rispondeva : "ma per me sarai sempre la mia bambina".
La bambina che non era piu' bambina lascio' la famiglia e se ne ando' per il mondo.  Imparando piu' cose riguardo a se stessa, imparo' piu' cose anche riguardo al grand'uomo.  Capi' che era davvero grande e forte, perche' ora ne riconosceva i punti di forza.  Uno dei suoi punti  di forza era la capacita' di esprimere il suo amore per la famiglia.  Dovunque lei andasse in giro per il mondo, l'uomo le telefonava e le diceva : "ti voglio bene, bambina".
Venne il giorno in cui la banbina che non era piu' bambina ricevette una telefonata.  Il grande uomo stava male.  Aveva avuto un ictus.  Era afasico, le spiegarono.  Non riusciva piu' a parlare e non erano sicuri che capisse quello che gli si diceva.  Non riusciva piu' a sorridere, a ridere, a camminare, ad abbracciare, a ballare o a dire che voleva bene alla sua bambina che non era piu' bambina.
E cosi' lei ando' al capezzale del grand'uomo.  Quando entro' nella camera e lo vide, lui le sembro' piccolo e tutt'altro che forte.  Lui la guardo' e cerco' di parlare, ma non ci riusci'.
La bambina fece l'unica cosa che poteva fare.  Sali' sul letto avvicinandosi al grand'uomo.   Lacrime scendevano dagli occhi di entrambi e lei con le braccia cinse le fragili spalle di suo padre.
Con il capo sul petto di lui, penso' a molte cose.  Rammento' i bellissimi momenti trascorsi  assieme  e come si fosse sempre sentita protetta e amata dal grand'uomo.  Provo' dolore per la perdita che avrebbe sofferto, le parole d'affetto che l'avevano confortata.
E poi udi' dall'interno dell'uomo il battito del suo cuore.  Il cuore in cui avevano sempre vissuto la musica e le parole.  Il cuore continuava a battere, sempre indifferente al danno subito dal resto del corpo.  E mentre era li' avvenne la magia.  Senti' quello che voleva sentire.   Il cuore scandiva le parole che la bocca non poteva dire....Ti voglio bene, ti voglio bene bambina bambina.
E fu per lei un conforto.
                                               Party Hansen
 
Se imparassimo tutti e dire spesso nella vita TI VOGLIO BENE!!.........
 


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