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Respuesta  Mensaje 1 de 4 en el tema 
De: Marika  (Mensaje original) Enviado: 25/02/2011 08:10
Amedeo Modigliani


« Era un aristocratico. 
La sua opera intera ne è la testimonianza più possente.
 La grossolanità, la banalità, la volgarità ne sono escluse. » 
(Maurice de Vlaminck)





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Respuesta  Mensaje 2 de 4 en el tema 
De: Marika Enviado: 25/02/2011 08:12
Amedeo Modigliani nel 1918


Amedeo Clemente Modigliani (Livorno, 12 luglio 1884 – Parigi, 24 gennaio 1920) è stato un pittore e scultore italiano, noto con lo pseudonimo di Dedo (e Modì) e celebre per i suoi ritratti femminili caratterizzati da volti stilizzati e da colli affusolati. Morì all'età di trentacinque anni. è sepolto nel cimitero parigino Père Lachaise.


Biografia

Autoritratto (1919), Museo dell'Arte contemporanea di San Paolo.
































Nato in Toscana da una famiglia ebraica - quarto figlio del livornese Flaminio Modigliani e di sua moglie, francese di nascita, Eugénie Garsin - crebbe nella povertà, dopo che l'impresa di mezzadria in Sardegna del padre andò in bancarotta.


Fu anche afflitto da problemi di salute, dopo un attacco di febbre tifoide, avuto all'età di 14 anni, seguito dalla tubercolosi due anni dopo. La famiglia di Modigliani soffriva di una storia di depressioni, che colpì anche lui, e almeno alcuni dei suoi fratelli sembrarono aver ereditato la sua stessa vena testarda e indipendente. Nel 1898 il fratello maggiore ventiseienne, Giuseppe Emanuele, poi deputato del Partito Socialista Italiano venne condannato a sei mesi di carcere.


Di salute assai cagionevole (cadrà più volte malato di polmonite, che infine si convertirà in tubercolosi), Modì sin da piccolo mostrò una grande passione per il disegno, riempiendo pagine e pagine di schizzi e ritratti tra lo stupore dei parenti; e, durante un violento attacco della malattia, sarebbe riuscito a strappare alla madre la promessa di poter andare a lavorare nello studio di Guglielmo Micheli, uno dei pittori più in vista di Livorno, da cui apprenderà le prime nozioni pittoriche, e dove conoscerà, nel 1898, il grande Giovanni Fattori. Modigliani sarà così influenzato dal movimento dei Macchiaioli, in particolare dal Fattori stesso e da Silvestro Lega[1].


Respuesta  Mensaje 3 de 4 en el tema 
De: Marika Enviado: 25/02/2011 08:15

Nel 1902, Amedeo Modigliani si iscrisse alla Scuola libera di Nudo di Firenze, e un anno dopo si spostò a Venezia, dove frequentò l'Istituto per le Belle Arti di Venezia. è a Venezia che Amedeo provò per la prima volta l'hashish e, piuttosto che studiare, iniziò a passare il tempo frequentando i quartieri più infimi della città. Nel 1906, Modigliani si sposta a Parigi, che all'epoca era il punto focale dell'avant-garde, dove sarebbe diventato l'epitome dell'artista tragico, creando una leggenda postuma, famosa quasi quanto quella di Vincent Van Gogh. Sistematosi a Le Bateau-Lavoir, una comune per artisti squattrinati di Montmartre, fu ben presto occupato dalla pittura, inizialmente influenzato dal lavoro di Henri de Toulouse-Lautrec, finché Paul Cézanne cambiò le sue idee. Sicché Modigliani sviluppò un suo stile unico, l'originalità di un genio creativo, che era contemporaneo dei cubisti, ma non faceva parte di tale movimento. Modigliani è famoso per il suo lavoro rapido: si dice completasse un ritratto in una o due sedute. Una volta terminati, non ritoccava mai i suoi dipinti. Eppure, coloro che posarono per lui dissero che essere ritratti da Modigliani era come farsi spogliare l'anima.


Nel 1909, Modigliani fece ritorno alla sua città natale, Livorno, malaticcio e logorato dal suo stile di vita dissoluto. Non restò in Italia a lungo, e fece presto ritorno a Parigi, questa volta affittando uno studio a Montparnasse.


