LE GRANDI ESTINZIONI
Scipionyx, dinosauro “italiano” e situazione
continenti
INTRODUZIONE
Da quando sul nostro pianeta apparvero i primi esseri viventi
complessi la vita ha conosciuto diverse crisi biologiche, cioè la più o meno
improvvisa scomparsa di intere speci animali e vegetali.
La più famosa di queste crisi avvenne circa 65 milioni di anni
fa alla fine del periodo geologico chiamato Cretaceo quando scomparve circa
l’80% della vita animale e vegetale presente sulla Terra; fra le speci estinte
in questo periodo ricordiamo le ammoniti (organismi marini dotati di una
magnifica conchiglia avvolta a spirale) e i famosissimi dinosauri.
Questa crisi non fu l’unica né tantomeno la più catastrofica;
gli scienziati hanno scoperto le tracce di diverse ‘grandi estinzioni’ mentre la
più terribile avvenne circa 250 milioni di anni fa, alla fine del periodo
geologico chiamato Permiano, quando scomparve il 90% (e forse anche più) di
tutte le speci viventi e la vita rischiò sul serio di scomparire per
sempre.
Nelle pagine seguenti andremo a conoscere meglio le
caratteristiche di queste grandi estinzioni e cercheremo di spiegarne le
possibili cause.
UN UNIVERSO VIOLENTO
Il senso di pace e di serenità che ci trasmette la visione del
cielo stellato può portare a ritenere che l’universo sia un luogo pacifico in
cui regna la tranquillità. In realtà l’universo è molto diverso da come ci
appare; in esso avvengono fenomeni di una violenza inimmaginabile, vere e
proprie catastrofi cosmiche che fanno vacillare la nostra mente quando tentiamo
di apprezzarne la portata.
I grandi telescopi costruiti nel secolo che si è appena concluso
ci hanno mostrato stelle che esplodono, galassie che si incontrano e si fondono,
buchi neri supermassicci che inglobano miliardi di tonnellate di materia, nuclei
di galassie da cui si dipartono giganteschi getti di materia con velocità di
migliaia di chilometri al secondo e tutta una serie di altri fenomeni minori che
ci fanno comprendere quanto l’universo in cui viviamo sia violento e
inospitale.
Andiamo allora a vedere da vicino alcuni di questi fenomeni e
cerchiamo di capire i motivi della loro pericolosità.
Supernovae
Antiche cronache ci raccontano che nell’anno 1006 d.c. nella
costellazione australe del Lupo apparve una nuova e luminosissima stella; il
nuovo astro, nel momento del massimo splendore, raggiunse e superò la luminosità
del pianeta Venere dopodiché cominciò ad affievolirsi fino a sparire del tutto
dopo qualche tempo senza lasciare traccia.
Un’analoga apparizione avvenuta 48 anni più tardi nella
costellazione del Toro attirò l’attenzione degli antichi astronomi cinesi mentre
altre due avvenute nel 1572 nella costellazione di Cassiopeia e nel 1604
nella costellazione di Ofiuco furono osservate rispettivamente dal grande
astronomo danese Thyco Brahe e dal suo allievo tedesco Johannes
Kepler.
Il mistero legato a queste improvvise apparizioni di stelle
venne definitivamente svelato, almeno nelle sue linee generali, negli anni ’30
del secolo scorso quando cominciarono a svilupparsi le prime teorie sulla
evoluzione stellare. Secondo queste teorie quando una stella molto massiccia
esaurisce il suo combustibile nucleare nel suo interno vengono ad instaurarsi
delle fortissime instabilità che degenerano in una apocalittica esplosione e la
stella si autodistrugge. Il fenomeno è davvero imponente: nei brevi istanti
dell’esplosione la stella libera tanta energia quanta ne aveva liberata in tutta
la sua vita precedente e diventa più luminosa dell’intera galassia che la
contiene, cioè più luminosa di centinaia di miliardi stelle. Queste esplosioni
stellari furono chiamate supernovae (nota 1).
