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Respuesta  Mensaje 1 de 8 en el tema 
De: enricorns  (Mensaje original) Enviado: 31/08/2012 11:18

Un sacerdote risponde

Le chiedo se ci salviamo da soli o se la nostra salvezza ricada beneficamente anche su quelli di casa

Quesito

Caro Padre Angelo,
il mio problema è questo: Ci salviamo da soli, come singoli, o la nostra salvezza in qualche modo ha effetti sui nostri cari?
Faccio un esempio: poniamo il caso che le mie speranze si avverino e che io, al momento della mia morte, otterrò misericordia per i miei peccati e sarò accolto in Paradiso.
Molto bene! Perfetto!
Domanda: sarò in grado di "godermi" il Paradiso, se vedo che i miei cari non sono nella mia stessa felice situazione ma anzi so per certo, poniamo, che si trovano all'inferno?
Ho letto da qualche parte che il Paradiso è come un giardino bellissimo con tante meravigliose fontane di marmo e d'oro da cui zampilla allegramente acqua purissima. Solo che non è acqua, ma ciò che zampilla sono le lacrime dei dannati.
Com'è possibile che un "beato" possa essere felice sapendo che suo padre o sua madre, sua moglie o suo marito, una sorella o un nonno sono all'inferno e soffrono un tormento troppo atroce anche solo a immaginarlo?
Il povero Lazzaro sarebbe stato felice in seno a padre Abramo, se accanto al ricco epulone che lo supplicava dall'inferno avesse visto sua madre o sua moglie negli stessi tormenti?
Provo a immaginare possibili soluzioni al mio problema:

1.-Una volta entrati in Paradiso, diventiamo egoisti, ci godiamo la nostra "fortuna" e gli altri si arrangino: potevano essere meno dissoluti! -Credo che possiamo scartare questa ipotesi.

2.-Una volta entrati in Paradiso, Dio ci purificherà la mente, togliendoci il ricordo delle persone care conosciute sulla terra. -Credo che possiamo scartare anche questa ipotesi, che ci trasformerebbe in degli zombi, e noi non saremmo più noi stessi.

3.-Una soluzione accettabile potrebbe essere che Dio, una volta che ci abbia salvati in Paradiso, per rendere perfetta la nostra gioia, ci "regali" anche la salvezza eterna di coloro che ci sono cari. E questo non nel senso che faccia entrare in Paradiso persone che non ne sono degne, ma nel senso che mentre queste persone sono ancora in vita, le "tempesta" di grazie, e non le lascia in pace (in senso buono) finché non si convertano e diventino sante.
Ma un'idea simile (che mi pare meravigliosa) è sostenibile teologicamente, e sulla testimonianza non solo della Bibbia, ma anche della letteratura religiosa in generale, della mistica, delle rivelazioni private, ecc.? Ha a che fare, in tutto questo, la Comunione dei Santi?
La ringrazio.
Leonardo


Risposta del sacerdote

Caro Leonardo,
1. entrando in Paradiso, la nostra volontà sarà perfettamente conformata con quella di Dio.
In Paradiso i Santi amano con tutto il cuore quello che ama Dio e vogliono tutto quello e solo quello che vuole Dio.
Cantano tutti insieme dicendo: "Sì, Signore, Dio onnipotente; ?veri e giusti sono i tuoi giudizi!" (Ap 16,7).
In Paradiso subisce una trasformazione anche il nostro modo di amare.

2. Hai fatto bene a scartare la prima e la seconda ipotesi.

3. Sulla terza convengo con te che il Signore "tempesti" di grazie...
Ma aggiungo: "Tempesta di grazie tutti", ma alcuni resistono, anzi sono diventati del tutto sordi alla sua chiamata.

4. Tuttavia c’è forse una grazia particolare che ricade sui parenti a motivo di una persona che in famiglia si è consacrata a Dio.
In base alla letteratura religiosa, ti posso dire che un giorno Santa Bernadette Soubirous, facendo visita alle novizie, ne vide che una piangeva. Chiese il perché. E la novizia: "Mi è arrivata la notizia che è morto mio papa".
Al che Santa Bernadette rispose: "Si consoli sorella, le anime dei genitori di un religioso non vanno all'inferno".

