Omaggio a Federico Fellini.
L'anno in cui gli fu conferito l'Oscar
Di Andrea Falconi
La vita e l’opera di uno dei più grandi creatori di sogni della storia del cinema
Ci sono tre tempi: il passato, il presente e il regno della fantasia. Chiaramente il tempo futuro può essere tempo del "E se?". Viviamo nel presente ma siamo influenzati dal passato, che non possiamo cambiare se non nel nostro ricordo. Il presente è fatto del passato. è il tempo a cui mi piace pensare come all’eterno presente. C. Chandler, I, Fellini, intervento di F. Fellini, Random House, New York, 1995
Scrivere una biografia, a mio parere, equivale a falsificare, tradire, re-inventare la vita di una persona; se poi questa è Federico Fellini, e chi scrive su di lui un giovane che ha iniziato a vederne i film solamente dopo la morte, è evidente quanto l’impresa di riuscire a raccontare la realtà diventi assurda e ridicola. Parlare di Fellini, infatti, significa parlare del suo cinema; la sua vita si mescola e si confonde con quella vissuta e rappresentata nei suoi film, nei teatri di posa di Cinecittà, in quel mondo di cartapesta in cui con pochi spiccioli si riesce a creare un’illusione. Guardando nel suo mondo di celluloide emergono infiniti frammenti e tasselli da riassemblare; ricostruirne l’identità è una titanica messa in abisso di chi cerca nella finzione la realtà, nello spettacolo la storia, negli attori gli uomini, nel regista Federico. Quando sembra di essere approdati al traguardo, di avere solcato la linea di confine, allora appaiono nuove sfumature prima non viste, e tutto è messo nuovamente in discussione. Inevitabile è lo scoramento per la consapevolezza, ormai accertata, di non essere in grado di realizzare la committenza della redazione. Sarebbe meglio allora interrompere la stesura di un nuovo falso, e magari lasciare il compito a qualcun altro, che con la precisione di uno storiografo potesse raccontare la vita di quest’illusionista, prendendo informazioni da enciclopedie e libri senza riflettere troppo sulla realtà di quei dati. Sarebbe meglio, certamente, se non fosse stato proprio Fellini il primo a giocare con le sue illusioni, il primo a tradirsi ed a tradire il suo mondo, il primo ad inventare ogni volta il suo passato, ed è per questo che tutto si ribalta. Diventa allora quasi doveroso provare giocare al suo gioco, per chi, affascinato dalle sue opere, vuole provare a ri-raccontarle così come le ha vissute e così come le ha immaginate. Come entrare, però, nel suo universo, pittorico, teatrale, musicale, in cui ogni inquadratura è realizzata come un insieme di teoremi la cui giustapposizione crea la completezza di un’opera d’arte; come trovare una chiave per accedere ad una dimensione piena di porte e di specchi? Ed una volta entrati, come riuscire ad andare avanti senza il timore di perdersi e di smarrirsi? Forse solamente procedendo per mezzo di visioni, impressioni, suggestioni, si potrebbe provare a sfiorare il suo universo. Cercherò, dunque, di seguire questa strada chiedendo ai miei lettori di perdonarmi se ciò che leggeranno non avrà niente in comune con un saggio, o con una recensione.
