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De: lore luc (Mensaje original) |
Enviado: 18/11/2012 05:51 |
Giampiero Mughini
"Non ho mai visto la celere menare per prima"
"Ai cortei ci andavo pure io e degeneravano sempre per colpa di imbecilli"
Giampiero Mughini
di Giampiero Mughini
"Lo diceva uno che di baruffe se ne intendeva, il capo del
bolscevismo russo, Vladimiro Ulianovic Lenin. Che quando scoppia una
baruffa, è poi difficile distinguere tra chi ha colpito per primo e chi
ha colpito invece per reagire e difendersi". Giampiero Mughini, su
Libero in edicola oggi, sabato 17 novembre, commenta gli scontri che
sono avvenuti in diverse città italiane e parla della sua esperienza.
Racconta Mughini che lui alla fine degli anni Sessanta ha partecipato a
diverse manifestazioni e tutte le volte che queste degeneravano in
scontri con le forze dell'ordine era per il solito gruppo di imbecilli.
Scrive: "Una volta sono andato anch’io in uno di quei cortei con un
casco in testa. Era l’autunno del 1970. Ci muovemmo a decine di migliaia
dall’Università di Roma in direzione di Piazza Venezia. Decine e decine
di migliaia. Ridenti, irridenti, le voci rauche nello scagliare slogan
contro il mondo, i ragazzi con la mano nella mano della ragazza (la mia
si chiamava Daniela, ed era sorella di un futuro terrorista). Arrivammo a
Piazza Venezia senza che nessun poliziotto o altro ci disturbasse
minimamente. Solo che a Piazza Venezia, di fronte all’imbocco di via del
Corso, c’era un blocco della polizia. Lì non potevamo entrare. Niente
di male, mi sembrava e mi sembra. Solo che una gang di militanti del
Potere Operaio ci provò a colpi di bottiglie molotov e avvenne il
finimondo. Cariche della polizia, lacrimogeni, noi che scappavamo
terrorizzati da tutte le parti, io che mi perdetti Daniela e la sua
mano. Succede. Era colpa della polizia? No, era colpa di quegli
energumeni del Potere Operaio, alcuni dei quali brillarono
successivamente negli agguati mortali del terrorismo rosso".
Leggi l'articolo integrale su Libero in edicola oggi, sabato 17 novembre
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...e qui mi fermo perchè mi fa troppo male!!!
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- “ Facciamo ciò per cui siamo pagati, ma non è facile” - MARCO LAVORA AL REPARTO MOBILE. SUL LUNGOTEVERE HA VISTO SFILARE ANCHE SUA FIGLIA (di Sandra Amurri)
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Assieme al casco, al manganello, non ci danno mica in dotazione anche un cuore di pietra. Il mio cuore è quello di un padre che quando torna a casa dopo una manifestazione pensa a come fare a pagare il mutuo e a sfamare i figli con quella miseria di stipendio che prende”. Marco è un poliziotto del reparto Mobile quello che a ogni sciopero e manifestazione viene impiegato per tutelare l'ordine pubblico e si trova di fronte chi urla slogan per i suoi stessi diritti negati. Accetta di parlare a patto che non scriviamo il suo cognome. Quarant'anni, sposato, padre di tre figli. La più grande ha 16 anni, la stessa età di quei ragazzi che il 14 novembre scorso hanno manifestato a Roma, assieme agli operai, per dire no alle politiche liberiste che negano il loro diritto al futuro. “La vuole sapere una cosa? C'era anche mia figlia alla manifestazione. I nostri sguardi si sono incrociati. Era la prima volta che accadeva e per un attimo mi sono sentito mancare il respiro” confessa Marco consegnando l'immagine di due facce di una stessa medaglia che si incontrano sul Lungotevere. “Purtroppo, anche se le loro ragioni sono giuste, noi delle forze dell'ordine dobbiamo, a malincuore, fare quello per cui siamo pagati, perché questo è il lavoro che ci permette di vivere, o meglio, di sopravvivere, campare con un solo stipendio in quattro non è una passeggiata. E per 1.200/1.300 euro al mese ci prendiamo di tutto: sputi, insulti, offese magari a nostra madre morta un mese prima o a nostra moglie e restiamo lì zitti e fermi come è giusto che sia, per carità, ma a volte si sbaglia e a chi non capita di sbagliare quando è sotto pressione? Forse sono un poliziotto troppo sensibile, ma è meglio così, almeno mi sento vivo”. VIVO, CERTO, ma con quel nodo che lo attanaglia alla gola quando la sera “seduto sul divano con