SS. Trinità (Anno C) (26/05/2013) Vangelo: Gn 18, 1-10a; 1Cor 12, 2-6; Gv 14, 21-26
Genesi. 18, 1-10a
L'ospitalità è un regalo grande che l'umanità dei poveri si è sentita in obbligo di dare, soprattutto in una realtà di vita come è il deserto, tra i beduini, e nei pericoli dei mari tra i marinai. Qui ci troviamo nella splendida ospitalità che Abramo offre a degli sconosciuti. E nella lettera agli Ebrei (13,2) si dice che "Alcuni, praticandola, hanno accolto, senza saperlo, anche gli angeli" (e probabilmente l'autore biblico ha in memoria l'episodio di Abramo). Il Signore decide di visitare il suo amico Abramo e lo fa in incognito, sotto forma di tre viandanti anonimi che si trovano a passare vicino alla tenda di Abramo, alle querce di Mamre, dove Abramo si è accampato. E' un racconto misterioso che, inizialmente, si svolge nella normalità di viandanti accaldati e spersi in un deserto assolato. Mentre Abramo si riposa nell'ora più calda del giorno, all'ombra della tenda, e probabilmente sonnecchia, è però sempre vigile. Scopre all'improvviso tre uomini in piedi davanti a lui.
Tutto lo scenario cambia e Abramo si preoccupa di offrire ospitalità nel modo più immediato e più sontuoso possibile. Provvede subito all'acqua frasca, al lavaggio dei piedi e a far accomodare gli sconosciuti all'ombra. Poi li prega di pazientare e provvederà ad un boccone di pane ed a un ristoro possibile. Sempre Abramo non solo ordina ed organizza per la cucina, a Sara chiede di impastare pane fresco ma il quantitativo è enorme: circa 50 kg di farina e lui stesso sceglie un "vitello tenero e buono", ordinando poi di prepararlo e cuocerlo.
Il bisogno di ospitalità rende Abramo attento, servizievole, premuroso: in piedi, a servizio delle esigenze degli sconosciuti e affettuoso.
Di fronte all'accoglienza ed alla gratuità gli sconosciuti rispondono con una promessa: "Tornerò tra un anno e Sara avrà un figlio" (da notare i cambi impensabili da singolare a plurale e vice versa). Dio scende nel suo popolo ed offre la vita gratuitamente. Il popolo d'Israele si svilupperà sulla promessa di Dio e sulla ospitalità di Abramo. Anche il popolo santo della Chiesa si svilupperà con il dono di Dio che si fa anonimo e piccolo e si costituisce come un popolo accogliente della Parola del Signore e dei suoi progetti.
Dio mangia alla tavola di Abramo, Gesù mangia la sua cena alla tavola di amici: l'ospitalità prende la forma di un banchetto. E un banchetto ci è rimasto come momento di un popolo che si raduna insieme, a messa, e costruisce il progetto di un futuro di pace avendo a commensale, misteriosamente, Gesù vivo.
Qualcuno dei Padri della Chiesa ha voluto vedervi la Trinità e un monaco russo Andrej Rublëv (1360-1430) ha dipinto la sua splendida icona della Trinità a tavola. Ma nel VT non c'è alcun accenno alla Trinità, né è possibile ipotizzarlo.
Ma c'è un altro problema che ha fatto impazzire i rabbini, anche se di poco conto per noi. Un banchetto ebraico non può avvicinare insieme carne e latticini. E vero che la legge sarà data a Mosè molto dopo ed è pur vero che l'ospitalità e la premura hanno fatto pensare ad un ristoro con latte cagliato e carni abbondanti. Ma il problema per i mondo ebraico resta.
Gesù ricorderà che ancor oggi è possibile incontrare il Signore e sfamarlo in un gesto di ospitalità.
"Avevo fame, avevo sete.. e ti mi hai dato da mangiare e da bere" (Mt25, 31-46).