Federico Fellini - Parte prima
Di Andrea Falconi
L’infanzia, il circo
L’infanzia Un treno in movimento è forse il segno più significante, più esaustivamente rappresentativo, più sinteticamente universale della miriade di segni che vivono nell’infinito spazio iconografico che è il cinema. Un treno in movimento è la dialettica Lumière/Méliès, realtà e finzione. Un treno è l’immagine movimento. Su un treno, la cui esistenza storica non è documentata, nasce il mito di Federico Fellini. Siamo vicino ad una stazione di Rimini, sono circa le sei del mattino, ed è il 20 Gennaio 1920. Con quel treno parte la storia dell’uomo; si mette in moto una macchina dei ricordi che gli fornirà, ispirata anti-proustianamente da infinite madeleine, fantasmagorie e visioni; gli suggerirà di sovrapporre estratti della realtà ad immagini spirituali ed oniriche; cancellerà gli infiniti particolari presenti nelle descrizioni più minuziose, sostituendoli con geniali intuizioni sui pochi elementi che regolano la vita. Accanto a questa macchina, un’altra darà forma alla materia creando figure dalla raffinata bellezza, dalla patetica poesia, e dalla crepuscolare cripticità. Ripercorrendo i movimenti tessuti da queste due macchine inizia una cronologia fantastica in cui i tempi prodotti sono spesso in dissonanza con quelli della cronaca. Si parte da Rimini dove tra i bambini vestiti da Balilla cresce il giovane artista. Federico si muove in uno spazio crepuscolare, claustrofobico, asfissiante. Si tratta di un mondo in cui il tetro grigiore del fascismo e la bigotta morale cattolica annichilisco gli uomini e li rendono privi di una propria individualità. Un universo fatto di parate e di retorica sempre in disarmonia con i colori grossolani e gioiosi dell’intera Italia popolare. Dalla grande istituzione alla più piccola che è la famiglia si risente fortemente di un clima che spinge al senso di colpa ed annichilisce. Sono rare le vie d’uscita da questo scatolone pieno di degenerante superficialità. Fellini ne scopre una che lo segnerà per tutto il resto della sua vita.
Il circo Silenzio, interrotto da un suono sottile di tromba. Una breve pausa, ancora silenzio, poi, la tromba riintona nuovamente il medesimo suono, in maniera più chiara e definita. Così inizia, forse, il primo spettacolo circense di cui Fellini è spettatore. Un suono di tromba preludio alle sgangherate esibizioni dei clown. Ma cosa è il circo per Federico e chi sono gli artisti che tanto lo hanno colpito? Federico andava al circo di nascosto, riusciva ad eludere una non rigida sorveglianza ed entrava in quei tendoni, la cui grandiosità spiccava tra la povertà degli spazi vuoti che riempiva. In quello spettacolo ogni artista riconquistava il suo spazio e ritrovava quella libertà che la società aveva rubato. Federico assisteva agli spettacoli circensi con morboso turbamento, ma anche con una rara felicità. Il circo per Fellini sono i clown: sono il clown Bianco e l’Augusto,
il primo è l’eleganza, la grazia, l’armonia, la lucidità, l’intelligenza e rappresenta quello che si deve fare, il secondo è il suo contrario e subirebbe il fascino delle perfezioni del clown Bianco se non fossero ostentate con tanto rigore; L’ostentazione rigorosa e la perfezione del Bianco provoca la ribellione dell’Augusto che è il bambino che si caca sotto, si ubriaca, si rotola per terra ed anima una discussione perpetua. Si tratta del culto superbo della ragione che lotta con la libertà dell’istinto.
Sono Zampanò e il matto, sono Guido Anselmi ed il suo produttore, sono Ginger e Fred. Sono le figure protagoniste dell’immaginario del nostro artista. Per Fellini queste due figure sono così importanti che, spesso, giocava ad immaginare le persone come clown ed a dividerle in Clown bianchi ed Augusti, in alcuni la distinzione era ben definita, ma altri possedevano caratteristiche e dell’uno e dell’altro clown. Ma il circo di Federico non è fatto solamente di clown, ma anche di domatori di leoni, di acrobati, di illusionisti e soprattutto è fatto del lavoro delle persone che lo costruiscono, e lo smantellano, che di notte per magia lo fanno nascere come un fungo e lo fanno svanire.