i miei figli accanto vediamo scorrere in tv le immagini di colleghi che usano il manganello come fosse un giocattolo e loro attori attori di un film violento.E invece sono poliziotti come me, miei colleghi che menano studenti che manifestano pacificamente con gli zainetti in spalle. Studenti come mia figlia. Mi vengono i brividi solo a pensarci. Mi metto nei panni di quei genitori e mi chiedo cosa farei io se qualcuno prendesse mia figlia a manganellate mentre è in piazza a manifestare”. La voce di Marco si incrina. “Scusi, scusi mi sono commosso un po' per la rabbia un po' perché mi fa male pensare che le persone, invece di vederci come siamo, nient'altro che poveri cristi che cercano di tutelare l'ordine pubblico, ci odiano. Mia figlia mi ha detto che i suoi compagni di scuola le hanno chiesto se sono violento, se uso anch'io il manganello. Capisce com'è diventato difficile fare questo lavoro? Mi rendo conto che può non essere facile, a volte, mantenere la calma di fronte a chi ti si lancia contro con le spranghe di ferro, passamontagna e ti urla:sporco servo, ma tu sei un poliziotto e devi dare l'esempio, tu sei lo Stato e lo devi onorare”. Figli dello stesso popolo, avrebbe detto Pier Paolo Pasolini. “Siamo abituati a fare i conti con la povertà fin da piccoli” continua Marco, nato in un paesino della Basilicata da padre e madre operai in fabbrica, quinto di sei figli. Ricorda bene la risposta del padre quando, dopo le scuole medie, gli chiese di potersi iscrivere al liceo classico: “‘Vuoi che vado a rubare per farti studiare?’. Ci ripenso ogni volta che nelle piazze sento i giovani urlare: lo studio è un diritto e non si tocca. Per me non è stato così. E mi dico: ma che ordine vuoi tutelare, Marco, quando la democrazia ha perso le gambe e cammina con le stampelle? Sai quante volte ho pensato: adesso mi tolgo il casco e mi unisco a loro”. A Francoforte è accaduto. “Non lo so. Però se lo fanno in pochi si chiama abbandono di posto e non obbedienza a un ordine e si finisce davanti al giudice e poi licenziati. Se lo fanno tutti si chiama colpo di Stato e io alla democrazia, seppure zoppa e malconcia, ci credo sempre. Però una cosa la vorrei: i caschi numerati, così si sa subito che non sei tu quel poliziotto che manganellava sul volto un ragazzo caduto a terra. Che brutta storia. Mi sono vergognato per la divisa che porto mentre, a tavola con la mia famiglia, vedevamo in tv quelle scene”. CONTINUA a raccontare, Marco: “Ai colleghi che si difendono dicendo che l'insulto fa andare il sangue al cervello, spiego sempre che niente giustifica l'eccesso e che gli strumenti che abbiamo sono di difesa, non di attacco. Oltretutto ci insegnano che il manganello non deve mai colpire la testa di una persona perché potrebbe anche provocare la morte. Però c'è anche chi sfoga in quel momento tutta la rabbia repressa che ha in corpo per uno stipendio da fame e pensa che quei ragazzi siano tutti figli di papà che protestano per vezzo. Più cresce l'ingiustizia sociale più aumenta la violenza. Ma noi siamo poliziotti e dobbiamo restare umani”.
che questa testimonianza sia VERA o VEROSIMILE, non importa, sono certa che ci sono migliatia di agenti che vivono questo disagio. A loro ... cechiamo di infondere un po' di coraggio, perchè usino testa e cuore, abbiano il coraggio di saper scegliere. Prima durante le azioni di ordine pubblico... sempre misurati, pensando si avere di fronte i loro figli. Poi in caserma a pretendere ordini scritti, cambio filtri maschere secondo le normative, attrezzature e turni di riposo secondo regolamento. Finchè un giorno possano dare l'ultimo colpo di reni e scegliere di disobbedire a leggi ed ordini ingiusti. Di obbedire a leggi non scritte ma che da sempre esistono ed ordinano la civile e solidale convivenza tra umani. In bocca al lupo Marco. |
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La volontà della maggioranza non può pretendere il possesso della verità assoluta, poiché tale verità non esiste. Il principio di libertà impedisce di riconoscere una sola verità: ognuno ha la propria verità, ed anche la propria anarchia. In società, tuttavia, la libertà non può essere assoluta, ma deve essere limitata dal principio della solidarietà e dell'amore verso gli altri.
Errico Malatesta |
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"Mio figlio è un violento il gip sbaglia a scarcerarlo"
Il
padre di uno degli studenti fermati dopo i disordini nella Capitale:
"Soffro per quello che ha fatto. Altro che ragazzate, se li lasciamo
impuniti credono di aver vinto loro"
Quando,
mercoledì, lo ha chiamato la ex moglie dicendogli «ti faccio la
telefonata che ti aspettavi», il mondo gli è crollato.
Perché ti senti morire quando il tuo
incubo di padre si materializza, quando ti informano che tuo figlio, 21
anni, è uno degli 8 violenti arrestati (resistenza a pubblico
ufficiale e lesioni) perché hanno ridotto il Lungotevere, a Roma, a un
campo di battaglia, sanpietrini e violenze contro i poliziotti. Un
colpo, per Giorgio Chiesa, imprenditore, chef stellato titolare di un
noto ristorante a Cuneo. Ma il colpo ancora più grande gliel’ha dato
il Gip di Roma, che al suo Christopher non ha dato nemmeno i
domiciliari chiesti dal Pm, solo un blando obbligo di firma. Di qui la
sua decisione di esporsi in prima persona.
Perché?
«Voglio raccontare la mia esperienza di padre onesto che si
ritrova con un figlio che si macchia di questi reati e soffre. La
società sottovaluta queste cose, le liquida come ragazzate. Ma altro
che semplice firma, dovevano tenerlo dentro più a lungo. Se restano
impuniti li glorifichiamo».
Sta dicendo che suo figlio doveva restare in carcere?
«Senza una punizione gli togliamo persino il senso di colpa. Lui è
tutto tronfio per questa pseudovittoria giudiziaria. Mi ha detto:
“Visto che il Gip mi ha mandato a casa?La lotta continua”. Del resto,
basta guardare il suo profilo Facebook con la frase della fondatrice della banda Baader Meinhof
(«Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono
lanciati mille sassi, diventa un’azione politica...») per capire che
col buonismo non otteniamo nulla. Il mondo non si cambia con le bombe carta ».
Ma perché una denuncia pubblica?
«Sento il dovere, da padre che ha coscienza delle responsabilità
verso il figlio e verso la società, di lanciare un allarme. In questo
momento ci sono focolai di persone che sobillano questi ragazzi, come
30 anni fa. Sono preoccupato, temo che quel periodo si possa ripetere.
E mi piacerebbe che protagonisti di quegli anni come Curcio,
Franceschini, intervenissero per dire ai giovani di oggi: “Non fate lo
stesso errore” ».
Su quali basi teme un rischio terrorismo?
«Intanto c’è quello che capto dai racconti di mio figlio, che studia
Scienze politiche alla Sapienza, mi contesta, fa il comunista ma poi a
Roma ha casa, a mie spese, a Monte Mario, mica a Centocelle. Temo che
lì ci siano cellule combattenti. Questi ragazzi sono plagiati».
Plagiati da chi? In che modo?
«Appena arrestati hanno gli avvocati pronti. Ho incontrato uno dei
suoi legali, dopo l’interrogatorio di garanzia, gli ho chiesto come
dovevo regolarmi, anche per la parcella. Mi ha risposto che almeno
nella fase iniziale, in quanto socio di un centro sociale, ha diritto
al patrocinio di un avvocato, e che non devo nulla».
Cosa ha detto a suo figlio?
«La notte della scarcerazione gli ho mandato un sms. Gli ho detto che
sono suo padre e che per lui sono un punto di riferimento. Ma gli ho
detto anche che, da padre, non posso esimermi dal condannarlo. Io
lavoro, non lancio sanpietrini ai poliziotti. E non possiamo fare di
questi ragazzi degli eroi. Col garantismo familiare non li aiutiamo a
crescere».
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Paghiamo noi l'avvocato ai poliziotti indagati
Un
altro poliziotto indagato dalla magistratura per i tafferugli di
mercoledì scorso. Il Giornale apre una sottoscrizioneper pagare le
spese legali e mediche degli uomini delle forze dell'ordine mandati al
macello nelle manifestazioni di piazza e poi lasciati soli dallo Stato
Un altro poliziotto è stato indagato dalla magistratura per i tafferugli avvenuti durante i cortei di protesta a Roma.
Non è il primo e, temiamo, non sarà l'ultimo vista l'aria che tira.