5. Don Bosco diceva che la famiglia che dona un figlio al sacerdozio o alla vita religiosa è benedetta. Intendeva dire anche per la vita eterna? Io amo pensare così.
San Luigi Orione diceva che quando un ragazzo o una ragazza parte dalla propria famiglia per entrare in Seminario o in Convento, il suo posto in quella famiglia lo prende un Angelo.

6. Concludo con un fatto tratto dalla vita di Santa Caterina da Siena. Tutti in casa volevano assolutamente che Caterina si sposasse, mentre lei aveva fatto il voto di verginità. Le dicevano: “Sarai costretta a prender marito; non avrai requie finché non avrai fatto la nostra volontà.”
“Durante il tempo che succedevano questi narrati, mentre un giorno l'ancella di Cristo pregava fervorosamente nella camera del fratello più giovane, ad uscio aperto perchè le era stato proibito dai genitori di chiudersi nelle stanze, ecco che arriva il babbo Jacopo; ed è lì per entrare, forse per prendere, in assenza del figlio, qualche cosa di necessario. Guardando intorno, invece di quel che cercava vide la figliuola, più di Dio che sua, genuflessa in un cantuccio a pregare, e una colomba bianca come la neve le stava sospesa sul capo, la quale, appena egli fu entrato, volò in alto, e poi, come a lui parve, se ne andò via per la finestra.
Domandò allora alla figlia che colomba fosse, quella che era volata via, e lei rispose di non aver veduto né colombe né altro. Egli restò ancora più ammirato, e tutto conservando nel suo cuore, non finiva di rifletterci sopra” (Vita, 52).
“Dopo un po' di tempo si calmarono e il padre, che amava assai Caterina, ed anche perché temeva Iddio, ricordandosi della colomba che aveva veduto, e di alcune altre cose che aveva osservato con meraviglia, mi si dice le rispondesse così: «Dio ci guardi, dolce figliuola mia, dal contraddire in alcun modo alla divina
Volontà, dalla quale vediamo procedere il tuo santo proposito. Ce n'eravamo accorti da tempo, è vero, ma ora lo sappiamo con certezza che non sei mossa a questo da leggerezza di gioventù, ma dall'impulso del divino amore: adempi pure il tuo voto. Fai come ti piace e come ti
insegnerà lo Spirito Santo. Da qui in avanti ti lasceremo in pace alle tue sante opere, né impediremo più i tuoi santi esercizi. Prega molto per noi, perché possiamo esser degni delle promesse del tuo Sposo, che per la sua grazia ti scegliesti fin dai primi anni». Rivoltosi, quindi, alla moglie ed ai figliuoli, disse loro: «Nessuno dia più noia alla mia dolcissima figliuola; nessuno ardisca in alcun modo di impedirla; lasciate che serva come le piace al suo Sposo, e che preghi incessantemente per noi. Mai potremmo acquistare una parentela simile a questa; né dobbiamo lamentarci, se invece di un uomo mortale riceviamo un Dio ed un Uomo
immortale» (Vita 55).
Mi piace pensare che in questa particolare parentela con Dio sia racchiusa una speciale benedizione in vita e in morte per quelli che in casa hanno dei consacrati.

Ti saluto, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo

da: amicidomenicani



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Respuesta  Mensaje 2 de 8 en el tema 
De: MOTHERSIXTEN Enviado: 31/08/2012 15:55
 
 
 
Credo in un Dio buono, che ama
i propri figli e la sua grandezza
permettera' di accogliere tutti in
un grande abbraccio che purifichera'
l'anima nel momento del trapasso.

Respuesta  Mensaje 3 de 8 en el tema 
De: enricorns Enviado: 31/08/2012 16:08
Credo in Dio Giusto

Respuesta  Mensaje 4 de 8 en el tema 
De: enricorns Enviado: 02/09/2012 08:39

Un sacerdote risponde

Vorrei conoscere la distinzione tra eutanasia e accanimento terapeutico

Quesito

Gentilissimo padre,
la contatto in quanto, pur consultando i vari documenti della Chiesa in materia, non riesco a capire bene il concetto di accanimento terapeutico, ovvero la sua distinzione dall'eutanasia.
Nell' attesa di una sua risposta, le porgo i miei ringraziamenti e i miei saluti
La pace di Cristo
Davide


Risposta del sacerdote

Caro Davide,
1. accanimento terapeutico ed eutanasia sono due atteggiamenti fra di loro contrari.