Di Andrea Falconi
La città, Cinecittà
La città La città per Federico è come un grande studio scenografico da cui prendere ispirazione, dove trovare gli spunti più significativi per la realizzazione dei suoi film. Le sue città sono due: Rimini e Roma; ma da queste si aprono infiniti altri luoghi sempre vivi nell’universo a-reale di cui abbiamo fin’ora parlato. La piccola località di mare e la capitale più ricca di storia e di cultura come i due vertici di un viaggio lunghissimo, ripetuto e sempre diverso. La Rimini di Amarcord e di Fellini 8 e ½ punto di partenza, la Roma della Dolce vita quello d’arrivo e viceversa.
"Parlavamo sempre di partire, ma uno solo una mattina, senza dire niente a nessuno partì davvero….", dice la voce fuori campo, introducendo la scena finale dei Vitelloni: Moraldo che lascia la sua cittadina, la famiglia, gli amici. "Ma non stavi bene qua?", gli chiede il piccolo ferroviere dal marciapiede, mentre già il treno si mette in moto. Moraldo con la bella faccia pulita di Franco Intelenghi, non sa che cosa rispondere. Sì che si stava bene, però… E immagina di vedere dal treno in corsa gli amici che dormono nelle loro case: Alberto, Leopoldo, Fausto, Riccardo. Alla fine la voce, che dice addio Guido, non è più quella di Interlenghi, ma è la voce stessa di Fellini che sostituendosi in doppiaggio al suo interprete ha voluto suggellare in prima persona il suo Addio alla giovinezza, il suo addio a Rimini.
Le città di Fellini sono un luoghi aperti dove è facile rimanere prigionieri, il mare di Rimini sembra trumanianamente invalicabile, e la labirintica forma di Roma è rinchiusa dalle cinta di mura del raccordo anulare. La topografia delle città è stravolta, decostruita, reinventata. Le città sono come scatole cinesi, una rinchiusa dentro l’altra e tutte all’interno della città di Fellini, la città del cinema, Cinecittà.
Cinecittà è l’unico luogo reale della vita di Federico, l’unico dove il tempo e lo spazio coincidono con quelli della dimensione privata dell’artista. Cinecittà è il mestiere del regista, la sua vita. è un insieme di oggetti, di persone, di professioni in cui Fellini si muove con la timidezza di un fanciullo e l’imponenza di un tiranno. In questo mondo felliniano vivono due Federico:
"L’uno individuale, in carne e ossa; l’altro collettivo composto come i quadri dell’Arcimboldi, di tutti i suoi collaboratori. Al Fellini sornione, superstizioso e razionale, affettuoso e freddo si contrappone quello che s’incarna nel piccolo mondo di Cinecittà".
Lo stesso Fellini ricordava come l’aspetto più faticoso durante il suo lavoro, non fossero le riprese, ma il fatto che fosse costretto ad incarnare tutte le persone presenti nel set, a mantenere continuamente una specie di cerchio magnetico, in virtù del quale due o trecento persone accettavano di partecipare al delirio che va sotto il nome di cinema. E come se Federico fosse un domatore di belve ed ad ogni sua minima distrazione il film sparisse e non esistesse più. Moravia commentava queste parole pensando che simboleggiassero in maniera cristallina la tirannide del lavoro artistico di gruppo, visto dalla parte e con gli occhi del tiranno. Cinecittà abbiamo detto è il cinema, ed il cinema è Luci del Varietà, è Lo sceicco bianco, Fellini 8 e ½, Ginger e Fred. A Cinecittà Fellini prova a raccontare non solo il fascino subito dal circo, ma anche quello provato durante alcuni spettacoli di varietà. è lì che intuisce cosa sarebbe divenuto per lui il cinema. Fare cinema per Fellini significa dare un senso, rendere evidente, raccontare la bellezza dello spettacolo; significa dar voce alle luci, agli attori, al pubblico, agli oggetti, agli operai, a tutti gli elementi che ne costituiscono la struttura. Per questo Cinecittà è così importante nella vita di Federico, perché in ogni film parla del suo contenitore, parla di Cinecittà che non è altro che un gran teatro contenitore di infiniti spettacoli di varietà. Cinecittà, nell’intimo di Federico è anche un diario privato, un block-notes dove prendere ogni giorno appunti diversi per poi riutilizzarli ogni volta in maniera differente. è il work in progress di Intervista, uno studio sempre in disfacimento ed in ricostruzione, un limbo in cui l’artista si rifugia, spinto dalla creatività e oppresso dalla banalità.
Di Andrea Falconi
Giulietta, Marcello, le donne
Giulietta Giulietta è un clown asessuato. è una sagoma che appare illuminata nell’oscurità. Avanza, accennando passi di danza e camminando distrattamente; il suo viso è un susseguirsi di espressioni di tenera gioia e di malinconica commozione. Ogni passo mostra il volto di Cabiria, di Gelsomina, di Giulietta, di Ginger. è il simbolo dei clown, lo specchio di Charlot. è l’icona poetica di un cinema che fu, è l’attrice divinamente anti-diva, superbamente modesta. è la compagna incompresa, la custode di ogni segreto. è la donna sfruttata, ingenua, malinconica. Trasparente icona del cinema di Federico, è la messa in abisso di se stessa. Tra le immagini più poeticamente commuoventi della storia del cinema mi piace ricordarne in particolare due. La prima è quella in cui alla fine di Luci dalla ribalta Chaplin riveste i panni di Charlot e duetta ancora una volta e per la prima volta con Keaton, la seconda è quella disegnata da Fellini nell’ultima scena di Ginger e Fred: un abbraccio rompe l’imbarazzo creato dal tempo ed unisce per pochi istanti le immagini dei due personaggi ed i corpi dei due attori. Così come Charlot e Keaton erano divenuti per pochi istanti la storia del cinema di Chaplin, l’abbraccio tra Ginger e Fred si fa storia del cinema di Federico. La macchina da presa non si sofferma solo sui volti, ma inquadra spesso in figura intera i due personaggi. Lo sfondo dietro è leggermente sfocato, dopo l’abbraccio Ginger riconquista il suo spazio nel mondo, ridiventa una piccola icona, un’altra illusione che passa attraverso l’inquadratura e svanisce.
Marcello Marcello è il doppio, l’altra metà, l’io capovolto di Federico. è l’antidivo divo per eccellenza, è il non attore. Il suo è un non recitare, i suoi sono semplici movimenti falsi e reali così come nella vita, nel cinema. Marcello Rubini, Guido Anselmi, Snaporaz e Fred, infiniti nomi e rimandi che ne nascondono un altro quello di Federico. Sono tanti gli attori che hanno prestato il loro corpo per farsi specchio dell’immagine, volutamente mal nascosta, di Federico. Una carrellata di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Alberto Sordi e Paolo Villaggio. Solamente Mastroianni è riuscito efficacemente a portare a termine il ruolo assegnatogli. è lui la maschera perfetta. Non attore dunque secondo i canoni rigorosamente scientifici che governano questo vocabolo, ma maschera sublime del cinema di Fellini e di molti altri artisti. L’uomo più vicino a Federico, ed allo stesso tempo più lontano. Una delle stelle più brillanti di quel firmamento di divi italiani di cui oggi è rimasta solamente la memoria.
Le donne La donna per Fellini è una specie di chiave di cui si serve per aprire la porta di una dimensione molto vicina alla realtà. Delle donne lui ci ha sempre offerto una grande carrellata. Un universo che si materializza concretamente nell’albergo sociale della Città delle donne, nel sogno inquietante di Fellini 8 e ½, nei personaggi di Amarcord, e in tutti i volti femminili che hanno occupato un posto nei suoi film.