Un'
aria fetida, alimentata oltre che dai soliti noti anche da opinionisti e
giornali che trasudano odio verso le forze dell'ordine e simpatie
giustificazioniste nei confronti di giovani teppisti che scorrazzano a
volto coperto e armati di spranghe. I dati ci dicono che nel 2011 oltre
400mila tra poliziotti e carabinieri hanno rischiato la vita per
difendere la nostra incolumità e le nostre città durante
manifestazioni di piazza. E che 470 di loro sono rimasti feriti in modo
grave.
Lo Stato è molto generoso con i suoi dipendenti. Gli statali, anche
se fannulloni e incapaci, restano tranquillamente al loro posto. I
magistrati quando sbagliano non rispondono in prima persona dei danni
provocati. Non parliamo dei politici, mantenuti come sappiamo da veri
pascià. Solo poliziotti e carabinieri sono di fatto abbandonati a loro
stessi e inchiodati a responsabilità personali. Se indagati, devono
anticipare le spese dell'avvocato e sperare di essere assolti per
rivedere i soldi spesi chissà quando perché il fondo per l'assistenza
legale esiste solo sulla carta. Se condannati, arrivederci e grazie,
zero rimborsi. Per gente che guadagna poco più di mille euro al mese
può voler dire la rovina. Non parliamo poi delle spese mediche per
esami o cure specialistiche in caso di lesioni. Vi pare giusto tutto
questo? A noi no, per cui abbiamo deciso di aprire una sottoscrizione
del Giornale per pagare le spese legali e mediche degli
uomini delle forze dell'ordine mandati al macello nelle manifestazioni
di piazza e poi lasciati soli da uno Stato ingiusto e cinico, debole
con i forte e forte con i deboli. Apriamo la sottoscrizione noi due,
con mille euro a testa. Siamo sicuri che in tanti aderiranno anche in
tempo di crisi, ognuno per le sue possibilità. Glielo dobbiamo a
questi ragazzi in divisa. E se a qualcuno di loro è scappato uno
sberlone di troppo non ha fatto che bene. Martedì vi daremo le
coordinate bancarie per dimostrare nei fatti da che parte stiamo tutti
noi. Un grazie anticipato e buona domenica.
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I maestrini dell'ideologia bravi a ribaltare la realtà
Sui giornali fioccano false ricostruzioni degli scontri: così s’infiamma il clima contro le istituzioni
Che
siano stati gettati dei lacrimogeni dalle finestre del ministero della
Giustizia, il 14 novembre a Roma in via Arenula, per disperdere un
corteo studentesco in cui si erano inseriti elementi di violenza
organizzata, mi è sembrato a tutta prima grottesco, ridicolo,
incredibile.
Che
bisogno c’era? Le forze di polizia erano in strada, facevano il loro
dovere e attuavano, certo non con le maniere gentili della pedagogia
Montessori, ci mancherebbe, la repressione controllata di testuggini
armate di caschi integrali e di scudi e di cubetti di porfido e altri
ammennicoli che muovevano alla battaglia contro lo Stato. Poi -
siccome alla perfidia umana non c’è limite - ho anche pensato che, se
fosse avvenuto, chissenefrega: un’immagine un po’ sconclusionata,
blandamente censurabile, della reazione di polizia alla guerriglia
urbana, ma niente di più. Comunque i lanci dei lacrimogeni dalla
finestra, dati con grande strepito e scandalo per sicuri in ragione di
un video che riprendeva le scie di fumo apparentemente discendenti,
tempo dodici ore sono diventati anche nel linguaggio dei giornali di
sinistra «presunti», e si è fatta largo l’idea che sono,i segni dei
fumi, parabole di gas lacrimogeni sparati alti, che hanno colpito il
palazzo dove lavora il ministro Severino e sono ricaduti in strada.
Vedremo, inchieste e perizie sono in corso, ma ho l’impressione che sia
stato uno spettacolino piuttosto demenziale di «controinformazione
movimentista» (vogliamo chiamarla così?), perché non mi torna l’idea
di un paio di poliziotti scemi che entrano nel ministero, corrono su
per le scale, si affacciano e sparacchiano lacrimogeni dalle finestre o
di poliziotti penitenziari che, chissà perché, spetardeggiano dai
piani alti. Si poteva fare tutto in strada, entro le normali regole di
ingaggio di una polizia che deve proteggere la sicurezza pubblica,
che bisogno ci sarebbe stato di rendersi ridicoli? Gli studenti di
Rimini che hanno contestato il ministro Cancellieri non hanno avuto
tempo di pensare a queste ovvietà, hanno visto i video di YouTube e si
sono incendiati di conseguenza, accettando l’interpretazione
polverosa che li rassicurava, «polizia fascista»: siamo nelle mani dei
cacciaballe? Lo scrittore banal-monumentale Saviano vuole
organizzare un corteo con i poliziotti e gli studenti fianco a fianco,
ma si può pensare una scemenza più simpatica e sbrigliata di questa?
