Sembra quasi un paradosso leggere il dossier sul «taglio ai fondi pubblici all’editoria» che pubblica il sito di Radio Radicale. Il documento spiega con tono trionfante che i radicali, fin dal loro ingresso in Parlamento «si sono opposti con ogni mezzo, incluso l’ostruzionismo parlamentare, all’introduzione della legge sui finanziamenti pubblici per l’editoria». Peccato, però, che ogni anno l’emittente del partito di Marco Pannella riceva soldi a iosa dallo Stato e addirittura che li veda crescere anche in tempo di spending review e di sforbiciate, mentre l’informazione italiana fa i conti con i tagli al fondo dell’editoria. Potere di una «lobby» che riesce a scavalcare paletti e argini alla spesa. L’ultimo «regalo» giunge dalla nuova Legge di stabilità che destina a Radio Radicale 10 milioni di euro (all’anno) per mandare in onda i lavori delle due Camere.
Un’attività che già svolge la Rai con Gr Parlamento, ma che la rete di Pannella continua a presentare come un modello di servizio pubblico. E dire che quest’anno l’emittente riceverà 8 milioni di euro dalla convenzione con lo Stato che gli affida la trasmissione delle sedute parlamentari, cui si aggiungono 4 milioni di euro che arrivano dal fondo per l’editoria in quanto organo della lista Pannella. Proprio quel fondo che – a differenza di quanto accade per l’emittente – è stato falcidiato negli ultimi anni e da cui lo Stato attinge per erogare i contributi diretti che sostengono sia le testate politiche e di idee, sia quelle edite da cooperative, fondazioni o enti morali (fra cui Avvenire e i settimanali diocesani), sia quelle delle minoranze linguistiche e delle comunità italiane all’estero, sia i periodici delle associazioni di consumatori Lo scorso autunno il fondo era destinato a sparire dal 2014, ma – anche se non sarà cancellato – potrebbe non essere rifinanziato e quindi morire.
Le cifre testimoniano già quale sia l’andamento: i rimborsi diretti passano da 160 milioni per il 2010 ai 114 milioni per il 2011, come indica il provvedimento del Dipartimento per l’informazione della Presidenza del Consiglio dei ministri. Una somma – quella di 114 milioni – che include 50 milioni «in corso di trasferimento» in base al decreto del ministro dell’economia dello scorso 24 maggio che assegna la cifra «ballerina» al capitolo per gli interventi dell’editoria. E i tagli stanno già minando una galassia che conta circa mille testate e che dà lavoro a quattromila persone. A denunciare «i riflessi gravissimi sul pluralismo dell’informazione e sulla stessa democrazia» erano stati otto direttori di quotidiani – fra cui Marco Tarquinio di Avvenire e Claudio Sardo dell’Unità – e il presidente della Federazione italiana settimanali cattolici, Francesco Zanotti, in una lettera aperta indirizzata al premier Monti lo scorso dicembre. Nella missiva si chiedeva un «rigoroso riordino del settore» ma senza «assestare un colpo mortale» alla libertà di stampa.