Occorre distinguere tra i peccati, al plurale, ed il peccato, al singolare e che potremmo quasi scrivere con la lettera maiuscola. Questo peccato potrebbe essere paragonato ad un albero che produce frutti marci. Nelle nostre confessioni – continua nel suo esempio – spesso ci limitiamo a raccogliere questi frutti marci. Oggi potremmo porre la scure alla radice. Da giovane – racconta – sono rimasto colpito dal fatto che il ceppo di un albero non viene via se non si mette l’accetta sul “fittone”, una specie di radice madre. Questa radice madre dell’albero peccato, questo peccato radicale, consiste nel non riconoscere Dio. Non si tratta, tanto, del non credere in Dio, quanto del rifiutarsi di dargli la gloria che gli spetta. Commentando il primo capitolo della lettera ai Romani, Padre Raniero mostra come San Paolo abbia voluto chiaramente mostrare l’origine dei peccati. I versetti 18 e seguenti, «… pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio…» sono alla base dei versetti 24 e seguenti: «Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore…». Quando cerchiamo la nostra gloria e accampiamo diritti davanti a Dio non facciamo che adorare l’opera delle nostre mani ed essere idolatri. Ecco identificata la radice del nostro peccato, una sola lettera la divide dalla parola Dio: “io”, me stesso. Non si tratta qui di rinunciare a quello che noi siamo – avverte Padre Raniero – ma a quello che siamo diventati, a questo “falso me stesso” che abbiamo fatto crescere non mettendo mano alla “scure” della Parola di Dio, che è la spada dello Spirito e ci rivela la verità su noi stessi. Occorre scegliere tra due modi di vivere: per noi stessi, mettendo al centro il potere, i soldi e il nostro comodo, o per il Signore, come ci invita Rm 14, 8, facendo della gloria di Gesù il centro della nostra vita.
Padre Raniero Cantalamessa fa notare che Gesù non ha mai vietato a nessuno di voler essere “primo”, ma ha indicato la strada per essere veramente primi: «chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (Mc 10, 43). Nietzsche avrebbe dato altri consigli – ironizza il Predicatore – come quello di fare di tutto per emergere sugli altri, imponendo se stessi anche a discapito altrui. Ma qui si tratta di fare una rivoluzione copernicana: non dobbiamo porre noi al centro della nostra vita, ma Cristo.
Scoperta la “radice” ed impugnata la “scure” della Parola di Dio dobbiamo decidere di dare il colpo decisivo a questa radice: scegliere oggi chi vogliamo servire. A questo punto Padre Raniero invita l’assemblea a rinnovare con forza e convinzione le promesse battesimali, al termine delle quali, però, ha ancora una “provocazione” da proporre all’assemblea.
Il problema di far entrare Cristo nella nostra vita è tipico di una fase di prima conversione; nei momenti di crescita spirituale, invece, quando si tratta di fare un passaggio di livello nella nostra vita spirituale, il problema non è tanto quello di far entrare Cristo in noi quanto quello di farlo uscire. Cristo è dentro di noi e bussa per uscire allo scoperto e permeare tutte le zone della nostra vita. Spesso, invece, finisce con l’essere murato vivo in un cuore di pietra, magari non proprio prigioniero, ma certamente in libertà vigilata: “questo puoi chiedermelo, questo no”. Così il messaggio che Cristo ci invia a portare al mondo non raggiungerà mai il destinatario perché – spiega Padre Raniero citando Franz Kafka - il messaggero è irretito, la città è ingombra di ostacoli ed il mondo aspetterà invano alla finestra un messaggio che non arriverà.
Come possiamo far emergere Cristo? Attraverso l’opera dello Spirito Santo. Oltre a convincere il mondo quanto al peccato, l’opera dello Spirito Santo, come ci viene mostrato dal racconto di Pentecoste, fa in modo che pur parlando lingue diverse ognuno sente proclamare le meraviglie del Signore. Il contrario del peccato non è la virtù – chiosa Padre Raniero Cantalamessa – ma la lode: in questo tempio di Dio tutti dicano Gloria!
tratto da una riflessione di Padre Raniero Cantalamessa