Nella storia quando la polizia, l’esercito e la marina si mettono al
fianco di folle insorte si fa la rivoluzione, non una parata di buone
intenzioni. Pasolini a suo tempo se la prese con gli studenti figli di
papà e si mise dalla parte dei proletari meridionali in divisa da
poliziotto, c’era una logica poetica e metaforica. Ma che logica c’è,
se non quella di un buffo fumetto sentimentale, nell’immaginare che
funzionari in divisa dotati di manganello e gas lacrimogeni (servizio
pubblico) debbano darsi la mano e procedere uniti con portatori di
scudi o lanciatori di cubetti (faziosi, prepotenti) verso un domani che
canta? Ma dove siamo arrivati nella via da sempre molto affollata che
porta alla più completa stupidità? Si prevedono nuovi traguardi? Sul giornale ipermovimentista che si chiama il manifesto
un opinionista-antagonista ha scritto: non è vero che ci sono cortei
buoni e elementi violenti che li fanno degenerare, la protesta ormai
dilaga e si esercita con spontaneità anche in forme violente, viva la
protesta contro il massacro sociale. Però in quello stesso giorno il
cronista di quello stesso giornale ha scritto: il corteo aveva un
assetto politico ordinato, a un certo punto sono arrivati quelli
vestiti di nero con il casco integrale e gli scudi, hanno preso la
testa della folla in marcia e hanno diretto la manifestazione verso lo
scontro con la polizia. I lettori secondo voi a chi hanno creduto? Al
cronista o all’interprete ideologico? Ma all’ideologo, ovvio. Nei fatti
di piazza ognuno vede quello che vuole. Spesso, il suo pregiudizio.
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La "retromarcia" di Repubblica
Lacrimogeni sparati dal ministero?
Una balla: arrivavano dalla strada
I lacrimogeni al ministero
Si trattava di una balla. I lacrimogeni non sono stati
sparati dal Ministero, bensì dalla strada, come aveva subito chiarito il
Questore di Roma Fulvio Della Rocca (che, in una
confermenta stampa aveva detto: I lacrimogeni sono stati sparati “a
parabola”, non diretti sui manifestanti. La traiettoria è stata deviata
perché hanno urtato sull’edificio). Secondo la ricostruzione del
questore, nel pieno dei tafferugli, i poliziotti avrebbero sparato i gas
che, per errore, sarebbero finiti contro il muro del ministero di via
Arenula, per poi cadere giù, tra i manifestanti. «Se ad un certo punto
veniamo aggrediti militarmente è chiaro che dobbiamo reagire», aveva
anche aggiunto Della Rocca. A mettere la parola fine alle illazioni di
Repubblica sono stati i Carabinieri del Raggruppamento Investigazioni Scientifiche
(Racis): il lacrimogeno a via Arenula che si vede nel video girato
durante la manifestazione del 14 novembre scorso è stato sparato
dall’esterno ed è rimbalzato sulla facciata del dicastero della
Giustizia.
La perizia La relazione del Racis è stata consegnata al Guardasigilli Paola Severino e
alla Procura di Roma che stanno indagando su quanto accaduto. Il video
esaminato dai Cc del Racis, si legge nella relazione firmata dal
generale Enrico Cataldi, "riproduce un impatto su
cornice superiore della quarta finestra (a partire dallo spigolo
sinistro) sita al quarto piano del ministero, di un solo artifizio
lacrimogeno, poi fratturatosi in 3 parti". Il fermo immagine, si rileva
nel documento, anche se tratto da un video disponibile sul web e non dal
girato originale, supporta la medesima tesi: "gli artifizi in parola si
compongono di 4 dischi contenenti materiale lacrimogeno che si
sprigiona durante la traiettoria o all’impatto contro superfici
producendo effetto fumogeno" e per i militari del Racis "è di tutta
evidenza che la traiettoria ondeggiante può essere prodotta solo in fase
di ricaduta e non in fase ascendente". La gittata dei lacrimogeni,
evidenza ancora il Racis, è "dell’ordine di 100-150 metri" e dunque è
"coincidente con il posizionamento delle Forze di Polizia all’altezza di
Ponte Garibaldi, come osservabile dal altro video acquisito". I
militari, nella loro relazione, parlano di un "ridotto margine di
approssimazione" per le loro verifiche. Tra i reperti esaminati, la
porzione di capsula di un lacrimogeno modello Folarm 4mm scomponibile,
trovata nel cortile interno del dicastero di via Arenula assieme a un
disco in origine unito alla capsula, e due parti di analoghi lacrimogeni
con un disco, rinvenute su via delle Zoccolette. Noi ve l'avevamo
detto.