Federico Fellini - Parte quarta
Di Andrea Falconi
La televisione, la fine
La televisione, un po’ di storia Fellini amava spesso ripetere che quando sarebbe finita la dialettica produttore-regista il cinema sarebbe morto ed avrebbe celebrato il suo funerale. Il cinema continua ad esistere, ma sicuramente in Italia la scomparsa dei grandi produttori ha determinato la fine del cinema di Fellini. Ai grandi produttori si è nel corso degli anni sostituita proprio la televisione. Un medium verso cui Fellini fu fortemente attratto in un primo momento, ma cui ben presto si distaccò moralmente, e per ragioni estetiche e per ragioni ideologiche, anche se, negli ultimi anni della sua vita, rappresentò per lui l’unica possibilità concreta di lavoro in Italia. Fellini riuscì a sperimentare con la televisione nuovi linguaggi. Questo medium ben si conformava alla frammentarietà dei pensieri di Fellini, che sempre più si andavano a liberarsi dalla ristrettezza del racconto. Fellini, tuttavia, prima di essere un narratore era un pittore e si rese ben presto conto che la televisione limitava tantissimo le potenzialità estetiche della sua immagine cinematografica prospetticamente perfetta. Un linguaggio troppo poco definito limitava le capacità decodificatrrici dello spettatore e diventava un pericolo di annichilimento per un pubblico che poteva essere facilmente influenzato dalla potenzialità del medium televisivo. Previsioni sagge, se si pensa al potere che ben presto i messaggi pubblicitari avrebbero conquistato all’interno della televisione tanto da determinarne i programmi. Pubblicità per cui Fellini lavorò, ma verso cui si scagliò con tutte le sue energie. Non tollerava che i film fossero interrotti dagli spot. Per lui erano delle violazioni ai sentimenti dell’uomo, brusche interruzioni ad emozioni che non potevano vivere in frammenti. Prova d’orchestra, Intervista, Ginger e Fred, La voce della Luna sono i vertici di un attacco contro un tipo di informazione televisiva post-deregulation che vedeva in Le tentazioni del Dott. Antonio (episodio del film collettivo Boccaccio 70), La Dolce vita e Toby Dammit dei precursori profetici di un futuro già inevitabilmente presente.
La morte, Mastorna Il mito di Federico, morendo, non poteva non lasciare la leggenda di un film che nonostante fosse stato sempre presente, sin dai primi suoi progetti, non fu mai realizzato. Si tratta de Il viaggio di G. Mastorna, che, non a caso, è un viaggio verso la morte, un viaggio nel mondo dell’al di là. Rimase solamente l’idea di questo ultimo film a Fellini, quando morente su un lettino d’ospedale vedeva la sua immagine violata, derisa, umiliata, dall’occhio indiscreto della televisione. Aveva creato in vita lo spettacolo e morente ne subiva la degenerazione, da una parte il suo splendido cinema e dall’altra la televisione. A lui che il cinema era stato precocemente negato, la televisione giungeva a depredarne le ultime immagini. Come non ricordare, di fronte al visivo impietoso filmato della malattia di Fellini, il finale del suo primo film televisivo in cui il nuovo produttore chiedeva a Federico di fare un po’ di luce, di non girare un altro film senza speranza. Fellini allora accendeva i riflettori sul circo, che illuminavano un vuoto ancor più desolante dell’oscurità. Sarebbe forse stato meglio se la televisione avesse spento i propri riflettori e ci avesse lasciato immaginare il viaggio di F. Fellini, nell’al di là. Magari un Fellini Mastorna, che riconquista definitivamente il possesso della sua immagine, quando messo di fronte ad uno schermo per rivedervi la propria vita e cercarvi qualcosa di significativo, ritrova l’istante significativo che lo riscatta da tutto. Va indietro, ferma l’immagine, e si vede vestito da clown fare una smorfia e far ridere un bambino e rifar nascere ancora una volta il cinema.
Credo di aver concluso, in maniera tutt’altro che esaustiva, di raccontare queste mie visioni su Federico Fellini. Spero che qualcun altro abbia già iniziato a scrivere, a raccontare una nuova storia su di lui, la cui memoria viva nei suoi film, non potrà mai essere cancellata.
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