Le supernovae sono fenomeni abbastanza rari, almeno nell’ambito
della singola galassia; però, siccome esistono miliardi di galassie, esplosioni
di supernovae vengono continuamente osservate nelle galassie esterne.
La loro pericolosità consiste nella furia devastante
dell’esplosione e nell’ingentissima quantità di raggi X e Gamma emessi.
Ricordiamo che queste radiazioni, in dosi massicce, sono pericolosissime per gli
esseri viventi; di conseguenza se una supernova dovesse esplodere nel raggio di
qualche centinaio di anni luce dalla Terra la vita subirebbe gravi danni e
rischierebbe l’estinzione.
Gamma Ray Burst (lampi di raggi
gamma).
Durante gli anni ’60 del secolo scorso alcuni satelliti militari
(Vela) predisposti al controllo del rispetto dei trattati contro la
proliferazione degli armamenti nucleari scoprirono l’esistenza di veri e propri
lampi di raggi gamma provenienti dallo spazio al ritmo medio di un lampo al
giorno. Questi fenomeni furono chiamati GRB, Gamma Ray Burst (lampi di raggi
gamma) e la loro origine è rimasta un mistero fino a pochi anni fa; durante gli
ultimi anni, soprattutto grazie al satellite italiano Beppo SAX, gli scienziati
hanno scoperto che i GRB sono dovuti a titaniche esplosioni, molto più potenti
delle esplosioni di supernova, che avvengono in galassie lontanissime. L’origine
di queste esplosioni non è però ancora chiara; si parla infatti di supernovae
molto più potenti di quelle ordinarie (ipernovae) oppure della fusione di due
stelle di neutroni oppure di una stella di neutroni con un buco nero.
Quello che invece è molto chiaro è che i GRB sono i fenomeni più
energetici e violenti dell’intero universo conosciuto; il 14 dicembre 1997 Beppo
SAX registrò l’apparizione di un lampo gamma la cui potenza fu seconda solo a
quella del Big Bang (per questo motivo il lampo gamma in questione fu chiamato
‘il secondo Big Bang’).
Le conseguenze per il nostro pianeta dell’apparizione di un GRB
nella nostra galassia sono facilmente intuibili.
Impatti asteroidali
Fenomeni di inaudita violenza (anche se di molti ordini di
grandezza inferiore a quella di una supernova o di un GRB) avvengono anche
all’interno del nostro sistema solare e, per rendersene conto, basta osservare
la Luna con un modesto cannocchiale. La superficie del nostro satellite appare
costellata di crateri dovuti all’impatto con corpi minori del sistema solare; i
crateri sono molto diffusi su tutti i pianeti di tipo roccioso di tipo terrestre
e sui satelliti dei pianeti gioviani.
Infatti il sistema solare, oltre ai pianeti, contiene milioni di
corpi minori (meteoriti, asteroidi, comete) con dimensioni che variano da
qualche millesimo di millimetro a qualche centinaio di chilometri; quando
l’orbita di uno di questi corpi interseca quella di un pianeta è possibile una
collisione.
Anche la Terra in passato deve essere stata oggetto di numerosi
impatti ma l’azione degli agenti atmosferici (vento e pioggia) ne ha cancellato
quasi totalmente i crateri; nonostante tutto alcune di queste antiche cicatrici
sono ancora visibili come, ad esempio, il famosissimo cratere, visibile solo da
immagini prese in quota, che si trova nello stato canadese del Quebec e generato
dalla collisione con un asteroide avvenuta circa 200 milioni di anni
fa.
Le conseguenze di impatti di questo tipo sono devastanti; oltre
agli effetti immediati come onde d’urto e giganteschi tsunami che farebbero più
volte il giro del pianeta, avremmo effetti a lungo periodo sul clima. Infatti
l’impatto con un grosso asteroide o una cometa provocherebbe il sollevamento di
milioni di tonnellate di polvere che finirebbero nell’alta atmosfera riducendo
in maniera sostanziale la quantità di luce proveniente dal Sole; avremmo così un
periodo iniziale di raffreddamento e un drastico calo dell’attività
fotosintetica delle piante cui seguirebbe un periodo di forte riscaldamento per
effetto serra (nota
2).