L'inchiesta interna Anche se la relazione del Racis
conferma la versione data ieri dal Questore di Roma, secondo cui il
lacrimogeno a via Arenula è stato sparato dall’esterno del ministero
della Giustizia, continua l’inchiesta interna immediatamente avviata dal
Guardasigilli Paola Severino per accertare in fatti. Per avere totale
chiarezza sull'accaduto, si lavora per visionare i filmati registrati
mercoledì scorso dalle telecamere posizionate presso i vari ingressi del
dicastero. Intanto, sull'eventualità che qualcuno, da fuori, possa
essere entrato nel palazzo, le testimonianze raccolte negano finora che
ciò sia accaduto: il responsabile del reparto di Polizia Penitenziaria
operante al ministero, Bruno Pelliccia e il capo di gabinetto, Filippo Grisolia,
hanno riferito al Guardasigilli di non aver autorizzato l’ingresso di
nessun esterno. Anche gli impiegati sentiti hanno affermato di non aver
visto nessuno sporgersi o lanciare qualcusa dalle finestre del piano in
questione.
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Figli di papà
La devastazione degli "studenti"
la pagheremo 1,5 miliardi
Il bilancio dei tafferugli nel giorno della
mobilitazione internazionale: danni materiali e ore di lavoro perse. I
cortei dei violenti valgono lo 0,1% del Pil
Gli scontri a Roma
di Francesco De Dominicis
Fino a 1,5 miliardi di euro. Una cifra incredibile che corrisponde,
secondo stime non ufficiali dei sindacati, alla perdita di prodotto
interno lordo consequenziale allo sciopero di mercoledì organizzato
dalla Cgil. Stiamo parlando dello 0,1% del pil, che sarebbe stato
bruciato con 4 ore di stop degli iscritti all’organizzazione guidata da
Susanna Camusso. Messa così, con una percentuale, pare poca roba.
Invece, calcolatrice alla mano, ci si rende conto che si tratta di un
dato non irrilevante. Anzi. La cifra viene fuori districandosi fra le
stime sindacali. Negli scorsi mesi, il segretario generale dell Uil,
Luigi Angeletti, di fronte all’ipotesi di uno sciopero generale
paventato a più riprese dalla più agguerrita Cgil, aveva detto che lo
stop avrebbe pesato per lo 0,5% sulla crescita economica. L’idea di una
manifestazione di massa di tutte le sigle e per l’intero arco della
giornata era stata avanzata dalla Camusso per protestare contro le
misure del governo di Mario Monti.
Una prospettiva che ha diviso il fronte sindacale. La Uil ha sempre
ritenuto pericolosa una protesta ad ampio raggio, specie in una fase
così delicata per l’economia del Paese. E partendo proprio dall’analisi
di Angeletti, oggi, alcuni esperti delle sigle dicono che uno sciopero
come quello di mercoledì, vale grosso modo un quinto di uno generale. Di
qui il calcolo dello 0,1%, cioè 1,5 miliardi di euro o poco più.
Conteggio che tiene conto delle ore di lavoro buttate al vento da tutti
gli iscritti (e non) alla Cgil che hanno incrociato le braccia per
quattro ore. Certo, chi ha aderito alla manifestazione avrà una
decurtazione in busta paga. Ma allo stesso tempo ha contribuito a
tagliare la produzione. Con danni per il pil nazionale.
Un conto che, peraltro, potrebbe salire ancora. Basta aggiungere i
danni cagionati dai manifestanti e dalle vere e proprie guerriglie che
hanno avuto come protagonisti anche gli studenti in diverse città
italiane, da Roma a Milano. Vetrine, negozi, banche, uffici postali e
assicurazioni sono stati prese di mira dai partecipanti ai cortei che,
come se non bastasse, hanno bruciato migliaia di auto.