2. Per eutanasia s’intende la volontà di procurare la morte per pietà, allo scopo di eliminare radicalmente le ultime soffe­renze.
Pertanto per eutanasia s’inten­de “un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle sue intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa dunque al livello delle intenzioni e dei metodi usati”. Così si è espressa la Congregazione per la dottrina della fede nella Dichiarazione sull’eutanasia Iura et bona del 5.5.1980 (par. II).

3. Per accanimento terapeutico invece s’intende la volontà di ritardare con ogni mezzo e ad ogni costo il momento della morte anche quando le terapie che si prestano non servono più a nulla.
Si tratta di un’ostinazione inutile e anche dannosa per il paziente che viene sottoposto a gravi sofferenze.

4. Il giudizio morale della Chiesa condanna tutte e due le pratiche.
L’eutanasia si configura come una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione delibe­rata e moralmente inaccettabile di una persona umana.
A seconda delle modalità con cui viene attuata porta con sé la malizia pro­pria del suicidio o dell’omicidio.

5. L’eutanasia non è mai lecita perché la vita umana non è di proprietà dei singoli individui.
E che non ne siamo proprietari risulta dal fatto che l’esistenza non ce la siamo data noi né che continuiamo a darcela da soli.
L’esistenza ci viene sempre irrorata di istante in istante da Dio.

6. Tu potresti dirmi: ma questo discorso vale anche per gli animali, eppure è lecito ucciderli.
Ti rispondo dicendo che il discorso è diverso perché la persona umana ha un’anima spirituale, direttamente creata da Dio e destinata ad esistere per tutta l’eternità. Proprio per questo la persona appartiene solo a Dio, ha valore di fine e non di mezzo.
Gli animali invece per venire all’esistenza non hanno bisogno di un intervento creatore da parte di Dio. Inoltre, non essendo destinati ad esistere eternamente (non hanno un’anima immortale), sono nell’ordine dei mezzi e le persone ne sono godere la proprietà.

7. Per l’accanimento terapeutico desidero precisare che ho parlato di terapie.
Queste si possono sospendere quando sono chiaramente inefficaci.
Tuttavia è necessario distinguere tra terapie e cure.
Dare alimentazione ad una persona non è una terapia, ma una cura.
Le cure normali come il nutrimento, la ventilazione e l’idratazione non vanno mai omesse.
Pertanto se l’accanimento terapeutico va tralasciato, non vanno tralasciate invece le cure di cui ti ho parlato.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

da amicidomenicani


Respuesta  Mensaje 5 de 8 en el tema 
De: enricorns Enviado: 09/09/2012 19:28

Un sacerdote risponde

Se i divorziati non risposati che vivono da soli e nella continenza più assoluta possano ricevere i Sacramenti

Quesito

Caro Padre Angelo,
visto che i divorziati risposati non potrebbero accedere alla Santa comunione se non vivono come fratelli e sorelle, allora Vi chiedo: i divorziati non risposati che vivono da soli e nella continenza più assoluta possono ricevere tale Sacramento?
In caso di risposta negativa se uno dei due è il colpevole della rottura coniugale l'altro può accedere a tale Vitale Sacramento? E nella fattispecie come si può dimostrare tale estraneità alla rottura del vincolo coniugale in ispecie nei confronti del sacerdote che deve procedere alla preventiva confessione.
Vi ringrazio per la risposta ed un abbraccio fraterno.
Calorosissimi saluti.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
sono diverse le questioni che mi poni.
1. La prima è questa: se i divorziati non risposati che vivono da soli e nella continenza più assoluta possano ricevere l’Eucaristia.
La risposta è affermativa, soprattutto se uno è stato vittima del divorzio.

2. Mi chiedi anche se il coniuge colpevole della rottura possa fare la santa Comunione.
Per fare la Comunione deve essere pentito di ciò che ha fatto.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda che “il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte” (CCC 2384).
Ma se chi è responsabile del divorzio si pente e poi vede che è impossibile riprendere la coabitazione, può fare la Santa Comunione.