Egli si era inizialmente pensato come scultore più che come pittore, e iniziò a scolpire seriamente dopo che Paul Guillaume, un giovane e ambizioso mercante d'arte, si interessò al suo lavoro e lo introdusse a Constantin Brncuşi. Questi appaiono antichi, quasi egizi, piatti e che ricordano una maschera, con distintivi occhi a mandorla, bocche increspate, nasi storti, e colli allungati. Anche se una serie di sculture di Modigliani venne esposta al Salone d'autunno del 1912, a causa delle polveri generate dalla scultura, la sua tubercolosi peggiorava; abbandonò quindi la scultura prima della pietra e poi anche del legno, e si concentrò unicamente sulla pittura.


Tra i suoi lavori si ricordano il ritratto del suo amico e forte bevitore Chaim Soutine, e i ritratti di molti dei suoi contemporanei che frequentavano Montparnasse, come Moise Kisling, Pablo Picasso, Diego Rivera, Juan Gris, Max Jacob, Blaise Cendrars e Jean Cocteau. Suo più grande e fedele amico fu lo straordinario pittore Maurice Utrillo che visse gli stessi problemi di alcolismo che caratterizzarono la vita di Amedeo.

I nudi
Grande nudo disteso di Modigliani

Il 3 dicembre 1917 si tenne alla Gallerie Berthe Weill la prima personale di Modigliani. Il capo della polizia di Parigi rimase scandalizzato dai nudi di Modigliani in vetrina, e lo costrinse a chiudere la mostra a poche ore dalla sua apertura. Quello stesso anno, Modigliani ricevette una lettera da una ex-amante, Simone Thirioux, una ragazza franco-canadese, che lo informò di essere di ritorno in Canada e di aver dato alla luce un suo figlio. Non riconobbe mai il figlio come suo, ma dopo essersi mosso a Nizza con la Hébuterne, questa rimase incinta, e il 29 novembre 1918 diede alla luce una bambina, che venne anch'essa battezzata Jeanne. Della Thirioux e del figlio, non si sono avute più notizie.

Mentre era a Nizza, un soggiorno organizzato da Léopold Zborowski per Modigliani, Tsuguharu Foujita e altri artisti, allo scopo di cercare di vendere i loro lavori ai ricchi turisti, Modigliani riuscì a vendere pochi quadri e solo per pochi franchi ciascuno. Nonostante ciò, mentre era lì produsse la gran parte dei dipinti che sarebbero infine diventati i suoi più popolari e di valore.


Durante la sua vita vendette numerose delle sue opere, ma mai per grosse somme di denaro. I finanziamenti che riceveva svanivano rapidamente in droghe e alcool. Nel maggio del 1919 fece ritorno a Parigi dove, assieme a Jeanne e alla loro figlia, affittò un appartamento in Rue de la Grande Chaumière. Mentre vivevano lì, sia Jeanne che Modigliani dipinsero ritratti l'uno dell'altro e di tutti e due assieme. Anche se continuò a dipingere, per quel periodo il suo stile di vita era giunto a richiedere il conto, e la salute di Modigliani si stava deteriorando rapidamente.


I suoi "blackout" alcolici divennero sempre più frequenti. Dopo che i suoi amici non ne ebbero notizia per diversi giorni, l'inquilino del piano sotto al suo controllò l'abitazione e trovò Modigliani delirante nel letto, attorniato da numerose scatolette di sardine aperte e bottiglie vuote, mentre si aggrappava a Jeanne, che era quasi al nono mese di gravidanza. Venne convocato un dottore, ma c'era ormai poco da fare, poiché Modigliani soffriva di meningite tubercolotica.

Dopo il delirio

Tomba di Amedeo Modigliani


































Ritratto di Jeanne Hébuterne dipinto nel 1918.


































Ricoverato all' Hospital dela Charitè, in preda al delirio e circondato dagli amici più stretti e dalla straziata Jeanne, morì all'alba del 24 gennaio 1920. Alla morte di Modigliani ci fu un grande funerale, cui parteciparono tutti i membri della comunità artistica di Montmartre e Montparnasse.