1 Cor 12, 2-6
Nella Comunità cristiana di Corinto sorgono disagi e dissapori poiché si sono sviluppati doni particolari e si sono messe in mostra possibilità e attività che suscitano gelosie e rancori. Si pretende un confronto serrato ed una gerarchia riconosciuta di doni o "carismi" che lo Spirito ha moltiplicato tra persone credenti perché diventassero sostegni, aiuti e forza per la comunità intera. E invece si pretendono titoli onorifici, si esigono maggior rispetto e precedenze, si reclamano diritti e privilegi.
I doni di Dio sono dati a ciascuno per "l'utilità comune" (12,7) e tutto è dono dello Spirito. Mentre, quando domina il mondo della idolatria, il rapporto con la divinità è assolutamente inesistente poiché ci si ritrova davanti ad idoli muti, ora il linguaggio deve imparare a verificare il significato del proprio dialogo con Gesù. Che cosa diciamo di Gesù? Se per noi è grande, ed è il Signore, lo riconosciamo nella forza dello Spirito poiché è lo Spirito che alimenta la fede. Se abbiamo lo Spirito, noi scopriamo la bellezza della fede e la presenza di Gesù che ci porta al Padre.
Entrando nella struttura del testo, si distingue tra "carismi": doni particolari e gratuiti conferiti dallo Spirito; ci sono "ministeri" o funzioni orientati al bene della comunità, e ci sono "operazioni", cioè manifestazioni della potenza di Dio.
Paolo si preoccupa di accompagnare i credenti verso una visione unitaria in comunione con Dio. Anche i pagani hanno esperienze religiose particolari e le attribuiscono ad diverse divinità. Per i cristiani la fonte è l'unico Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo che esercitano una unica azione, anche se la diversità delle manifestazioni nei fedeli può permettere di orientarsi a particolari proprietà personali. Allo Spirito, dono di grazia e d'amore sono riferiti i "carismi"; a Cristo, capo della Chiesa sono attribuiti i ministeri spirituali per compaginare la Comunità cristiana e sostenerla nel suo cammino nel tempo. E il Padre, fonte di tutto l'essere e della vita piena, è all'origine delle "operazioni" di potenza, di pienezza di vita, di creazione.
Ma tutto viene offerto perché la Comunità esprima questa pienezza e diventi ricchezza, al suo interno per la vita nel mondo.
Giovanni 14, 21-26
Stiamo sempre leggendo, in queste domeniche dopo Pasqua, brani di discorsi di Gesù pronunciati nella sua ultima cena e riportati da Giovanni. E' importante tener presente questo contesto poiché quello che leggiamo è anche dialogo, ma il tutto ha il sapore della conclusione, delle ultime raccomandazioni e quindi di un testamento: linee essenziali che riassumono il lungo insegnamento del Maestro. Amare Gesù è un impegno concreto di fiducia e di accoglienza. Amare non si gioca tanto sui sentimenti o sulle emozioni, ma su scelte precise e coraggiose poiché siamo indirizzati dalle decisioni di Gesù. Con questo amore si costituisce una comunione inimmaginabile in cui ciascuno diventa abitazione, tempio vivente di Dio in cui si esprime l'intimità infinita del Padre e di Cristo nell'amore totale e immenso dello Spirito. Gesù parla di manifestazione piena e quindi di dimora completa. E tra i discepoli sorge spontanea una domanda, formulata quindi da Giuda, non l'Iscariota: "Perché non ti manifesti al mondo ma solo a noi?" Anche loro, come tutti quelli che seguivano Gesù, trepidano per una certa diffidenza che serpeggia attorno a Gesù nelle classi colte e Gesù non fa nulla per far esplodere la sua forza. Anche i familiari di Gesù non condividono la ricerca del nascondimento. Addirittura gli fanno una proposta pubblica:: "«Parti di qui e va' nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno infatti, se vuole essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta te stesso al mondo!» (Gv7,3-4). Vogliono che si imponga ma Gesù rifiuta, memore delle parole di Isaia: "«Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,2-3). Si esprime qui il mistero della Chiesa. Per Gesù il manifestarsi consiste venire ad abitare nei suoi discepoli, prendere dimora nel mondo attraverso loro. Tutti vogliono che Gesù manifesti attraverso le sue opere la pienezza e la novità. Ma Gesù, quando parla delle sue opere non fa quasi mai riferimento ai miracoli. Le opere di Gesù sono le sue scelte, la sua attenzione alla liberazione di ciascuno, il rispetto della dignità di ogni persona. I messaggi che Gesù offre sono incomprensibili per le attese che i discepoli hanno e per l'affetto che gli portano. Allora Gesù, con fiducia, dice:"Lo Spirito Santo vi insegnerà e vi ricorderà".Una splendida sintesi dell'opera dello Spirito: insegnare suppone l'accompagnare nel tempo ed accogliere la novità nascosta nelle cose, nelle attese e nelle speranze, nei segni di Dio. Nella storia si presenteranno problemi sempre nuovi, interrogativi diversi, complessi, impensabili al tempo di Gesù. E i discepoli debbono poterli affrontare, sviluppando linee e comportamenti secondo il pensiero di Gesù. "Lo Spirito insegnerà". Ma anche "Lo Spirito vi ricorderà". E' interessantissimo questo verbo poiché suppone che nel nostro cammino di discepoli ci possiamo dimenticare delle scelte di Gesù poiché compromettenti, difficili, inumane, pensiamo.
La nostra cultura occidentale ha accettato la guerra come scelta ineliminabile. Caso mai si è cercato di discutere e distinguere tra guerra giusta e guerra ingiusta. Eppure Gesù ci ha insegnato di amare i nostri nemici, fare del bene a quelli che vi odiano (Lc 6,27-29). Per secoli abbiamo letto questi testi senza assolutamente rivedere posizioni di pensiero. Ma la storia produce drammi e strategie sempre più terribili, fino alla guerra ABC (Atomica, Batteriologica e Chimica) e nel contempo fa sorgere uomini come Gandhi, indiano, pur conoscitore del Vangelo che lo ha affascinato. Ma è rimasto nelle sue elaborazioni indù poiché ha detto che i cristiani non seguono il loro maestro. E la non-violenza sta facendosi strada, anticipata da Francesco di Assisi, seguita da missionari disarmati nel mondo e quindi dalle riflessioni della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII (1963) e dal Concilio Vaticano II, ma anche da non credenti a cui lo Spirito rimanda per ricordare il pensiero di Gesù.
L'esempio si può allargare ai comportamenti di attenzione ai poveri, alla eliminazione della pena di morte, al superamento del razzismo e a molto che il popolo cristiano, sapendo riflettere sulla storia, sui tempi e sulla Parola di Dio è capace di sviluppare. "Ricordare insegnando" supera il romanticismo o la poesia di tempi andati e irrecuperabili per accettare, nel presente, la responsabilità di riproporre la presenza sapienziale di Gesù e il mondo continuamente nuovo del Dio Trinitario che abita in noi e tra noi.
Esempi splendidi sono maturati nella lotta contro una mentalità mafiosa di violenza e di interesse e dovremmo ricordare insieme gli esempi di laici e religiosi che hanno lottato con chiarezza: Falcone e Borsellino, don Puglisi e don Diana. E l'esperienza di don Milani, che ha suscitato perplessità e paura tra gli stessi confratelli e la gerarchia del tempo, ha tuttavia posto l'obbligo di ripensare con coraggio al mondo dei poveri, al valore della scuola, all'obiezione di coscienza, alla vera interpretazione del patriottismo, spesso male impostato, che divide l'umanità invece di costruirla più coesa e più coraggiosa.
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