Per un ecosistema come il nostro che dipende fortemente dalla
temperatura e quasi completamente dalla luce solare le conseguenze sarebbero
catastrofiche con la scomparsa di intere speci animali e vegetali.
Queste considerazioni di carattere astronomico sono quasi
profetiche. Infatti gli scienziati che studiano la storia della vita sulla Terra
hanno scoperto, in maniera del tutto indipendente, che a partire dalla comparsa
dei primi organismi viventi complessi (circa 700 milioni di anni fa) la vita ha
conosciuto e superato diverse crisi biologiche, cioè la scomparsa in tempi più o
meno rapidi di numerosissime speci di esseri viventi che sono state chiamate
‘grandi estinzioni’.
LE GRANDI ESTINZIONI
La vita apparve molto presto sul nostro pianeta; circa 4
miliardi di anni fa, appena 600 milioni di anni dopo la sua formazione,
comparvero negli oceani terrestri le prime antichissime forma di
vita.
Questi esseri viventi erano microorganismi unicellulari (cioè
costituiti da una sola cellula) molto semplici e primitivi e si dividevano in
due grandi categorie: organismi fermentatori, i quali si nutrivano a spese delle
numerose molecole organiche presenti negli oceani, e organismi
fotosintetizzatori, i quali invece prosperavano grazie ad un meccanismo
completamente diverso. Infatti grazie ad un pigmento verde chiamato clorofilla,
che si ritiene sia stato inglobato in queste cellule casualmente, questi esseri
riuscivano a catturare l’energia del Sole e, grazie a questa energia,
scomponevano le molecole di acqua e di anidride carbonica (disciolta nell’acqua)
per autocostruirsi i propri alimenti.
Questo meccanismo è la famosa fotosintesi clorofilliana ed è
talmente semplice e ingegnoso che si è conservato praticamente immutato fino ad
oggi. La fotosintesi clorofilliana è un piccolo prodigio della natura: da essa
dipende la quasi totalità della vita sulla Terra.
Inoltre la fotosintesi presenta un importantissimo effetto
collaterale; infatti dopo la scomposizione dell’acqua e dell’anidride carbonica
rimane inutilizzato l’ossigeno il quale è a tutti gli effetti un prodotto di
scarto e viene liberato nell’atmosfera. Quasi tutto l’ossigeno presente oggi
nell’atmosfera terrestre, così importante per una grossa percentuale di esseri
viventi (uomo compreso), è stato rilasciato grazie a quattro miliardi di anni di
attività fotosintetica.
La vita rimase confinata negli oceani sotto forma di semplici
microorganismi unicellulari per più di tre miliardi di anni; infatti le prime
speci complesse (spugne e meduse) comparvero circa 700 milioni di anni fa.
Infine, circa 400 milioni di anni fa, la vita uscì dall’acqua e si trasferì
sulla terraferma.
Le prime estinzioni conosciute risalgono proprio a quest’epoca.
Le teorie proposte per spiegare queste tremende crisi biologiche si dividono in
due gruppi: teorie che sostengono che le speci animali e vegetali scomparvero in
maniera lenta e graduale a causa di forti mutamenti del loro habitat (come
imponenti glaciazioni) e teorie che invece sostengono che le estinzioni furono
rapide e improvvise causate da eventi catastrofici. A loro volta queste
catastrofi possono essere di tipo extraterrestre, come l’esplosione di una
supernova vicina o la collisione con un asteroide o una cometa, oppure di
origine terrestre come episodi di intensa attività vulcanica.