Jeanne Hébuterne, che era stata portata alla casa dei suoi genitori, si gettò da una finestra al quinto piano, un giorno dopo la morte di Amedeo, uccidendo con sé la creatura che portava in grembo.


Modigliani venne sepolto nel cimitero di Père Lachaise nel primo pomeriggio del 27 gennaio.


Jeanne Hébuterne venne seppellita il giorno dopo al Cimitero di Bagneux, vicino a Parigi, e fu solo nel 1930 che la sua amareggiata famiglia (che l'aveva fatta seppellire furtivamente per evitare ulteriori "scandali") concesse che le sue spoglie venissero messe a riposare accanto a quelle di Modigliani.


La loro figlia di soli 20 mesi, Jeanne, venne adottata dalla sorella di Modigliani a Firenze.


Da adulta, avrebbe scritto una importante biografia di suo padre, intitolata: Modigliani senza leggenda. Jeanne morì nel 1984 a Parigi, proprio nei giorni in cui si discuteva sull'autenticità delle tre teste, cadendo da una scala in circostanze alquanto misteriose (qualcuno sospettò che fosse stata spinta, ma l'autopsia non fu fatta e le indagini furono sbrigative).


Oggi, Modigliani è considerato come uno dei più grandi artisti del XX secolo e le sue opere sono esposte nei più grandi musei del mondo.


Le sue sculture raramente cambiano di mano, e i pochi dipinti che vengono venduti dai proprietari possono raccogliere anche più di 15 milioni di Euro.


Il suo Nu couché (Sur le côté gauche) venne venduto nel novembre del 2003 per 26.887.500 dollari.

Il ritrovamento delle sculture di Modigliani

Una scultura di Modigliani del 1911

I tre falsi


In occasione di una mostra promossa nel 1984 dal Museo progressivo di arte moderna di Livorno (oggi scomparso, ma all'epoca ospitato nei locali di Villa Maria) per il centenario della nascita e dedicata alle sue sculture, su pressione dei fratelli Vera e Dario Durbè si decise di verificare se la leggenda popolare locale, secondo la quale l'artista avrebbe gettato nel Fosso Reale delle sue sculture fosse vera. Secondo la leggenda infatti nel 1909 Modigliani tornò temporaneamente a Livorno decidendo di scolpire alcune sculture che mostrerà poi presso il Caffè Bardi ad amici artisti, i quali lo avrebbero deriso consigliandogli di gettarle nel Fosso. Dragando il canale nei pressi della zona di piazza Cavour, dove il Caffè Bardi risiedeva, vennero ritrovate tre sculture rappresentanti tre teste, che molti critici tra cui Giulio Carlo Argan si affrettarono ad attribuire a Modigliani[2]. In questo episodio sembra inserirsi anche la morte in circostanze mai chiarite di Jeanne Modigliani, la quale era in procinto di partire per Livorno a causa del ritrovamento delle tre teste.






Dopo alcuni giorni un gruppo di tre studenti universitari livornesi (Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Ghelarducci) dichiararono che in realtà una delle sculture (la cosiddetta testa numero 2) era opera loro, realizzata per burla con banali attrezzi (tra cui dei trapani Black & Decker, che subito colse la palla al balzo per dedicare all'accaduto una pubblicità recitante la celebre frase "è facile essere bravi con Black e Decker") e gettata nottetempo nel Fosso Reale. Essi mostrarono anche una fotografia che li ritraeva con la scultura. I tre furono invitati a creare in diretta tv un nuovo falso, durante uno Speciale TG1, al fine di dimostrare coi fatti la loro capacità di realizzare una simile opera, in "così poco tempo" (come riteneva invece impossibile Vera Durbè, la quale fino alla morte si riterrà convinta, almeno apparentemente, dell'originalità delle tre teste).

Successivamente, anche a seguito dell'invito rivolto in televisione da Federico Zeri, anche l'autore delle altre due teste uscì dall'anonimato; si trattava di Angelo Froglia [3] (Livorno 1955-1997), un pittore livornese lavoratore portuale per necessità, il quale dichiarò che la sua non voleva essere una burla, ma che si trattava di un'"operazione estetico-artistica" per verificare "fino a che punto la gente, i critici, i mass-media creano dei miti". Ad avvalorare la posizione del Froglia vi era un suo filmato durante il quale scolpiva le due teste.

