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Quasi ogni giorno sentiamo parlare di centralità della persona: lo fanno politici, economisti, medici... Dovrebbe essere un momento di condivisione per un obiettivo comune: lavorare concretamente sul riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano come punto di partenza e di riferimento per una società che difende davvero il valore dell’uguaglianza. Un Paese che voglia veramente dirsi civile deve essere in grado di mettere tutti i propri cittadini nella condizione di vivere con dignità anche l’esperienza della fragilità, della malattia, della grave disabilità, promuovendo l’inclusione e non l’esclusione sociale o, peggio ancora, l’isolamento e l’abbandono. Tutto deve e può nascere solo dal desiderio e dal bisogno della conoscenza reale e concreta di ciò che ci circonda. In caso contrario ci troveremo davanti a parole, opinioni, ideologie.
La legge 18 del marzo 2010 (che ratifica convenzioni Onu per i i diritti delle persone con disabilità) all’articolo 10 – 'Diritto alla vita' – dice: «Gli Stati riaffermano che il diritto alla vita è connaturato alla persona umana e adottano tutte le misure necessarie a garantire l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri». Oggi più che mai si deve affermare che ogni vita, qualunque sia la condizione, è degna di essere vissuta e tutti noi abbiamo il dovere di favorire un ambiente in cui sia possibile affermare la propria libertà di scelta in uguaglianza con tutti gli altri cittadini. Non si deve alimentare il cosiddetto 'teorema del benpensante', secondo il quale in determinate situazioni di fragilità o di malattia la vita non è più degna di essere vissuta. I benpensanti perdono di vista il nucleo del problema: la vita umana, l’essere umano, la persona. Si dovrebbe guardare alla vita umana come mistero non riducibile al suo livello biologico e non manipolabile da nessuno. È una questione totalmente e radicalmente 'laica', che ha riguardato e riguarda ognuno di noi. Basta nascondersi dietro a falsi ideologismi pregiudiziali sulla definizioni di dignità della vita.
La dignità della vita, di ogni vita, è un carattere ontologico che non può dipendere dal concetto di qualità 'misurata' in base a un processo utilitaristico. E quale aiuto è oggi possibile? In questa domenica che vede coincidere due significative Giornate nazionali – della Sla e dei Risvegli, protagonisti i malati di Sclerosi laterale amiotrofica e i pazienti in stato vegetativo, insieme a famiglie, medici e volontari – ne vorrei indicare due: la speranza e lo sguardo. Come scriveva sant’Agostino, «l’esistenza stessa di ogni uomo non manca di speranza; anzi, fino alla morte, ciascuno non è privo di speranza; speranza nei fanciulli: di crescere, di istruirsi, di apprendere qualcosa; speranza negli adolescenti: di prender moglie, generare dei figli; speranza nei genitori dei figli: di allevarli, di istruirli, di vedere adulti quelli che vezzeggiavano bambini» ( La città di Dio, 15 ,21 ). E ogni volta che queste singole speranze trovano risposta, vengono esaudite, ne nascono altre: ricevendo ciò che si spera non ci si sente soddisfatti, ma si desidera altro.
È con questo significato – il desiderio – che forse va intesa la speranza: l’uomo sempre desidera qualcosa per sé e per gli altri, come riverbero del desiderio di senso, di infinito, di felicità. E la speranza poggia sull’incontro con un altro che spera, in cui intravede la possibilità per sé di vivere ed essere felici, e con una speranza già vissuta e in atto. La speranza è uno strumento di vita, di dignità. E poi, lo sguardo: strumento di centralità, di cura e di dignità. Si tratta di un fare memoria reciproca: il fatto che l’altro c’è è fonte di speranza ed è un fatto presente, che deve succedere ogni giorno, soprattutto nella difficoltà. La speranza è ciò che ti fa guardare al futuro poggiando sul presente e su quello che c’è di positivo.
Dobbiamo far tesoro delle parole del beato Giovanni Paolo II nella Evangelum vitae : «Il vangelo della vita non è esclusivamente per i credenti: è per tutti... Nella vita c’è sicuramente un valore sacro e religioso, ma in nessun modo esso interpella solo i credenti: si tratta, infatti, di un valore che ogni essere può cogliere anche alla luce della ragione, e che perciò riguarda necessariamente tutti».