Il 2 giugno 1946 gli italiani furono chiamati alle urne per scegliere attraverso un referendum la nuova forma istituzionale dello Stato, cioè per decidere con il voto se l'Italia doveva continuare ad essere una Monarchia oppure diventare una Repubblica. Nello stesso giorno vennero indette le elezioni per l'Assemblea Costituente, incaricata di elaborare la nuova Carta Costituzionale, in sostituzione del vecchio Statuto Albertino, rimasto pressochè immutato dal 1848. Per la prima volta nella storia italiana si vota a suffragio universale maschile e femminile. Prima di allora, infatti, le donne non avevano avuto diritto al voto.
La monarchia sabauda, che regnava sul Paese dall’Unità d’Italia, era ormai invisa alla maggioranza degli italiani, che le attribuivano la colpa di aver facilitato l’instaurazione della dittatura fascista e di non essersi opposta alle leggi razziali e alla dichiarazione di una guerra che aveva devastato il paese. Infatti nel 1922, in occasione della Marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III aveva rifiutato di decretare lo stato d'assedio suggerito e predisposto dal primo ministro Luigi Facta e aveva designato Benito Mussolini come primo ministro, dando quindi la sua benedizione e il suo appoggio al regime fascista.
Così i cittadini italiani si erano trovati sotto il tallone di ben due poteri: quello del re e quello di un dittatore e questo aveva reso più scompensata la condizione di equilibrio fra i cittadini e le istituzioni, ormai lontanissime da qualsiasi principio democratico. La rappresentanza politica infatti era stata azzerata e la Camera dei deputati era stata mutata in Camera delle corporazioni e completamente esautorata. Il re non fece da parte sua mai niente per opporsi al regime fascista.
Ma quando si accorse che la guerra a fianco della Germania ormai volgeva al peggio, cinicamente scaricò su Mussolini tutte le colpe e in accordo con parte dei gerarchi fascisti, gli revocò il mandato e lo fece arrestare, affidando il governo al maresciallo Pietro Badoglio. Il nuovo governo iniziò i contatti con gli Alleati per giungere ad un armistizio. All'annuncio dell'armistizio di Cassibile, l'8 settembre 1943, l'Italia precipitò nel caos. L'esercito nel suo complesso, privo di ordini, si sbandò e venne rapidamente disarmato dalle truppe tedesche; Vittorio Emanuele III, la corte e il governo Badoglio fuggirono da Roma, lasciando il paese nella disperazione e senza una guida. La guerra contro i Tedeschi fu proseguita da ciò che restava dell’esercito - cioè da tutti quegli ufficiali, sottufficiali e truppe che non erano scappati insieme a quel vigliacco del re - ma soprattutto dalle organizzazioni volontarie di cittadini e di militanti dei partiti democratici, che presero il nome di “formazioni partigiane”. Erano giovani e anziani, erano donne coraggiose che facevano le staffette, che rischiavano la vita ed è proprio così che guadagnarono sul campo il diritto di voto per tutte le donne. Erano cittadini e cittadine che amavano il loro paese e desideravano ancora esserne fieri, poterlo riscattare davanti al mondo, poter sollevare la testa e dire con orgoglio “sono italiano”. Qualcosa che noi abbiamo smesso di fare da tempo. Com’è triste vergognarsi del proprio paese. Come avvilisce, come non dà più senso e sapore a nulla vivere nella consapevolezza del disprezzo altrui. Ma perché subirlo? Perché non ribellarsi? Perché aspettare di potersi accodare a qualcuno che apra la via? E se nessuno fa il primo passo? Ci lasciamo affogare nel letame della corruzione, dell’immoralità, delle menzogne? Ma cosa ci è successo, amici e compagni? Prendiamo questa giornata per rifletterci sopra, per ripensare a noi, alla nostra storia, a quello che è successo in questi anni. Pensiamo a quel giorno lontano in cui avemmo il coraggio di dire “basta!” e di cambiare la nostra vita.
Il re si era comportato in modo così ignobile, che per tentare di salvare la Corona - poco prima della consultazione referendaria del 2 giugno - fu costretto ad abdicare (9 maggio 1946) in favore del figlio Umberto II, che fu chiamato appunto “il re di maggio”, perchè durò solo poche settimane: infatti il 2 giugno il referendum spazzò via la monarchia.
Al referendum andarono a votare più di 24 milioni di italiani su 28 milioni di aventi diritto: una percentuale altissima: dell’89,1 %. Ci furono circa un milione emmezzo di voti nulli, quelli validi furono divisi in questo modo: 10.688.210 i voti alla monarchia e 12.672.076 alla repubblica. C’è una leggenda metropolitana che vuole che ci siano stati dei brogli elettorali in favore della repubblica. Naturalmente sono i monarchici a gridare al broglio: vi ricorda qualcuno? C’è chi non sa perdere. Se avessero avuto ragione quelli che parlavano di brogli, il partito monarchico nelle elzioni politiche del 18 aprile 1948 non sarebbe stato un gruppuscolo parlamentare che arrivava a malapena al 2, 78 % alla Camera e solo al 2% al Senato. Questo per dire basta una volta per tutte alle balle che si raccontano. Poi vorrei chiedere a quegli stessi monarchici che oggi fanno i nostalgici: ma vi piacerebbe davvero avere Vittorio Emanuele come re, come guida di questo paese? Ma se è stato ripudiato perfino dalla sua famiglia?!? Eppure se ci fosse stata la monarchia ce lo saremmo dovuto tenere. Dio santo: vengono i brividi solo a pensarlo! Era destino però che saremmo finiti comunque male, eh…
Per fortuna allora vinse la repubblica ma, come si vede dai dati, anche allora il paese era spaccato quasi a metà. Come adesso. Due italie che non potrebbero essere più lontane ed estranee una all’altra. Da quando l’Italia è un solo paese è sempre stata divisa: fra nord e sud, fra polentoni e maccaroni, fra campagna e industria, fra destra e sinistra, fra fascisti e comunisti, fra cattolici e laici, fra magistrati coraggiosi e mafiosi delinquenti, fra civiltà e barbarie, fra etica e corruzione…
E comunque quel 2 giugno 1946 ci fu una svolta storica in questo paese di scontri e di sabbie mobili: nacque la Repubblica, che fu proclamata ufficialmente il successivo 18 giugno. Pochi giorni dopo il referendum il re Umberto II, "il re di maggio", fu costretto ad andare in esilio in Portogallo (13 giugno 1946).
L'Assemblea Costituente, liberamente eletta, inizia i suoi lavori il 25 giugno 1946 e tre giorni dopo elegge Enrico De Nicola capo provvisorio dello Stato. Il 22 dicembre 1947, dopo 170 sedute e 1090 interventi, l'Assemblea approva il testo della Costituzione italiana, che entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.
Per molti anni la festa del 2 giugno, la festa della Repubblica, scadde d’importanza, fino a che nel 2000 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la riportò in auge con gran fasto, insieme al nostro inno nazionale: e di questo dobbiamo essergliene grati, veramente molto grati. Il rispetto e la difesa della Costituzione lo dobbiamo a un altro presidente: Oscar Luigi Scalfaro, che ancora alla sua veneranda età si batte come un leone contro le aggressioni pesanti e pericolose del cavaliere - che ha detto chiaramente che il PdL sarà un partito monarchico( andate nel sito dei monarchici a controllare) - e della sua coalizione filofascista.
Noi cittadini democratici abbiamo un legato ereditario di grande valore e ora spetta a noi conservarlo integro e salvo per i nostri figli e nipoti: non permettiamo che venga distrutto come il resto di questo paese, perché dopo non ci sarà più nulla su cui ricostruire, da cui ricominciare.
Buona festa della Repubblica a tutti i cittadini di questo paese, anche quelli che non sono consapevoli di esserlo e pensano che la patria è là dove ti pagano.
(Articolo di Barbara Fois)
Voglio issare la Bandiera Italiana sul pennone più alto che ci sia
per celebrare il 2 Giugno non come giornata dedicata ai viaggi,
ai bagordi o alle gite fuori porta ma per rendere onore ad
un simbolo di Libertà, di Indipendenza e di Democrazia,
un traguardo raggiunto grazie al sacrificio di tante vite umane,
il segno tangibile di quegli ideali che infiammarono i nostri padri,
di quei valori che amo più di ogni cosa e che sembrano ormai
sopìti da tempo, quel " morire da uomini per vivere da uomini"
che ha caratterizzato la nostra storia meravigliosa e gloriosa.
La festa dedicata alla Repubblica Italiana dovrebbe avere
il compito di risvegliare nelle coscienze quei concetti di fratellanza
e di comunione d'intenti divenuti obsolèti, ma per fortuna non per tutti.