Gli effetti di una imponente eruzione vulcanica sul clima sono
analoghi a quelli provocati da una collisione asteroidale: immense quantità di
polveri immesse nell’atmosfera, iniziale raffreddamento e conseguente
riscaldamento della superficie terrestre con un drastico calo dell’attività
fotosintetica delle piante per via dell’oscuramento del Sole.
Ovviamente non esiste un’unica spiegazione e tutti i fenomeni (e
anche altri) di abbiamo parlato in precedenza possono essere stati più o meno
determinanti.
A tutt’oggi gli scienziati hanno scoperto l’esistenza di cinque
grandi estinzioni e altre minori. Le più importanti sono le seguenti:
1ª grande estinzione – fine Ordoviciano – 450
milioni di anni fa
Depositi glaciali relativi a questo periodo sono stati trovati
nel deserto del Sahara; quando l’antico supercontinente Gondwana (nota 3) transitò nei
pressi del Polo Sud si ebbe una glaciazione prolungata che causò l’abbassamento
del livello dei mari con conseguente drastica riduzione di tutti gli habitat
marini. Ricordiamo che in quest’epoca la vita era ancora confinata negli
oceani.
Percentuale stimata di speci viventi coinvolte nell’estinzione:
85%
2ª grande estinzione – fine Devoniano – 365
milioni di anni fa
Depositi glaciali relativi a questo periodo sono stati trovati
nel nord del Brasile ma, fra le cause dell’estinzione, alcuni scienziati
includono anche impatti asteroidali. In ordine di gravità è la terza
estinzione.
3ª grande estinzione – fine Permiano – 250
milioni di anni fa
è la più grande estinzione di tutti i tempi; ne parleremo più
diffusamente nel prossimo capitolo.
Percentuale stimata di speci viventi coinvolte nell’estinzione:
90-95%
4ª grande estinzione – fine Triassico – 205
milioni di anni fa
Questa estinzione colpisce soprattutto le speci
marine.
Percentuale stimata di speci viventi coinvolte nell’estinzione:
75%
5ª grande estinzione – fine Cretaceo – 65
milioni di anni fa
è sicuramente l’estinzione di massa più famosa poiché costò la
vita ai dinosauri e, essendo la più recente, anche la più conosciuta.
Percentuale stimata di speci viventi coinvolte nell’estinzione:
80%
LA GRANDE ESTINZIONE DEL PERMIANO
Il ‘Triangolo Nero’ è una località che si trova nel nord della
Repubblica Ceca non lontano dai confini con la Germania e la Polonia. Questa
zona deve il suo nome al carbone bruciato nelle vicine centrali
termoelettriche.
In mezzo alla bassa vegetazione vi sono centinaia di tronchi di
alberi morti; è ciò che resta di una lussureggiante foresta annientata dalle
piogge acide, una conseguenza della combustione del carbone (nota 4).
Immaginiamo un paesaggio del genere esteso a tutto il pianeta e
forse potremo avere un’idea del panorama presente sulla Terra 250 milioni di
anni fa, alla fine del periodo geologico denominato Permiano, all’epoca della
più grande catastrofe ecologica di tutti i tempi.
Prima della grande crisi la vita sia animale che vegetale, sia
terrestre che marina, prosperava sul nostro pianeta; la terraferma era dominata
dai sinapsidi, la prima grande dinastia di vertebrati terrestri, che
prosperavano da 60 milioni di anni. Anche le acque degli oceani pullulavano di
vita: fra le numerosissime speci ricordiamo i coralli, le ammoniti e le
trilobiti.
Solo pochissime speci scamparono al disastro; la superficie
terrestre si trasformò in una landa desolata e gli oceani in una massa d’acqua
quasi sterile.
Per quanto riguarda il mondo vegetale la situazione fu
altrettanto drammatica: quasi tutti gli alberi morirono; sopravvissero solamente
le piante di minori dimensioni. Infatti gli scienziati hanno scoperto che le
rocce risalenti al Permiano sono ricche di polline, segno della presenza di
grandi foreste di conifere in buona salute; poi, improvvisamente, il polline
sparisce e nelle rocce di fine Permiano di tutto il mondo si trova una grande
quantità di filamenti di funghi fossilizzati. Secondo alcuni ricercatori si
tratta di un fungo che attacca gli alberi morti segno inequivocabile che la
superficie terrestre si era trasformata in una distesa di alberi in
decomposizione.