3. Mi chiedi infine come si possa dimostrare di aver subìto il divorzio davanti al sacerdote confessore.
Di per sé è sufficiente la buona coscienza di chi si confessa. E il confessore ne deve prendere atto.
Tuttavia spesso succede che anche chi ha subìto il divorzio non si sia sempre comportato in maniera retta e abbia dato motivo all’altra parte di rompere la coabitazione e di giungere al divorzio.
Ma anche in questo caso, se è sinceramente pentito, nulla vieta che possa fare la santa Comunione.

4. Devo anche aggiungere che non sempre chi cerca il divorzio è colpevole della situazione. Può darsi che cerchi il divorzio per mettere fine a una situazione che diversamente non è riparabile.
Dice il Catechismo della Chiesa cattolica: “Se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale” (CCC 2383).

5. Come vedi dalle risposte, il problema grosso è quello del divorziato risposato. Dal momento che si risposa va a stare con una persona che non è suo marito o sua moglie. E in questo modo vive in una situazione permanente di adulterio.
Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384)

Ti ringrazio del quesito, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


Respuesta  Mensaje 6 de 8 en el tema 
De: lore luc Enviado: 10/09/2012 02:25
nella bacheca dela mia chiesa parrocchiale c'è un avviso a tutto tondo che invita i divorziati ad astenersi dalla Comunione: sic et simpliciter

Respuesta  Mensaje 7 de 8 en el tema 
De: enricorns Enviado: 10/09/2012 05:40
La lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede parla di Divorziati risposati o che comunque vivono una situazione di convivenza.
Non è il divorzio in sé, anche nel caso che ci sia stata una precisa responsabilità personale da parte di uno o di entrambi i coniugi, a precludere l’accesso alla comunione, bensì le loro eventuali scelte successive se vengono a collidere con la legge di Dio, mai dispensabile da qualsivoglia autorità umana, dell’indissolubilità del vincolo e della fedeltà. Inoltre, il coniuge, che oggettivamente o soggettivamente si ritiene responsabile del naufragio coniugale, è tenuto ad avere lo stesso atteggiamento di ogni fedele di fronte al peccato con il sincero pentimento, il proposito di non commetterlo più e la riparazione nella misura del possibile.
In conclusione: va premesso per chiarezza che il divorziato non è uno scomunicato e che, ancor meno, deve essere considerato come tale. Per poter ricevere la sacra comunione, il divorziato - che continua comunque a rimanere fedele al patto coniugale, ancorché responsabile del tracollo coniugale - se non può riparare alla ferita inferta al matrimonio, è almeno indispensabile che si penta per il peccato commesso e abbia il fermo proposito di tenersi lontano da tutto ciò che possa comportare il rischio di profanare il sacro vincolo, fermo restando che esso continua a durare quanto la reciproca sopravvivenza dei coniugi, benché separati o divorziati
 
Recentemente il papa ha affermato.
 
Solo i "puri", ha ribadito il Pontefice, coloro che non sono macchiati dal "peccato" possono ricevere l'ostia consacrata: gli altri troveranno comunque "nel desiderio di comunione e nella partecipazione all'eucaristia una forza e una efficacia salvatrice".

"Il peccato grave - ha proseguito Benedetto XVI - si oppone all'azione della grazia eucaristica". Ricevere l'assoluzione prima di avvicinarsi all'eucarestia, è indispensabile per la religione cattolica. Assoluzione che può essere data solo se il fedele si assume l'impegno a non continuare nel peccato: per questo viene negata ai divorziati risposati che non rinunciano all'unione sessuale.
 
ma questo vale per tutti e non solo per i divorziati-
 
 
comunque questo non esclude la partecipazione dalla vita della Chiesa, come ha espresso il Cardinale Scola nella recente lettera pastorale

Respuesta  Mensaje 8 de 8 en el tema 
De: enricorns Enviado: 10/09/2012 05:45
Alla tua e alla coscienza di ognuno nessuno, neppure la Chiesa, può porre veti, ma è necessario che essa inviti a ascoltarla in modo corretto e nella verità.


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