Si spegne la speranza dei genitori
"Un orrore che li ha distrutti"
Dopo la tortura lo strazio. Il corpo di Yara in quel campo d'inverno ha ribaltato tutto. L’anelito a una certezza pur che sia, anche la peggiore, era una lenitiva illusione. Per questa famiglia, che con delicata fermezza ha vissuto speranza disperata e limpida, ora la tortura del «possibile» diventa il supplizio del «chi» e «perché».
Fabio e Maura Gambirasio non hanno dovuto ascoltare le parole - per quanto misurate - di chi recava loro un flash. E’ bastata la maschera sofferente di chi diceva di un corpo e non lasciava vie di fuga del pensiero. C’era ancora l’apparecchio per i denti - che resterà sempre nell’immaginario dell’assurdo di questa morte - e c’erano gli abiti, c’era la certezza del ritrovamento di un corpo che quel che ancora può raccontare lo narrerà ai medici.
Sembravano perfino eccessivi i lampeggianti azzurri ieri sera in via Rampinelli. Carabinieri, Polizia, Protezione civile. Un po’ più in là, per tutt’altra storia, quelli di un’ambulanza riflessi nelle vetrine, in una moltiplicazione tragica. Nella via si proteggeva il «dopo». La madre abbandonata al nulla combattuto per tre mesi, il padre ad ascoltare laica amicizia e religiosa partecipazione del sindaco Diego Locatelli e del parroco don Corinno Scotti.
Sono venuti, sindaco e prete, intorno alle 19. Locatelli li aveva accompagnati tra Natale e Capodanno nei passi più difficili e testardi della fiducia, quando - mano nella mano - si presentarono a telecamere, microfoni e taccuini con questo esordio: «Scusate. Non siamo abituati». Come fossero loro di impaccio a noi e non noi a loro. Quell’improvvisa conferenza stampa che tale non era - piuttosto preghiera di fede e semplice umanità ai microfoni dei media - portò in tutti una fiducia: non possono dirlo, ma c’è un contatto, una pista. Yara è viva, questo fu per tutti quella giornata.
Yara è morta. Morta e ritrovata, ecco il cuore di ieri pomeriggio. Yara che va in palestra, Yara e un adulto che si invaghisce senza essere mostro, Yara stupefatta da un comportamento d’improvviso diverso, Yara che minaccia di dirlo ai suoi e una persona conosciuta da lei e da tanti che scopre lo stravolgimento della propria vita, non di quella di lei. E crea il silenzio. Questa ordinata collana di supposizioni, vive fin dal primogiorno ma senza conferme, l’aveva respirata incredula anche la famiglia. Come poteva essere possibile?
Pochissimi giorni fa, nell’angoscia di una scadenza da calendario ma anche di cuore - i tre mesi esatti dalla scomparsa - Maura Gambirasio aveva ripetuto alla Stampa la sua speranza, quella della famiglia, e la fiducia negli investigatori che cercavano la figlia. Poi era tornata al silenzio. Quello che le indagini richiedono. Ieri il silenzio si è fatto materia.
«Non vogliamo sapere». Restituitela e non vi chiederemonulla, non vi indicheremo a dito come mai abbiamo fatto con chiunque nella nostra esistenza. Questo era il messaggio a fine anno. Per una ragazzina viva e provata. L’illusione è dissolta. Adesso c’è un corpo del quale compiere il riconoscimento prima dell’autopsia. In questa casa che stiamo a fissare intimiditi al di qua dei funghi celesti delle auto di servizio c’è l’incredulità che si possa aver compiuto quel gesto. C’è dolore e non c’è vendetta, non è ancora passata la sincerità dell’appello: «Non vogliamo sapere». Ma come si farà domani a non voler sapere «chi» e «perché»? E ora che la speranza è morta con lei i suoi genitorinon possono fare a meno di pretendere una risposta: «Che cosa le è successoe perché».
Don Corinno porta un senso più alto in cui tutto si dovrà comprendere. Ma, allibito eppure tenace, ieri a fine messa del pomeriggio si è rivolto ai fedeli con semplicità: «Devo darvi una brutta notizia. E’ stato ritrovato un corpo che forse è quello di Yara».
Eravamo rimasti a parlare giovedì, sfogliava il quaderno che un tempo era di messaggi e poi è divenuto di riflessioni via via più filosofiche e religiose. E senza arrendersi ammetteva: «Non hanno tracce da seguire». Adesso ci sono. Adesso, senza cinismo e senza fantasie da fiction, sarà Yara a raccontare. Un amico della famiglia, ieri sera, al di qua del giusto sbarramento di forze dell’ordine, incapace di qualificarsi e andare oltre, domandava: «Davvero si capiranno molte cose?».
Qualche giorno fa Maura Gambirasio parlava guardando avanti. Non esisteva ancora questa ipotesi. Ascoltando la voce dalla ritrosia temperata dal garbo e dall’educazione si avvertiva la stessa speranza, forse più flebile, la stessa che faceva fiduciosi gli uomini impegnati nelle battute per campi e boschi, cantieri e casolari: «Se non l’abbiamo trovata può essere viva».
L’hanno trovata. Dove già si era cercato. Portata dalle acque o portata in un secondo tempo? E’ proprio Yara ritrovata - almeno per una sepoltura, un ricongiungimento che mai darà pace - a riaccendere interrogativi, a sfiorare quelli che si sono impegnati. E’ Yara Gambirasio, scomparsa a tredici anni mentre usciva dalla palestra, a evocare - nel silenzio e in questa notte d’orrore della sua famiglia, un momento di svolta in una vita che s’è divorata la sua e a imporre le indagini ultime.