Si calcola che durante la grande estinzione del Permiano
scomparve il 90-95% di tutte le speci viventi presenti sulla Terra; meno del 5%
degli animali marini riuscì a sopravvivere. Mai, come in questo momento, la vita
rischiò veramente di scomparire dalla faccia del pianeta Terra.
Secondo alcuni ricercatori l’estinzione avvenne in tempi rapidi,
dell’ordine di alcuni milioni di anni; secondo altri in tempi rapidissimi, meno
di 100.000 anni. è difficile immaginare un cataclisma in grado di provocare un
disastro simile ma, come abbiamo visto in precedenza, i candidati non
mancano.
Secondo l’opinione di alcuni scienziati l’evento che ha
scatenato il disastro fu la caduta di un grosso asteroide. Analizzando alcuni
campioni di roccia presenti in Australia e in Antartide, che risalgono all’epoca
dell’estinzione, sono stati trovati dei minuscoli cristalli di quarzo che
presentano delle microscopiche fratture. Per deformare il quarzo in questa
maniera è necessaria una quantità di energia enorme, di molte volte superiore a
quella di un’esplosione nucleare.
Recentemente nel sottosuolo australiano è stata scoperta la
presenza di un antico cratere da impatto, largo 120 chilometri, provocato dalla
collisione con un asteroide di cinque chilometri di diametro. Questo evento
catastrofico risale proprio all’epoca della grande estinzione; le cose sono,
però, complicate dal fatto che l’estinzione del Permiano è stata preceduta e
seguita da due estinzioni minori.
Gli effetti di un simile cataclisma sono stati descritti in
precedenza ma vale la pena ricordarli. La potenza della collisione solleverebbe
milioni di tonnellate di polveri e gigantesche nubi oscurerebbero il Sole per
molto tempo; la temperatura subirebbe una drastica riduzione e cadrebbero piogge
e nevi acide corrosive. Questi effetti immediati sarebbero di per sé sufficienti
a sterminare quasi tutte le piante e con loro gran parte degli animali erbivori
(che si nutrono di piante) e carnivori (che si nutrono di erbivori). Una volta
diradate le nubi il Sole sarebbe tornato a risplendere su un pianeta devastato;
ma i guai non sarebbero finiti qui.
La decomposizione di così tanta materia organica libererebbe
nell’atmosfera immense quantità di anidride carbonica che è, fra l’altro, un
potente gas serra. Si sarebbe quindi sviluppato un colossale effetto serra con
un conseguente fortissimo surriscaldamento del pianeta che sarebbe durato
milioni di anni.
Altri scienziati sono invece convinti che a provocare il
disastro sia stato un episodio di intenso vulcanismo verificatosi proprio 250
milioni di anni fa. Questa volta le indagini partono dalla città di Norilsk in
Siberia. Norilsk si trova su un enorme tavolato basaltico, coperto di boschi di
conifere, spesso 4000 metri e ampio due milioni e mezzo di chilometri quadrati
frutto di una delle più grandi eruzioni vulcaniche di tutti i tempi. Si calcola
che in quella occasione venne eruttata una quantità di lava sufficiente a
ricoprire la superficie dell’intero pianeta con uno strato di circa sei
metri.
Come accennato in precedenza gli effetti sul clima di un tale
cataclisma sono identici a quelli provocati da una collisione
asteroidale.
Altri scienziati ancora propendono per soluzioni più ‘soft’.
Secondo alcuni la vita nei mari si sarebbe estinta a causa di una anossia
generalizata di origine sconosciuta; tracce di anossia, cioè di mancanza di
ossigeno, sono state riscontrate in rocce marine risalenti alla fine del
Permiano. Secondo altri, invece, la crisi dei mari sarebbe avvenuta a causa di
una concentrazione troppo elevata di anidride carbonica.
