Gentile presidente Monti,
all'indomani dell'annuncio delle sue dimissioni e in vista della
campagna elettorale, penso sia ineludibile dare una spiegazione su cosa
sia veramente successo nell'estate 2011 e come e perché l'Italia sia
entrata nel «baratro» della speculazione finanziaria.
Finalmente
i conti tornano. E dire che bastava leggere con attenzione la
semestrale di Deutsche Bank chiusa il 30 giugno 2011, da cui si
sarebbero potute trarre preziose informazioni. 1) La vendita, da parte
della principale banca tedesca sul mercato secondario, di titoli del
debito pubblico greco per 500 milioni di euro e di titoli di Stato
italiani per 7 miliardi. Segnale che ha generato panico sui mercati e ha
aperto la strada alla crisi. 2) Una «impropria» valutazione del
portafoglio derivati. Deutsche Bank non ha considerato le perdite
derivanti dalla valutazione al valore di mercato, il famoso
mark-to-market, della propria esposizione, di valore nominale pari a 130
miliardi di dollari, in un tipo particolare di titoli derivati, noti
agli addetti ai lavori come «Leveraged super senior trades». Titoli che
negli anni della crisi subiscono perdite fino a 12 miliardi di dollari.
Colpo di scena: la principale banca tedesca non rispetta le regole che
proprio la Germania ha imposto a tutta Europa. E non è un caso che sulla
scorretta valutazione dei derivati da parte di Deutsche Bank in Europa
tutti tacciono, come abbiamo detto, mentre è in corso un'indagine negli
Stati Uniti presso l'autorità che controlla la borsa americana.
Tra
febbraio e maggio 2011 in Germania succedono anche altre cose: i
rendimenti dei Bund diventano nervosi e in rialzo, arrivando a toccare
progressivamente il valore del 3,28% ad aprile 2011, contro, per
esempio, il 4,8% sugli omologhi titoli italiani (spread 152 punti). Cosa
che non può non impensierire il mondo finanziario privato e pubblico
tedesco. I problemi sono nel sistema bancario tedesco, oggettivamente a
rischio in ragione degli investimenti in titoli tossici di origine
statunitense e in titoli greci. Non dimentichiamo che le banche tedesche
reagiscono male agli stress test (li hanno superati tutte senza
problemi le banche italiane e francesi, non li hanno superati 5 banche
spagnole, 3 greche e una tedesca). L'episodio, sopra riportato, di
Deutsche Bank con i «Leveraged super senior trades» ne è la prova. Che
qualcuno abbia truccato i conti per superare l'esame europeo? Altro che
Grecia!
Ma torniamo al nostro racconto, presidente Monti. Alto
rendimento dei Bund, a cui dobbiamo aggiungere il dubbio valore dei
titoli tossici e delle perdite sui titoli greci nei portafogli delle
banche. Il tutto porta a una forte tensione nel sistema finanziario
privato tedesco. A questo punto la rezione è immediata e, con il senno
di poi, irresponsabile: le banche tedesche decidono di trasferire la
crisi potenziale del loro sistema sui paesi considerati più deboli
dell'eurozona. Come? Vendendo e dando indicazioni generalizzate di
vendita dei titoli pubblici di questi Stati, soprattutto Grecia e
Italia, sul mercato secondario. L'episodio dell'improvviso
alleggerimento di portafoglio effettuato da Deutsche Bank a giugno 2011
si spiega solo così.
Le banche tedesche, quindi, hanno spostato la
loro crisi sui debiti sovrani dei paesi «cicala», con enormi vantaggi
per Angela Merkel. L'obiettivo finale: passare da una probabile crisi
finanziaria a una vittoria sul campo della finanza pubblica e della
finanza privata, quasi una vittoria da terza guerra mondiale.
è
questa può essere la spiegazione della tempesta perfetta. Ecco svelato
il grande imbroglio dello spread. Non c'entrano nulla i fondamentali dei
paesi presi di mira, non c'entrano nulla i governi, se non per il fatto
che si fanno prendere in contropiede e non riescono a reagire, travolti
da una crisi tanto inspiegabile quanto feroce.
