La mappa dei Comuni ad elevato rischio idrogeologico in Italia
La mappa dei Comuni ad elevato rischio idrogeologico in Italia
di Luca Scialò
Tutti abbiamo ancora davanti agli occhi la scena di quella montagna messinese che frana sui centri urbani, con i cittadini che fuggono disperati. Era inizio ottobre di due anni fa, e quelle scene apocalittiche da cinema hollywoodiano furono causate da una pioggia incessante che iniziò la sera del primo ottobre e durò fino al mattino del giorno seguente. Quella che fu una normale pioggia d’inizio autunno provocò lo straripamento di corsi d’acqua e diversi eventi franosi.
Il bilancio, che fu possibile trarre solo diversi giorni dopo causa la difficoltà di ritrovare i corpi dei numerosi dispersi, fu drammatico: il 19 ottobre il numero di vittime arrivò a 31, mentre i dispersi risultarono 6.
FOTO: vedi le mappe del rischio idrogeologico in Italia
E’ possibile che una pioggia di una dozzina di ore provochi tutto ciò? Purtroppo sì. D’altronde, la storia recente del nostro Paese è stata funestata da varie tragedie provocate dal mancato mitigamento del rischio idrogeologico del territorio. Di seguito vediamo quelle più gravi.
Il 29 maggio 2008, nel comune di Villar Pellice, in Piemonte, a causa delle forti piogge, nell’alveo del Rio Cassarot, si genera una colata di detriti che travolge una casa e ne danneggia altre tre in una borgata. Il bilancio è di quattro morti.
Il 23 settembre 2003, un violentissimo nubifragio colpisce la provincia di Massa Carrara (2 morti).
Nel 2000, a metà ottobre, il bilancio del maltempo i Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria che interessò anche il Po è particolarmente pesante con 23 morti, 11 dispersi e circa 40 mila sfollati.
Nell’estate del 2000, un nubifragio si abbatte su Soverato. Dodici persone muoiono in un campeggio inondato dall’acqua.
Nella Valle del Sarno, in Campania, il 5 maggio 1998, una valanga di fango si stacca dalla montagna di Pizzo di Alvano e raggiunge alla velocità di 300 metri al minuti i comuni di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici, provocando la morte di 160 persone, di cui 137 solo a Sarno, distruggendo centinaia di case.
Nel novembre del 1994, le acque del Tanaro allagano Asti, Alba, Ceva e Alessandria: il Po esonda a Palozzolo Vercellese, allaga Trino, Casale Monferrato e altri paesi fino a Valenza. I morti saranno 70 e oltre 2.200 i senzatetto.
Nell’estate del 1987, l’esondazione del fiume Adda e di alcuni torrenti, insieme alla frane provoca 53 vittime.
Due anni prima, nel luglio 1985, la catastrofe di Val di Stava (bilancio 268 vittime). Il disastro è causato dalla rottura degli argini nei bacini di decantazione della miniera di Prestavel. Sull’abitato di Stava si scaricano 160 mila metri cubi di fango.
Un rosario di disastri evitabili se solo si fosse messo in sicurezza il territorio o, quantomeno, si fosse evitato di costruire su zone franabili.
Non è un caso che secondo un recente Rapporto stilato dalla Protezione civile e da Legambiente, i Comuni a rischio idrogeologico sono 7 su 10. Sono infatti ben 1.700 i Comuni a rischio frana, 1,285 a rischio alluvione e 2.596 a rischio sia di frane che di alluvioni. Nel 42 per cento dei Comuni non viene svolta regolarmente la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica.
Snocciolando altri dati, si nota come il 77% dei comuni intervistati da Legambiente ha nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana e quasi un terzo di essi presenta in tali aree interi quartieri. Nel 56% dei comuni campione sono presenti in aree a rischio addirittura fabbricati industriali.
Soltanto il 5% dei comuni ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nel 4% dei casi si è provveduto a delocalizzare gli insediamenti industriali.
Il 73% dei comuni che hanno partecipato all’indagine ha realizzato opere di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e dei versanti, interventi che però spesso rischiano di accrescere la fragilità del territorio piuttosto che migliorarne la condizione e di trasformarsi in alibi per continuare ad edificare lungo i fiumi.
L’82% dei comuni si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione. Nel 66% dei comuni esiste una struttura di protezione civile operativa 24 ore su 24.