Abbiamo quindi diversi indiziati ma nessun colpevole certo;
infatti ciò che accadde alla fine del Permiano è ancora avvolto nel
mistero.
L’ULTIMO GIORNO DEL CRETACEO
La più famosa estinzione di massa avvenne 65 milioni di anni fa
alla fine del periodo geologico chiamato Cretaceo; la sua fama è dovuta al fatto
che in quest’epoca scomparvero i dinosauri; i grandi rettili, discendenti dei
sopravvissuti della grande estinzione del Permiano, dominarono il pianeta Terra
per più di 150 milioni di anni.
Sull’argomento molto è stato detto e scritto da parte di organi
di stampa e televisivi, soprattutto in corrispondenza dell’uscita nelle sale
cinematografiche del film “Jurassic Park”, e quindi non ci soffermeremo più di
tanto.
Era opinione diffusa che la grande crisi fosse stata causata
dall’esplosione di una supernova molto vicina alla Terra; a sostegno di tale
ipotesi alcuni astronomi avevano scoperto che il sistema solare si trova molto
vicino al centro di un enorme anello di gas in espansione che sembrava essere il
residuo di tale esplosione.
Poi nel 1980 si ebbe il primo colpo di scena. Nei pressi della
città italiana di Gubbio in alcuni strati geologici risalenti al limite KT
(nota 5)
venne riscontrata la presenza di una anomala concentrazione di iridio, un
elemento abbastanza raro sulla Terra ma comune nelle meteoriti.
Luis Alvarez, premio Nobel per la chimica che partecipò al
progetto Manhattan, il figlio Walter e Frank Asaro, che misurò quantitativamente
la percentuale di iridio, avanzarono allora l’ipotesi che l’estinzione doveva
essere stata causata dalla collisione con un grosso asteroide o una
cometa.
Le tracce del cratere e del conseguente tsunami sono state
cercate per dieci anni e tutti gli indizi a disposizione facevano ritenere che
il luogo dell’impatto fosse il Golfo del Messico. Poi il secondo colpo di scena:
negli archivi della PEMEX (Petroleos Mexicanos), una grossa azienda petrolifera
messicana, fu trovato un dossier relativo alla scoperta di una enorme struttura
circolare sotterranea situata nella penisola dello Yucatan in prossimità della
cittadina di Puerto Chicxulub vicino a Merida. Su questa struttura, che in un
primo tempo era stata scambiata per un vulcano sotterraneo, era stato eseguito
uno studio i cui risultati non erano stati pubblicati per motivi di
riservatezza.
Lo studio del cratere di Chicxulub ha portato alla conclusione
che il corpo celeste responsabile della collisione doveva essere un asteroide o
una cometa con un diametro di circa dieci chilometri che ha impattato la
superficie terrestre alla velocità di 30 chilometri al secondo liberando una
energia pari a 10000 volte quella che avrebbe potuto liberare tutto l’arsenale
nucleare mondiale ai tempi della guerra fredda.
NEMESI: LA COMPAGNA OSCURA DEL
SOLE
Secondo alcuni scienziati le estinzioni di massa si sono
ripetute, nell’arco della storia della vita sulla Terra, con una periodicità
compresa fra 26 e 31 milioni di anni; ovviamente gli autori nel loro studio
hanno considerato oltre alle grandi estinzioni anche le estinzioni minori e
altre crisi che hanno interessato alcune speci animali.
Per spiegare questa periodicità nel 1984 Richard Muller, Piet
Hut e Marc Davis avanzarono l’affascinante ipotesi che il Sole non sia una
stella singola bensì una stella doppia. La compagna sarebbe una stellina molto
debole (una nana rossa) e percorrerebbe un’orbita molto allungata con un periodo
compreso fra 26 e 31 milioni di anni.
Questa presunta compagna oscura del Sole fu battezzata con il
nome di Nemesi.
L’orbita molto eccentrica farebbe in modo che Nemesi rimanga per
la maggior parte del tempo in regioni remote; ma quando, una volta ogni 26-31
milioni di anni, la stellina raggiunge il punto della sua orbita più vicino al
Sole va a perturbare la nube di Oort, il grande serbatoio di comete inattive che
si trova oltre l’orbita di Plutone, provocando così una fitta pioggia di comete
in direzione del centro del sistema solare. La probabilità di impatti sarebbe
così molto più elevata.
Questa teoria, dopo un periodo iniziale di grande popolarità, è
caduta un po’ in disgrazia al punto che al solo nome di Nemesi molti astronomi
storcono il naso. Nonostante tutto alcuni gruppi di ricercatori continuano
imperterriti nella sua ricerca.
Molto recentemente è stata annunciata la scoperta di una nana
bruna (nota 6) nelle immediate vicinanze del Sole. Secondo le prime stime l’astro è
stato trovato a una distanza di 13 anni luce e possiede una massa che si aggira
intorno alle 60 masse gioviane; il tipo di stella e le sue caratteristiche sono
comunque diverse da quelle ipotizzate per Nemesi.
La caccia continua.
E OGGI ?
Oggi la situazione non è molto cambiata rispetto a 65 milioni di
anni fa; i pericolosissimi eventi astronomici, di cui abbiamo parlato in
precedenza, sono sempre in agguato e possono verificarsi in qualsiasi
momento.
Le supernovae, per esempio. Trattandosi della fase finale della
vita di stelle molto massicce, l’esplosione di una supernova è un evento
piuttosto comune su scale di tempi molto grandi ed è assolutamente
imprevedibile.
Nei dintorni del Sole vi sono molte stelle candidate a terminare
la propria esistenza in questa maniera e abbiamo fortissimi indizi astronomici
che circa 12.000 anni fa esplose una supernova che distava dalla Terra solo
1.500 anni luce. La supernova apparve nella zona attualmente occupata dalla
costellazione australe della Vela e nel momento del parossismo raggiunse una
luminosità pari a quella della Luna piena. Gli effetti furono limitati poiché la
distanza era comunque sufficiente per salvare il pianeta dalle radiazioni;
infatti, secondo studi realizzati negli ’70 del secolo scorso, la distanza
critica dovrebbe aggirarsi intorno ai 600 anni luce.
Sul fronte degli impatti asteroidali le cose non vanno meglio
visto che questi fenomeni sono molto frequenti; basti pensare al Meteor Crater
in Arizona, provocato dalla caduta di un asteroide avvenuta fra 50.000 e 20.000
anni fa, oppure alla catastrofe di Tunguska in Siberia, dove nel 1908
l’esplosione in quota di un asteroide annientò migliaia di chilometri quadrati
di foresta, oppure ancora al piccolo asteroide che nel 1972 entrò nell’atmosfera
e sfiorò la superficie terrestre.
Oggi si conoscono numerosi asteroidi le cui orbite intersecano
quella terrestre e che vengono continuamente monitorati; nessuno di loro è
attualmente in rotta di collisione con la Terra ma il pericolo non è certamente
scongiurato per l’impossibilità di scoprire e tenere sotto controllo tutti gli
asteroidi potenzialmente pericolosi, soprattutto quelli più piccoli.
Nell’eventualità, speriamo remota, di una esplosione di
supernova vicina o di un impatto con grosso asteroide o con una cometa il genere
umano probabilmente non avrebbe scampo e farebbe la stessa fine dei dinosauri.
Ma l’uomo è solo una fra le innumerevoli speci viventi sul pianeta Terra e la
vita ha già dimostrato in più di un’occasione di sapersela cavare anche nelle
situazioni più estreme; infatti se è riuscita a superare la grande crisi del
Permiano vuol proprio dire che la vita non ha paura di nulla.