A questo punto
andiamo ad analizzare i fatti. Vediamo come, con riferimento all'Italia,
la corsa a rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato cominci a giugno
2011, proprio in concomitanza delle due opache operazioni di Deutsche
Bank. Questo spiega, presidente Monti, anche perché il cancelliere
tedesco continui a difendere a spada tratta il suo sistema bancario e
rifiuti la vigilanza della Banca Centrale Europea, prevista proprio dal
progetto dell'unione bancaria che la Germania continua a osteggiare.
Unione bancaria, economica, politica e di bilancio sono fondamentali. Il
presidente della Bce, Mario Draghi, ne ribadisce l'importanza in tutti i
suoi discorsi.
Perché la Germania ne blocca l'iter? Il disaccordo è
solo e soltanto sulla prima delle unioni da implementare: quella
bancaria, che il governo tedesco o non vuole, o vuole costruire a sua
immagine e somiglianza. Al riguardo, la posizione di Angela Merkel è
molto chiara: vigilanza unica affidata alla Bce certamente, ma solo
sulle banche di rilevanza sistemica, assolutamente no sugli istituti
regionali o sulle casse di risparmio dove si annida la più alta opacità e
la più alta compromissorietà tra credito e potere politico locale. E
non da subito, ma dopo le elezioni tedesche. Bell'esempio di rigore e
trasparenza e, diciamolo, di irresponsabilità, con tutto quello che sta
succedendo.
Non finisce qui. La Germania condiziona alla
realizzazione dell'unione bancaria anche l'operatività del Meccanismo
Europeo di Stabilità. Esso è in stand by, o meglio, non opera per
l'obiettivo per il quale è stato pensato, vale a dire acquistare sul
mercato primario titoli di Stato dei paesi sotto attacco speculativo. E
rimane l'attesa. I vertici europei si susseguono senza, di fatto,
risolvere nulla.
Purtroppo l'impasse rischia di durare fino a
settembre 2013, data delle elezioni tedesche. Che fare a questo punto?
Bisogna riaprire la partita con la Merkel e al più presto. Senza più
subire le solite colpevolizzazioni. Perché la teoria dei compiti a casa
si è dimostrata sbagliata e recessiva e perché sono state svelate le
conseguenze negative che essa ha portato, in termini di economia reale
nei paesi sottoposti a cure rigorose oltre il dovuto, e in termini di
blocco di trasmissione della politica monetaria,
Basta guardare
oltreoceano. Forte, dinamica, indebitata, ma piena di liquidità,
l'economia americana cresce e corre, mentre il Vecchio Continente è
ingessato in politiche economiche recessive. Il Pil cresce negli Stati
Uniti del 2,7%, rispetto a una decrescita del -0,1% dell'Eurozona; il
numero di disoccupati e di richieste di sussidi si riduce settimana dopo
settimana oltre le attese (disoccupazione al 7,7%, rispetto all'11,7%
dell'Eurozona), il mercato immobiliare traina l'economia. E, nonostante
le critiche spesso rivolte al presidente della Federal Reserve, Ben
Bernanke, l'inflazione è più bassa che nell'eurozona (2,2% rispetto al
nostro 2,5%). La forza degli Stati Uniti deriva da una governance
pragmatica, determinata, esigente, interventista; da una politica
economica efficiente - orientata alla crescita - e da una politica
monetaria espansiva.
Su tutta la crisi sarebbe bene che anche la Bce
si assumesse la responsabilità di fare chiarezza. Se si fosse fatta
un'analisi seria e approfondita degli accadimenti di metà 2011,
probabilmente la storia dell'Europa sarebbe stata diversa. E tacere,
occultare o non interrogarsi abbastanza su quello che stava succedendo è
stato un crimine che gli Stati, i cittadini, le nostre democrazie
stanno pagando caro, in termini di distruzione dell'idea di Europa e
delle relative derive populiste, che tanto la disgustano, presidente
Monti.
Con la stima di sempre, suo Renato Brunetta.