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Ha ragione Umberto Folena a ricordare, su queste colonne, che nella guerra tra padre e madre per la custodia del figlio, a Cittadella di Padova, la vera vittima è il figlio. È lui che bisogna sempre salvare, sia quando il matrimonio va bene sia quando va male. Quando fanno un figlio, i genitori fanno qualcosa che li scavalca, che conta più di loro. In ogni divorzio, la soluzione migliore per i figli è l’affidamento condiviso, e la legge, l’ultima legge, lo prevede. Forse non viene applicata, o non bene, ma c’è. Sa che il figlio non deve perdere né il padre né la madre, e questo a prescindere dalle colpe dell’uno o dell’altra.
Sul caso di Cittadella tutti noi, che scriviamo sui giornali, dobbiamo confessare una cosa, che forse è influente sullo svolgimento dei fatti: non sappiamo come mai il bambino fosse prima in affidamento alla madre, e poi sia passato in affidamento al padre, con la patria potestà in esclusiva a lui. Forse (ma non abbiamo prove) la madre commetteva qualche errore (evito di usare il termine colpa: nei genitori c’è colpa quando non amano il figlio, ma questi lo amano, forse troppo), forse davvero instillava nel figlio quella 'sindrome da alienazione parentale' che gli psichiatri negano che esista. Forse, consapevole o no, sminuiva o minava nel figlio l’attaccamento al padre, e lavorava affinché nel figlio crescesse il bisogno di lei e sparisse il bisogno di lui. Più o meno consciamente, lo fatto tutti i separati. Ma qui, visto che nella stragrande maggioranza dei casi il figlio viene assegnato alle madri, dovrei dire 'tutte le separate'. È un modo per minare l’affidamento congiunto, e instaurare un affidamento esclusivo.
La correzione di questi casi contorti e dolorosi sta nel ripristinare e far funzionare l’affidamento congiunto. Adesso questo bambino va in una comunità protetta, poi passerà al padre: anche se il padre avesse patito (e non lo sappiamo) un danno dalla ex-moglie, e l’ex-moglie avesse lavorato per estirpare dal figlio l’immagine del padre, si avrà una soluzione solo se il padre permetterà al figlio di vedere la madre ogni volta che vorrà. Per tornare alla pratica dell’affidamento congiunto.
Qual è l’idea-guida che lo fa nascere? È molto semplice: la separazione dei coniugi non deve diventare separazione dai figli. La formula 'i coniugi sono uniti finché morte non li separi', se rapportata ai figli diventa più grave: con i figli hai una relazione a cui neanche la morte mette fine. Tu muori, ma i tuoi figli continuano a vivere, e tu vivi in loro. Il dramma, quando un padre-separato perde i figli, è qui: poiché i figli sono la sua sopravvivenza, perdendo i figli lui muore per sempre. La reincarnazione di un genitore nel figlio è la continuità della stirpe: è per questo che quando una coppia divorzia, il divorzio tira nella mischia i parenti di lui contro i parenti di lei. Anche qui, a Cittadella.
Questo scontro come fra clan ha sul figlio un effetto devastante: lui si sente l’elemento che spacca non una coppia, ma due file di famiglie, quella del padre con i nonni paterni e quella della madre con i nonni materni. Il bambino sente la famiglia come l’animale sente la tana: è un rifugio, fuori dal rifugio t’imbatti nei nemici, ma in famiglia sei al sicuro, tutti ti vogliono bene. Qui il rifugio-famiglia è scoppiato: padre e madre si combattono in una guerra in cui ognuno cerca di fare all’altro il massimo male, e l’arma per fare il massimo male è lui, il figlio. È un pessimo risultato, e non era inevitabile. Se il bene da preservare era il rapporto del figlio sia col padre che con la madre, l’affidamento congiunto l’avrebbe salvato, e adesso che è distrutto, per recuperarlo non resta che ritentare daccapo: pazienza infinita e vendette zero.