Froglia mentre scolpiva le pietre realizzò anche il film Peitho e Apate... della persuasione e dell'inganno (Cerchez Modi), che suscitò l'interesse della critica al Torino Film Festival del 1984. Il Froglia successivamente dichiarerà di esser stato aiutato, nel gettare le teste nei fossi, da altre due persone: un pescatore con la barca e un dipendente del comune che fece scivolare in acqua le pietre.[4]

Le ultime tre sculture ritrovate


Sette anni dopo, nel 1991, un certo Piero Carboni, carrozziere di Livorno, asserì di possedere tre autentiche sculture di Modigliani. Egli le aveva custodite nella propria officina senza darvi importanza, dicendo di averle recuperate dalla casa dello zio Roberto Simoncini durante la Seconda guerra mondiale. La ricostruzione questa volta sembra possedere elementi di verità in quanto Modigliani nel 1909 aveva affittato una casa nelle vicinanze della casa dello zio del Carboni detto "il Solicchio" e rappresentato probabilmente da Modigliani in un suo dipinto [5]. Inoltre amici del "Solicchio" ricordano quelle sculture viste a casa e lasciate da un pittore partito per Parigi, che sarebbe diventato successivamente famoso.


Le tre sculture rappresentano, anche questa volta, tre teste e sono già state battezzate: "La bellezza", "La saggezza" e "La scheggiata" dal critico d'arte Carlo Pepi al quale Piero Carboni le mostrò per primo, fiducioso della competenza dimostrata da quest'ultimo in occasione dei tre falsi del 1984. In quella circostanza infatti, Carlo Pepi era stato fra i primi ad accorgersi della contraffazione e non aveva esitato a definire "porcherie" le tre sculture ripescate nel Fosso Reale.


Respuesta  Mensaje 4 de 4 en el tema 
De: Nando1 Enviado: 25/02/2011 11:05
Amedeo Modigliani <em><font color=#da8e01>e</font></em> Jeanne Hèbuterne:<em><font color=#da8e01>un</font></em> amore tra storia <em><font color=#da8e01>e</font></em> leggenda

 

Sapete che cos’è l’amore, quello vero? Avete mai amato così profondamente da condannare voi stessi all’inferno per l’eternità? Io l’ho fatto…”

Con queste domande, pronunciate da una Jeanne visibilmente logorata dal dolore, comincia il film I colori dell’anima, uscito nelle sale italiane il 13 maggio 2005, diretto da Mick Davis e incentrato sulla figura del pittore Amedeo Modigliani.

La pellicola è solo l’ultima in ordine di tempo; già diversi registi si erano cimentati in film aventi come protagonista il discusso Modì.

Ricca è anche la bibliografia che ruota intorno al pittore livornese. Assolutamente da segnalare sono  Modigliani, l’ultimo romantico di Corrado Augias e Modigliani, mio padre di Jeanne Modigliani.

A incuriosire e interessare è il mito incarnato da Modigliani, tipico artista romantico geniale e trasgressivo nella cui vita storia e leggenda si fondono al punto da risultare inestricabili. Perfino le testimonianze di coloro che lo conobbero risultano contraddittorie. Alcuni lo descrivono come gentile, beneducato e tranquillo, altri invece come chiassoso, ubriacone e rissoso.

Poche le certezze. Sappiamo che fin da giovane ebbe una salute cagionevole e che la famiglia soffriva di una storia di depressione che colpì anche lui e alcuni dei suoi fratelli, che condivisero la sua stessa natura testarda e indipendente. Nel 1906 si trasferì a Parigi.

Proprio nella capitale francese cominciò a condurre una vita dissoluta e sregolata fatta di sbronze, droga, risse e numerose amanti. Nel frattempo, però, coltivava il suo amore per la pittura e per la scultura. Tutti coloro che posarono per lui dissero che essere ritratti da Modigliani era come farsi spogliare l’anima.