Strade e piazza trasformati in campi di battaglia. La manifestazione
finisce, ma restano i danni da riparare. Interventi sempre costosi.
Singolarmente sono sempre cifre esigue, pochi spiccioli. Ma, messi
insieme, pure i 25mila euro calcolati per sistemare i 5 tornelli della
stazione di Milano Cadorna assumono una rilevanza diversa.
E a raggiungere cifre ben più consistenti ci vuole davvero poco. Per
calcolare i danni provocati mercoledì ci vorrà qualche giorno. Un anno
fa, in occasione della protesta degli indignados, solo a Roma il sindaco
Gianni Alemanno calcolò che la Capitale avrebbe pagato un conto di
oltre 3 milioni di euro. Cifre che pesano sui conti degli enti locali,
quasi sempre disastrati. Ma a pagare sono pure i privati. Che - quando
sono coperti da specifiche polizze assicurative - se la cavano, ma
spesso sia i cittadini sia i commercianti sono costretti a mettere mani
al portafoglio per riparare i danni.
Un film che si ripete spesso. L’anno scorso Roberto Maroni, allora
ministro dell’Interno, propose una legge ad hoc. Complice la caduta del
Governo di Silvio Berlusconi non se ne fece più nulla, ma adesso c’è chi
pensa di tirare fuori dal cassetto quella proposta. L’idea dell’attuale
segretario della Lega prevede che gli organizzatori di manifestazioni
pubbliche si assicurino con specifiche polizze. In assenza di una
copertura assicurativa l’organizzazione deve mettere sul piatto adeguate
garanzie patrimoniali. Il principio è piuttosto semplice: chi provoca i
danni, paga.
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Dopo il 14 novembre
Contestata dagli studenti a Rimini, Cancellieri apre agli identificativi sulle divise: "Ci stiamo ragionando"
"Pensiamo ai numeri, ma non ai nomi per non
mettere in pericolo gli agenti". Alla Giornata per la Legalità, il
ministro attaccata dagli studenti
Il Viminale cede di fronte ai centri sociali. A tre giorni dagli
scontri che hanno accompagnato lo sciopero europeo del 14 novembre, il
ministro Annamaria Cancellieri dà ragione ai violenti e
abbandona le Forze dell'Ordine. Contestata dagli studenti a Rimini,
dove il ministro degli Interni era per la Giornata della Legalità,
accoglie le richieste dei centri sociali. "Stiamo ragionando sulla
possibilità degli identificativi sulle divise degli agenti". Appena
iniziato il proprio intervento proprio sui provvedimenti che il Governo
intende prendere per fare luce sui disordini dello sciopero europeo, la
Cancellieri è stata accolta da fischi e urla. Prima di essere
allontanati dalle forze dell'Ordine, i militanti del collettivo riminese
Paz hanno steso lo striscione "Stop violenza e Polizia, identificativi
sulle divise".
Identificativi - "E' una cosa su cui stiamo
lavorando, si può ragionare, ma non deve mettere in pericolo
l’operatore": è stata questa a risposta della Cancellieri alla richiesta
dei contestatori quando la situazione è tornata alla normalità. "Si può
ragionare sul numero identificativo - ha detto ancora il ministro - ma
non sul nome, in modo tale da tutelare la sicurezza dell’operatore". Il
ministro continua ad invitare alla calma: "Mi piacerebbe si tenesse
conto delle due facce della medaglia - dice -, ci sono molti poliziotti
che si sono comportati in maniera egregia, vorrei che le cose fossero
viste con serenità".
Ai contestatori - Il numero uno del Viminale rivolge
un invito al dialogo anche ai contestatori: "C'è la libertà di
esprimere tutto, ma nella cornice della legalità, siamo pronti ad
ascoltare. Ma facciamolo in modo serio, sereno e pacato, parliamo e
ascoltiamo. Non impediamo il confronto - ha concluso - con
manifestazioni che mi ricordano purtroppo tempi non belli. Non è bello
per loro perchè togliamo loro un futuro di democrazia".
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Lo Stato non paga ai poliziotti i denti spaccati dai teppisti il caso
Un
ispettore ha perso otto incisivi in uno scontro con gli studenti, ma
non riavrà i 12mila euro spesi per curarsi. Il sindacato: versare sangue
non è sufficiente per essere risarciti
Un
casco da motociclista a spaccargli la faccia. Un colpo violentissimo ed
è crollato a terra, svenuto, dopo aver arrestato il manifestante dei
centri sociali desideroso di assaltare la sede del Pdl a Roma.