Con la speranza che il mio piccolo messaggio possa essere
chiaramente recepito dai più auguro a tutti coloro che
hanno la bontà di leggermi e a tutti i cari amici della community
O patria mia, vedo le mura e gli archi E le colonne e i simulacri e l'erme Torri degli avi nostri, Ma la la gloria non vedo, Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi I nostri padri antichi. Or fatta inerme Nuda la fronte e nudo il petto mostri, Oimè quante ferite, Che lívidor, che sangue! oh qual ti veggio, Formesissima donna! Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite; Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Che di catene ha carche ambe le braccia, Sì che sparte le chiome e senza velo Siede in terra negletta e sconsolata, Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange. Piangi, che ben hai donde, Italia mia, Le genti a vincer nata E nella fausta sorte e nella ria. Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, Mai non potrebbe il pianto Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; Che fosti donna, or sei povera ancella. Chi di te parla o scrive, Che, rimembrando il tuo passato vanto, Non dica: già fu grande, or non è quella? Perchè, perchè? dov'è la forza antica? Dove l'armi e il valore e la costanza? Chi ti discinse il brando? Chi ti tradì? qual arte o qual fatica 0 qual tanta possanza, Valse a spogliarti il manto e l'auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in così basso loco? Nessun pugna per te? non ti difende Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: ío solo Combatterà, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco Agl'italici petti il sangue mio. Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d'armi E di carri e di voci e di timballi In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, Un fluttuar di fanti e di cavalli, E fumo e polve, e luccicar di spade Come tra nebbia lampi. Nè ti conforti e i tremebondi lumi Piegar non soffri al dubitoso evento? A che pugna in quei campi L'itata gioventude? 0 numi, o numi Pugnan per altra terra itali acciari. Oh misero colui che in guerra è spento, Non per li patrii lidi e per la pia Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui Per altra gente, e non può dir morendo Alma terra natia, La vita che mi desti ecco ti rendo. Oh venturose e care e benedette L'antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre E voi sempre onorate e gloriose, 0 tessaliche strette, Dove la Persia e il fato assai men forte Fu di poch'alme franche e generose! lo credo che le piante e i sassi e l'onda E le montagne vostre al passeggere Con indistinta voce Narrin siccome tutta quella sponda Coprir le invitte schiere De' corpi ch'alla Grecia eran devoti. Allor, vile e feroce, Serse per l'Ellesponto si fuggia, Fatto ludibrio agli ultimi nepoti; E sul colle d'Antela, ove morendo Si sottrasse da morte il santo stuolo, Simonide salia, Guardando l'etra e la marina e il suolo. E di lacrime sparso ambe le guance, E il petto ansante, e vacillante il piede, Toglicasi in man la lira: Beatissimi voi, Ch'offriste il petto alle nemiche lance Per amor di costei ch'al Sol vi diede; Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira Nell'armi e ne' perigli Qual tanto amor le giovanette menti, Qual nell'acerbo fato amor vi trasse? Come si lieta, o figli, L'ora estrema vi parve, onde ridenti Correste al passo lacrimoso e, duro? Parea ch'a danza e non a morte andasse Ciascun de' vostri, o a splendido convito: Ma v'attendea lo scuro Tartaro, e l'ond'a morta; Nè le spose vi foro o i figli accanto Quando su l'aspro lito Senza baci moriste e senza pianto. Ma non senza de' Persi orrida pena Ed immortale angoscia. Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e sì gli scava Con le zanne la schiena, Or questo fianco addenta or quella coscia; Tal fra le Perse torme infuriava L'ira de' greci petti e la virtute. Ve' cavalli supini e cavalieri; Vedi intralciare ai vinti La fuga i carri e le tende cadute, E correr fra' primieri Pallido e scapigliato esso tiranno; ve' come infusi e tintí Del barbarico sangue i greci eroi, Cagione ai Persi d'infinito affanno, A poco a poco vinti dalle piaghe, L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva: Beatissimi voi Mentre nel mondo si favelli o scriva. Prima divelte, in mar precipitando, Spente nell'imo strideran le stelle, Che la memoria e il vostro Amor trascorra o scemi. La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando Verran le madri ai parvoli le belle Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro, 0 benedetti, al suolo, E bacio questi sassi e queste zolle, Che fien lodate e chiare eternamente Dall'uno all'altro polo. Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle Fosse del sangue mio quest'alma terra. Che se il fato è diverso, e non consente Ch'io per la Grecia i mororibondi lumi Chiuda prostrato in guerra, Così la vereconda Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la, vostra duri.