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Ma dove ricadono i Comuni maggiormente a rischio? La Calabria, l’Umbria e la Valle d’Aosta sono le regioni con la più alta percentuale di comuni classificati a rischio (il 100% del totale), seguite dalle Marche (99%) e dalla Toscana (98%).
La Sicilia è undicesima (70%), con 200 comuni a rischio frana, 23 a rischio alluvione e 49 a rischio frana e alluvione. Nella provincia di Messina, malgrado il disastro di cui abbiamo parlato ad inizio articolo vi sono comuni totalmente situati in zone ad alto rischio frane (dunque sia centri abitati che aree industriali), che non hanno ancora provveduto al minimo lavoro di manutenzione. Parliamo di Ucria e Alì.
Per quanto concerne invece la Regione protagonista (suo malgrado) dell’evento recente di maggiore portata drammatica (Sarno ’98), ossia la Campania, secondo Francesco Russo – presidente dell’Ordine dei Geologi della Campania – i comuni a rischio idrogeologico in Campania sono 210 su 552, di cui 120 a rischio di colate rapide di fango. Ciò significa che un evento franoso raggiungerebbe presto la popolazione. Proprio come successo a Sarno il 5 maggio 1998.
Vediamo da vicino una delle tre regioni che risulta interamente a rischio frane: la Calabria. Tutti e 409 i comuni calabresi, secondo quanto emerge dalla ricerca che ha visto la partecipazione del 56% (205) degli enti locali, sono a rischio. L’83% ha abitazioni nelle aree golenali, negli alvei dei fiumi o in aree a rischio frana. Il 42% presenta addirittura interi quartieri in zone a rischio, mentre il 55% ha edificato in tali aree strutture e fabbricati industriali con pregiudizio non solo per l’incolumita’ dei dipendenti ma anche per eventuali sversamenti di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. E ancora: nel 26% dei comuni sono presenti, in zone a rischio, anche strutture sensibili, come scuole e ospedali.
Complessivamente, tra abitazioni, strutture industriali e strutture sensibili si puo’ stimare, per estrapolazione, che nella totalita’ dei comuni calabresi classificati a rischio dal Ministero dell’Ambiente e dall’Upi, siano quotidianamente esposte a rischio frana e alluvione almeno 185 mila persone.
Ancora molto bassa – poco più di uno su dieci – la percentuale degli enti locali che hanno adottato provvedimenti per la mitigazione del rischio idrogeologico. Così come e’ preoccupante la situazione delle delocalizzazioni: solo nel 13% dei casi sono state avviate iniziative per delocalizzare abitazioni dalle aree piu’ a rischio e appena nel 6% dei comuni si e’ provveduto a delocalizzare strutture industriali.
Poco tranquillizzante l’impegno sul fronte della pianificazione e organizzazione degli interventi di protezione civile. Solo il 58% dei comuni calabresi ha predisposto un piano d’emergenza per frane e alluvioni, ma solo il 32% delle municipalità lo ha aggiornato negli ultimi due anni. Appena il 22% dei comuni si e’ dotato di sistemi di monitoraggio per l’allerta tempestiva in caso di pericolo di alluvione o frana.
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La colpa però non va attribuita ai soli Comuni, bensì anche al Governo centrale, che solo da qualche anno ha assunto una maggiore coscienza del problema.
Basta guardare questa tabella relativa a uno studio pubblicato dal Ministero dell’Ambiente nell’anno 1999.
Per la cronaca, vi era il Governo di Massimo D’Alema e il dicastero era guidato da Edoardo Ronchi (figura accanto).
Soffermandoci alla sola cartina relativa ai Comuni a rischio “molto elevato”, si noterà come essi siano stimati in “sole” 1173 unità, pari al 14,3% del totale (tabella in piccolo in basso a sinistra).
Un’inezia, rispetto alla recente stima del rapporto Legambiente-Protezione civile che invece ne individua 2839. Quasi il triplo. Se si guarda alle Regioni totalmente a rischio, è facile notare come in esse il numero dei Comuni col massimo rischio frane sia dimezzato nella Valle d’Aosta, ridotti di un terzo in Umbria e a molto meno di 1/5 per la Calabria.
Ora i casi sono due. O all’epoca il Ministero dell’Ambiente ha colpevolmente sottostimato, e di molto, i Comuni a rischio.
Oppure in dodici anni la situazione è peggiorata in modo inquietante. In entrambi i casi chi è stato al governo è ugualmente responsabile. E non di poco.
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