Quando ha riaperto gli occhi il
poliziotto Enrico Kauffmann s'è ritrovato la bocca impastata di sangue,
la mandibola danneggiata e otto incisivi spaccati in mille pezzi.
Per
riprendersi ci ha messo un po', ma rischia di non riprendersi mai
psicologicamente perché lo Stato gli nega il rimborso delle corpose
spese odontoiatriche. «Erano i giorni dell'ira per l'approvazione
della riforma Gelmini racconta Maurizio Germanò, segretario
provinciale Siap Roma e Kaufmann prese parte a tutti gli scontri che
si verificarono a piazza del Popolo, davanti a Camera dei deputati,
Senato e Palazzo Chigi. In uno di questi, in via di San Marcello, gli
hanno spaccato la faccia». Il poliziotto fa istanza per causa di
servizio, sperando di poter ottenere uno «sconto» sulla pensione o un
equo indennizzo. D'altronde, era in servizio quando è stato ferito. Tra
visite, operazioni e spese di istruttoria sborsa oltre 12mila euro.
«Soldi che forse non riuscirà più a recuperare commenta Germanò
perché, evidentemente, non è sufficiente sputare sangue per avere
diritto a un indennizzo o al riconoscimento dello status di infermità
permanente dovuto a motivi di servizio. La commissione medica gli vuole
riconoscere un difetto di masticazione, nulla più». Proprio così:
difetto di masticazione. Nel frattempo, per due volte finisce davanti ai
medici che gli chiedono di consegnare documenti che attestino ciò che
si può vedere tranquillamente a occhio nudo. Il prossimo appuntamento è
per il 28 gennaio del 2013. Tanti auguri. Chissà, invece, come
faranno a trovare i 50mila euro a testa per pagare gli avvocati i dieci
poliziotti approdati in appello dopo la contestatissima condanna di
primo grado per le presunte violenze nella caserma «Raniero Virgilio» di
Napoli, durante il Global Forum 2001. Chissà quanto tempo impiegheranno
per mettere insieme tutti quei soldi, parenti strettissimi di tre anni
di stipendio, quanti furono ingiustamente arrestati (come hanno
sentenziato il Tribunale del riesame e la Cassazione), sospesi dal
servizio e minacciati sui siti antagonisti e un'inchiesta che presenta,
ancora oggi, molti punti da chiarire. E al danno si è aggiunta oggi la
beffa: pagare di tasca propria l'assistenza legale anche se il processo
di secondo grado non andrà avanti perché i reati sono ormai caduti in
prescrizione, come ha dovuto riconoscere lo stesso sostituto procuratore
generale nell'ultima udienza. In caso di prescrizione, infatti, dice il
regolamento del ministero dell'Interno, non è possibile accedere al
rimborso delle spese legali. Sul fronte politico si fa sentire il
deputato Pd Stefano Esposito che propone l'obbligo di firma per i
recidivi e il fermo di polizia per chiunque si presenti in assetto da
guerriglia: «Riguarda chi si presenta col volto coperto o armato di
scudi, bastoni e caschi (la legge non prevede il fermo e questo
impedisce agli operatori di intervenire in maniera efficace)».
L'introduzione dell'obbligo di firma, continua Esposito, servirebbe ad
impedire «a soggetti condannati o inquisiti per violenze durante
manifestazioni di presenziare. Presenterò una mozione parlamentare per
impegnare il governo a modificare l'ordinamento nel senso
sopraindicato». Intanto monta la polemica tra i poliziotti. Il sindacato
Coisp, col segretario Franco Maccari, attacca il Capo: «Le
dichiarazioni di Manganelli sulla introduzione dei numeri di
identificazione per i poliziotti sono inaccettabili. è evidente che non
rappresenta i suoi uomini, né è capace di tutelarli: se non ha più
voglia di fare questo lavoro, abbia il coraggio di andarsene a casa». Rincara
la dose il segretario generale del Siulp, che si associa, dichiarandola
condivisibile, alla protesta dei celerini che hanno chiesto un giorno
di ferie per sabato prossimo quando a Roma gli antagonisti proveranno a
concedere il bis.
di Gian Marco Chiocci
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"Ai cortei ci andavo pure io e degeneravano sempre per colpa di imbecilli"
Condivido il pensiero di Lenin e naturalmente la sua rioresa da parte di Mughini |
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