Un incontro importante che segnerà la sua vita e la sua produzione per sempre è quello con la giovane Jeanne Hèbuterne.

Lei era bella, aveva occhi azzurri e lunghi capelli castani. Era riservata, dolce e un po’ malinconica. Affascinò subito il pittore, oltre che per la bellezza e il carattere docile anche perché, giovane studentessa d’arte, promettente allieva dell’Accadèmie Colarossi e spesso da lui ritratta, era una pittrice sensibilissima e di eccezionale talento. Lui se ne innamorò perdutamente, e lei di lui.

Unica la storia di Jeanne e Modì, unico il loro amore. Travolgente, profondo e quasi metafisico.

Probabilmente un amore tra anime affini, un legame raro che molti di noi potranno solo leggere o vivere tramite le scene di un film o le pagine di un libro. Jeanne conosce l’anima di Amedeo, Amedeo quella di Jeanne.

L’anima, conoscono l’anima.

E quando due anime si fondono in una è impossibile pensare che l’una riesca a vivere senza l’altra. Manca il respiro, la forza e la voglia, manca la magia e la poesia…manca tutto ciò che è essenziale.

Così, quando Modigliani si ammala e muore, Jeanne non ha molte possibilità.

La figlia di Jeanne e Modì, nel suo libro, scrive di quanto le hanno raccontato a proposito della madre:

Paulette Jourdain, che era allora una bambina, si ricorda che la notte in cui Modigliani morì all’ospedale, Zborowski non volle che Jeanne dormisse nello studio della Grande Chaumière. Paulette l’accompagnò in un piccolo albergo della rue de Seme. L’indomani Jeanne andò all’ospedale per rivedere Amedeo. Il padre, silenzioso e ostile, l’accompagnò. Rimase sulla soglia, racconta il dottor Barrieu, mentre Jeanne si avvicinava al cadavere. “Non lo baciò” scrive Stanislas Fumet, amico d’infanzia, con la moglie Aniuta, di Jeanne “ma lo guardò a lungo, senza dir nulla, come se i suoi occhi si appagassero della sua disgrazia. Si ritirò camminando a ritroso, fino alla porta. Conservava il ricordo del viso del morto e si sforzava di non vedere nient’altro”. L’indomani, all’alba, Jeanne Hébuterne si gettò dal quinto piano. “Sembrava un angiolo” disse Foujita, che non rifugge dalla cattiva letteratura. Chantal Quenneville scrive: “Jeannette Hébuterne si era rifugiata dai suoi genitori, cattolici offesi della sua unione con l’ebreo Modigliani, e non diceva una parola. Erano trascorsi due o tre giorni quando domandai ad Andre Delhay: ‘E Jeannette?’. Mi guardò male. Si era gettata, la mattina, dalla finestra del quinto piano della casa dei suoi genitori.

Jeanne Hèbuterne venne seppellita il giorno dopo al Cimitero di Bagneux, vicino a Parigi, e fu solo nel 1930 che la sua amareggiata famiglia (che l’aveva fatta seppellire furtivamente per evitare ulteriori scandali) concesse che le sue spoglie venissero messe a riposare accanto a quelle di Modigliani.

Jeanne quindi si suicida, ponendo fine alla sua vita e a quella della creatura che porta in grembo. Non resiste, non riesce ad accettare di separarsi da quella che era diventata una parte fondamentale e insostituibile del suo essere.

Ogni volta che ripenso a questa storia non posso evitare che il mio stomaco si stringa, che le lacrime si affaccino fino ad appannarmi la vista e che il cuore mi arrivi fino in gola.

Amo e rispetto profondamente la vita e la considero un dono, ma sono convinta che ognuno abbia diritto alla piena libertà di azione, di scegliere se vivere o morire, anche perché nessuno di noi ha la possibilità di vivere la vita di un altro e di sentirne il peso o il dolore. In simili situazioni nessuno ha gli strumenti per giudicare.

Mi piace immaginare Jeanne e Modì felici insieme, seduti in aperta campagna. Lei gioca sorridente con le figlie mentre Amedeo guarda la scena con tenerezza e gioia, poi sposta lo sguardo e imprime sulla tela il magnifico ritratto della sua vita.



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