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Respuesta  Mensaje 1 de 2 en el tema 
De: 2158Fenice  (Mensaje original) Enviado: 22/12/2016 09:02
 
 
Risultati immagini per dino buzzati
Dino Buzzati, all'anagrafe Dino Buzzati è stato uno scrittore, giornalista, pittore,drammaturgo, librettista,
scenografo, costumista e poeta italiano. 16 ottobre 1906, Belluno - 28 gennaio 1972, Milano
  
Dino Buzzati: “ Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno ”
 
 Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava.Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “ Ti ricordi ? ” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.E non diresti “Che bello! “, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. è inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
(Dino Buzzati, Gli inviti superflui)
 
“ Quisiera que tú vinieras hacia mí una noche de invierno “
 
Quisiera que tú vinieras hacia mí en una noche de invierno y, estrechos juntos tras los vidrios, mirando la soledad de las calles oscuras y heladas, recordáramos los inviernos de los cuentos, dónde vivimos juntos sin saberlo.Por los mismos senderos hadados pasamos en efecto tú y yo, con pasos tímidos, juntos fuimos por las selvas llenas de lobos, y los mismos genios nos espiaron desde los mechones de musgo suspendidos en las torres, entre aletear de cuervos.Juntos, sin saberlo, desde allá quizás miramos ambos hacia la vida misteriosa, que nos esperaba.Ahí palpitaron en nosotros por primera vez locos y tiernos deseos. ¿Te acuerdas? nos diremos el uno al otro, apretándonos dulcemente, en la caliente habitación, y tú me sonreirás confiada mientras fuera darán tétricos sonidos las chapas sacudidas por el viento.Pero tú -ahora me acuerdo- no conoces los cuentos antiguos de los reyes sin nombre, de los ogros y de los jardines embrujados. Nunca pasaste, secuestrada, bajo los árboles mágicos que hablan con voz humana, ni golpeaste nunca a la puerta del castillo desierto, ni caminaste en la noche hacia la lámpara lejana lejana, ni te dormiste bajo las estrellas de oriente, mecida por piragua sagrada. Tras los vidrios, en la tarde de invierno, probablemente nosotros quedaremos mudos, yo perdiéndome en los cuentos muertos, tú en otras cosas a mí desconocidas. Preguntaría yo “¿ te acuerdas ?", pero tú no recordarías.Querría contigo pasear, un día de primavera, con el cielo de color gris y alguna vieja hoja del año pasado, todavía, arrastrada en las calles por el viento, en los barrios de la perifería; y qué fuera domingo. En tales barrios a menudo surgen pensamientos malincónicos y grandes,y en algunas horas la indefinida poesía enlazando los corazones de los que se quieren.Además nacen esperanzas que no se saben decir, favorecidas por horizontes inmensos tras las casas, de los trenes huyentes, de las nubes del septentrión. Nos tendremos sencillamente por la mano e iremos con paso ligero, diciendo cosas insensatas, estúpidas y queridas. Hasta que se encenderán las farolas y de las casas de vecindad miserables saldrán las historias siniestras de las ciudades, las aventuras, las anheladas novelas. Y entonces nosotros callaremos, siempre teniéndonos por mano, ya que las almas se hablarán sin palabra.Pero tú -ahora me acuerdo- nunca me dijiste cosas insensatas, estúpidas y queridas. Ni puedes amar pues aquellos domingos que digo, ni tu alma sabe hablar a la mía en silencio, ni reconoces a la hora justa el hechizo de las ciudades ni las esperanzas que bajan desde el septentrión. Tú prefieres las luces, la muchedumbre, los hombres que te miran,las calles donde dicen se pueda encontrar la suerte. Tú eres diferente a mí y si aquel día vinieras a pasear,te quejarías de estar cansada; solo ésto y nada más.   