E’ estate, una calda estate del 1964 quando per la prima volta a Cavezze si esibisce Lucio Battisti sul celebre palco del Dancing K559. Lucio è il chitarrista riccioluto dei Campioni giovane band agli esordi che sorprende i presenti per lo stile e la competenza tecnica. Sopra tutti c’è lui, il ventunenne di Poggio Bustone.
Il 14 febbraio 1965 viene notato da Christine Leroux, giovane produttrice francese, che lo inizierà nella discografia e sarà l’artefice dell’incontro con Mogol. Da quel momento ha inizio una carriera fulminante.
Una carriera ricca di contraddizioni e di opposti che si attraggono. Cantore di emozioni, ermetismo, mattatore di musiche easy listening e sovvertitore della forma canzone italiana.
Negli anni ’70 viene discriminato da certa critica per non trattare temi sociali-politici e lo bollano fascista (successe anche a De Andrè e De Gregori) come se la politica fosse una discriminante critica dell’arte. Un percorso artistico quello di Battisti che toglie il fiato soprattutto per la sua evoluzione dal 1974 in poi, anno di Anima Latina disco seminale per il pop italiano che mescola psichedelia, prog e ritmi latini.
All’inizio degli anni ’80 arriva la rottura del sodalizio con Mogol e l’avvicinamento alle sonorità new wave ed elettroniche. In questo decennio troviamo il Battisti più sperimentale con la produzione dei cosidetti “dischi bianchi”: E Già, Don Giovanni, L’Apparenza, La Sposa Occidentale, Cosa Succederà Alla Ragazza e Hegel.
Quest’ultima è una discografia meno conosciuta al grande pubblico, dove i ritornelli scompaiono, ma rappresenta l’apice della produzione artistica leggera italiana.
«Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale. In breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali : devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte»