In Italia si commettonoseicento omicidi l’anno e nel 40-45 per cento
dei casi non si trova l’assassino.
Circa 200-250 delitti avvengono in
famiglia e anche qui molte volte non si riesce a prendere
il vero responsabile. L’elenco dei “cold case” è
lungo, dal delitto dell’Olgiata, a via
Poma, fino al più recente omicidio di Sarah
Scazzi.
Il criminologo Francesco Bruno critica la cattiva organizzazione
degli apparati investigativi: scarsa
collaborazione tra le diverse forze dell’ordine, mancanza di addestramento
e limitato utilizzo di strumenti innovativi.
“Purtroppo l’Italia – dice il criminologo all’Agi – è un Paese in cui ci
sono delitti
emblematici perche’, sia pure
appartenendo a omicidi passionali, le
indagini vengono fatte cosi’ male che non si riesce a
portare un indagato sul banco degli
imputati”.
Bruno fa l’esempio del “mostro di
Firenze, un processo indiziario, ma anche dell’omicidio di
Sarah Scazzi di Avetrana, dove nonostante azioni di estrema chiarezza non si
riesce a
risolvere appieno il caso”.
Manca non solo un’organizzazione tra le forze dell’ordine ma, sottolinea il
criminologo, “il
deus ex machina è il pm non addestrato
alle indagini e quindi più esposto agli
sbagli”. Occorre “una supervisione che in Italia non
esiste. Abbiamo ottimi investigatori ma il sistema generale non funziona. E
pensare – continua Bruno – che la polizia negli
anni ‘50 era la più quotata a livello
mondiale.
Adesso invece il funzionamento dei corpi di polizia è ancora ’ottocentesco’,
privo di quelle possibilità di scelte autonome”. Gli errori commessi in via Poma
o ad Avetrana “sono
colossali”.
Le “gelosie” tra polizia e carabinieri hanno poi un ruolo centrale nelle
indagini e soprattutto, sottolinea Bruno, ”manca il ruolo di una ‘disciplinare’:
chi commette un errore marchiano deve ‘pagare’, per esempio con un blocco di
carriera, ma tutto questo in Italia non esiste”.