Quisiera también ir contigo de verano a un valle solitario, riendo repetidamente por las cosas más simples, a explorar los secretos de los bosques, de las calles blancas, de algunas casas abandonadas. Pararnos sobre el puente de madera a mirar el agua que pasa, escuchar en los palos del telégrafo aquella larga historia sin fin que llega desde un lado del mundo y quién sabe dónde irá jamás. Y arrancar las flores de las praderas y aquí, extendidos sobre la hierba, en el silencio del sol, contemplar los abismos del cielo y las blancas nubecillas que pasan y las cimas de las montañas. ¡Tú dirías "Que bonito!". Nada más dirías porque nosotros seríamos felices; habiendo perdido  nuestro cuerpo el peso de los años, las almas volviendose frescas, como si hubieran nacido entonces. Pero tú … -ahora que lo pienso- tú te mirarías alrededor sin entender, tengo miedo, y te pararías preocupada a examinar una media, me pedirías otro cigarrillo, impaciente de volver.¡Y no dirías "Que bonito! ", pero otras pobres cosas que a mí no me importan. Porque desgraciadamente estás hecha así. Y no seremos ni siquiera por un instante felices. Quisiera también -déjame decir- quisiera del brazo contigo cruzar las grandes calles de la ciudad en un ocaso de noviembre, cuando el cielo es de puro cristal. Cuando los fantasmas de la vida corren sobre las cúpulas y rozan a la gente negra, al final del foso de las calles, ya colmadas de inquietudes. Cuándo memorias de edad beatas y nuevos presagios pasan sobre la tierra, dejando detrás de sí una especie de música.Con la cándida soberbia de los niños miraremos las caras de los otros, millares y millares, que nos transcurren cerca a ríos. Nosotros mandaremos sin saberlo luz de alegría y todos serán obligados a mirarnos, no por envidia y animosidad; sino sonriendo un poco, con sentimiento de bondad por la tarde que cura las debilidades del hombre. Pero tú – y lo entiendo bien - en lugar de mirar el cielo de cristal y las aéreas columnatas golpeadas por el extremo sol, querrás pararte a mirar los escaparates, los oros, las riquezas, las sedas, aquellas cosas mezquinas. Y no te darás cuenta por lo tanto de los fantasmas, ni de los presentimientos que pasan, ni te sentirás, como yo, llamada al azar orgullosa. Ni sentirías aquella especie de música, ni entenderías porqué la gente nos mira con ojos buenos.Tú pensarías en tu pobre porvenir e inútilmente sobre ti las estatuas de oro sobre las agujas levantarán las espadas a los últimos rayos. Y yo estaría solo. Es inútil. Quizás todas éstas son tonterías y tú más buena que yo, no presumiendo demasiado de la vida. Quizás tengas razón tú y sería estúpido intentar. Pero por lo menos, esto sí por lo menos, quisiera volver a verte. Sea lo que sea, nosotros estaremos juntos de alguna manera, y encontraremos la alegría. No importa si de día o por la noche, de verano o de otoño, en un país desconocido, en una casa desguarnecida, en una miserable posada.Será suficiente tenerte cerca . Yo no estarré aquí a escuchar - te prometo -  los crujidos misteriosos del techo, ni miraré las nubes, ni haré caso a las músicas o al viento. Renunciaré a estas cosas inútiles, que incluso yo amo. Tendré paciencia si no entenderás lo que te digo, si hablarás de hechos a mí extraños, si te quejarás de los vestidos viejos y del dinero. No habrán la así llamada poesía, las comúnes esperanzas, las tristezas tan amigas del amor. Pero yo te tendré cerca.Y lograremos, verás, a ser bastante felices, con mucha sencillez, sólo hombre con mujer , como suele ocurrir en cada parte del mundo. Pero tú – ahora lo pienso - estás demasiado lejana, centenares y centenares de kilómetros difíciles de atravesar. Tú estás dentro de una vida que ignoro, y los otros hombres están cerca de ti , a los que probablemente sonríes, como a mí en tiempos pasados. Y ha bastado poco tiempo para que te olvidaras de mí. Probablemente no logras más recordar mi nombre. Yo ya he salido de ti, confundido entre las innumerables sombras. Sin embargo no sé pensar que a ti, y me gusta decirte estas cosas.


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Respuesta  Mensaje 2 de 2 en el tema 
De: karmyna Enviado: 22/12/2016 23:23
  


 
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