Ratzinger, l'ultima lezione
di A. Tornielli
«Vedo la Chiesa viva! La Chiesa non è mia, non è nostra, ma è del Signore, che non la lascia affondare; è Lui che la conduce…». L’ultima udienza pubblica di Benedetto XVI, il primo papa della storia a rinunciare per motivi di vecchiaia, è un testamento spirituale e una lezione per coloro che dovranno eleggere il suo successore.
Con serenità e determinazione Joseph Ratzinger, sempre più minuto e fragile, conclude i suoi quasi otto anni di regno mostrando, nonostante tutto, il volto gioioso e positivo di una Chiesa di popolo. Non traccia bilanci, ma indica con l’esempio al suo successore che cosa sia e che cosa debba fare il papa, attraverso una catechesi semplice. Distante anni luce dai giochi del potere clericale, dalle cordate, dalle strategie di politica ecclesiale studiate a tavolino, dagli scandali, dai messaggi autoreferenziali, dall’immagine di una Chiesa barocca e ripiegata a contemplare se stessa. Un messaggio che la folla di pellegrini, venuta a salutare il Papa per l’ultima volta, comprende benissimo e ascolta commossa.
Nella lezione di Benedetto XVI c’è innanzitutto gratitudine per le «notizie» che negli anni ha ricevuto da ogni parte del mondo sulla fede e sulla carità che «circola nel corpo della Chiesa». Il Papa, che ancora una volta appare assolutamente sereno e pacificato dopo la decisione presa, descrivendo il suo non facile pontificato annota: «è stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili». Accenno esplicito agli incidenti di percorso, agli scandali e agli attacchi che hanno accompagnato questi otto anni.
Per raccontarli, Ratzinger ricorda il passo evangelico che descrive la barca degli apostoli in balia della tempesta: «Mi sono sentito come san Pietro con gli apostoli nella barca sul lago di Galilea… vi sono stati momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare…».
Torna alla memoria un’altra immagine di barca, protagonista dell’ultima omelia di Ratzinger cardinale, durante la messa d’inizio del conclave del 2005. Allora parlò della «piccola barca» del pensiero di molti cristiani, squassata da una serie negativa di «ismi», dall’ateismo all’agnosticismo. Ora, nel momento della rinuncia, il Papa non segue i «profeti di sventura». Non fa alcun accenno pessimistico. Invita invece tutti «ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica». Poi aggiunge: «Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano». Uno sguardo positivo e di misericordia, dunque.
Nel discorso Benedetto XVI inserisce anche i ringraziamenti per i cardinali, per il suo Segretario di Stato, per i collaboratori. Non vuole avallare la lettura di quanti ritengono che le innegabili tensioni curiali siano all’origine della sua rinuncia. Quindi racconta delle lettere ricevute tante «persone semplici» che «non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce», ma «come fratelli e sorelle o come figli e figlie». Qui si può «toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle».
Nelle parole dedicate alla rinuncia, Benedetto XVI ribadisce di aver «chiesto a Dio con insistenza», di fronte al venir meno delle forze, di essere illuminato, per prendere «la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa». Spiega di aver compiuto questo passo «nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo». Quella serenità che peraltro traspare dal suo volto in queste ultime apparizioni pubbliche. «Amare la Chiesa – spiega – significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi».
Infine, Ratzinger ricorda che chi diventa papa non ha più alcuna privacy, «appartiene sempre e totalmente a tutti». La rinuncia non significa «ritornare nel privato», tornare a fare quello che si faceva prima di diventare papa. Significa rimanere «nel servizio della preghiera», rimanere «nel recinto di san Pietro». «Non abbandono la croce», conclude, rispondendo a quanti – come il cardinale di Cracovia Stanislaw Dziwisz – hanno commentato il suo gesto paragonandolo al diverso atteggiamento di Giovanni Paolo II, rimasto sul Soglio fino alla fine. «Resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso».