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De: Futuro2012 (Mensaje original) |
Enviado: 28/03/2013 06:23 |
GIOVEDì SANTO CENA DEL SIGNORE
Cristo sacerdote istituisce il sacramento dell’amore
L’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della «nuova ed eterna alleanza» è certamente l’aspetto più evidente della celebrazione odierna che del resto giustifica la sua solennità proprio con un richiamo «storico» e figurativo dell’avvenimento compiuto nell’ultima cena. Ma è lo stesso messale romano che invita a meditare su altri due aspetti dei mistero di questo giorno: l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il servizio fraterno della carità. Sacerdozio e carità sono, in effetti, strettamente collegati con il sacramento dell’Eucaristia, in quanto creano la comunione fraterna e indicano nel dono di sé e nei servizio il cammino della Chiesa.
Gesù lava i piedi ai suoi: è un gesto di amore E’ significativo il fatto che Giovanni, nel riferire le ultime ore di Gesù con i suoi discepoli e nel raccogliere nei «discorsi dell’ultima cena» i temi fondamentali del suo vangelo, non riferisca i gesti rituali sui pane e sul vino come gli altri evangelisti: eppure era questo un dato antichissimo della tradizione, riportato in una forma ben definita dal primo documento che ne parla, la lettera di Paolo ai Corinzi (prima lettura). Giovanni richiama l’attenzione sul gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi e lascia, come suo testamento di parola e di esempio, di fare altrettanto tra i fratelli. Non comanda di ripetere un rito, ma di fare come lui, cioè di rifare in ogni tempo e in ogni comunità gesti di servizio vicendevole — non standardizzati, ma sgorgati dall’inventiva di chi ama — attraverso i quali sia reso presente l’amore di Cristo per i suoi («li amò sino alla fine»). Ogni gesto di amore diventa così «sacramento», cioè visibilizzazione, incarnazione, linguaggio simbolico dell’unica realtà: l’amore del Padre in Cristo, l’amore in Cristo dei credenti.
Gesù dà se stesso in cibo: è il sacramento dell’amore Il Giovedì santo, con il suo richiamo «anniversario» all’evento dell’ultima cena, pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo: Gesù è l’Agnello pasquale che porta a compimento il progetto di liberazione iniziato nel primo esodo (cf prima lettura); il suo donarsi nella morte è l’inizio di una presenza nuova e permanente; «il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (prefazio della ss. Eucaristia I). Partecipare consapevolmente all’Eucaristia, memoriale dei Sacrificio di Gesù, implica avere per il corpo ecclesiale di Cristo quel rispetto che si porta al suo corpo eucaristico. La presenza reale del Signore morto e risuscitato nel pane e nel vino su cui si pronuncia l’azione di grazie (cf seconda lettura), si estende, sia pure in altro modo, alla persona dei fratelli, specialmente dei più poveri (cf tutto il contesto della 1 Cor 11). «In questo grande mistero tu (o Padre) nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (prefazio della ss. Eucaristia II). Chi dunque fa discriminazioni, chi disprezza gli altri, chi mantiene le divisioni nella comunità «non riconosce il corpo del Signore». La sua non è più la Cena dei Signore, ma un rito vuoto che segna la sua condanna.
Il sacerdozio nasce dall’Eucaristia: è il dono per l’unità All’interno della comunità, i rapporti reciproci sono valutati in chiave di servizio e non di potere, e trovano la loro più perfetta espressione nel momento dell’azione eucaristica. Chi «presiede» la comunità e ne è responsabile, presiede anche l’Eucaristia: la raccoglie nella preghiera comune, come la unisce nelle diverse attività della parola e dell’aiuto reciproco. Il Concilio Vaticano II afferma: «I Presbiteri… ad immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti dei Nuovo Testamento… Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l’ufficio di Cristo Pastore e Capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, e per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre… » (LG 28). «Il senso ultimo del sacerdozio di Cristo e di ogni sacerdozio che da lui trae origine, è quello di essere modello per tutti coloro che offrendosi in lui, con lui, per lui in sacrificio a Dio gradito, mettono la loro vita a servizio dei fratelli…. Cristo e il suo mistero vive e perdura nella Chiesa; la Chiesa non fa altro che rendere attuale questo mistero di salvezza mediante la Parola, il Sacrificio, i Sacramenti, mentre riceve in sé per la forza dello Spirito Santo, la vita del suo Signore da testimoniare nel mondo… Da questa sacramentalità della Chiesa… scaturisce il significato essenziale della consacrazione-missione di quanti sono chiamati a predicare il Vangelo, a presiedere le azioni di culto e a svolgere un ruolo di guida del popolo di Dio» (Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Premesse, p. 12).
L’agnello immolato ci strappò dalla morte
Dall’«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen ». (Gal 1,5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l’umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell’uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida. Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall’Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue. Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l’iniquità e l’ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l’Egitto. Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza. Egli è colui che prese su di se le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè e nell’agnello fu sgozzato. Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato. Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l’agnello che non apre bocca, egli è l’agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all’uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione. Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l’umanità dal profondo del sepolcro.
Messa «in Cena Domini»
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De: Nando1 |
Enviado: 28/03/2013 08:29 |
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De: Nando1 |
Enviado: 28/03/2013 09:23 |
Giovedì Santo
Insieme alla Messa del Crisma, che viene celebrata al mattino, la Messa nella Cena del Signore (”in Cena Domini“) è l’altra grande liturgia propria del Giovedì Santo.
In questo giorno si ricorda l’istituzione dell’Eucaristia durante l’Ultima Cena e del Sacerdozio Ministeriale. Durante la Messa in Cena Domini si ripete l’antico rito della “lavanda dei piedi“, che sottolinea l’importanza del “servizio” sacerdotale e apostolico.
Così come Gesù lavò i piedi ai suoi discepoli, così ogni cristiano ed in particolare i consacrati sono chiamati a “lavare i piedi” a chi sta loro accanto.
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Giovedì santo, papa Francesco lava i piedi a 12 giovani detenuti
Tra loro due ragazze, una delle quali musulmana. Bergoglio: «Chi sta in alto sia a servizio degli altri».
Una folla in festa ha accolto la visita di papa Francesco all'Istituto penale per minori di Casal del Marmo, nel tardo pomeriggio del 28 marzo.
Il pontefice, durante la messa in 'coena domini', ha lavato i piedi a 12 ragazzi ospiti della casa circondariale, dando così il via ai riti della Settimana santa.
DUE RAGAZZE TRA GLI APOSTOLI. Tra i fortunati, chiamati a rappresentare idealmente gli apostoli, ci sono state anche due ragazze: una italiana cattolica e l'altra serba, nata a Roma, di fede islamica. è la prima volta che accade nei riti papali. Un vero e proprio strappo alla regola.
Una volta «a Buenos Aires il cardinale Jorge Mario Bergoglio ammise al rito anche delle ragazze. E noi oggi abbiamo proposto una presenza femminile. In Vaticano, dopo qualche resistenza, hanno accettato», ha detto padre Gaetano Greco, cappellano del carcere.
«MI AIUTANO A ESSERE UMILE». «Sono felice di stare qui con voi. Avanti e non lasciatevi rubare la speranza. Capito? Sempre con la speranza avanti. Grazie», ha detto Francesco ai giovani detenuti durante la visita, in cui ha distribuito colombe e uova di cioccolato.
Bergoglio ha poi sottolineato come «questi ragazzi mi aiuteranno di più a essere umile, a essere servitore, come dev'essere un vescovo. Quando mi è stato chiesto dove volevo andare in visita, la scelta di Casal del Marmo mi è venuta dal cuore, le cose del cuore non hanno spiegazione».
«CHI STA IN ALTO SIA AL SERVIZIO DEGLI ALTRI». «Chi è più in alto deve essere al servizio degli altri», ha detto il pontefice ai detenuti, «questa è la carezza di Gesù». Un gesto, quello di Francesco, che ha commosso profondamente i ragazzi: alcuni hanno pianto, uno era talmente scosso dall'emozione che è stato necessario sostituirlo. La celebrazione è stata preceduta dalla messa crismale del mattino con i 1.600 sacerdoti e prelati romani. A loro, prima di benedire gli oli, Bergoglio ha detto: «Andare nelle periferie, siate pastori con addosso l'odore delle vostre pecore».
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De: Ver@ |
Enviado: 29/03/2013 08:10 |
LA LAVANDA DEI PIEDI
Gesù che mette un grembiule e lava i piedi dei discepoli. E’
un’espressione che ha la funzione di esprimere il significato del dono della vita. Con questo gesto mostra loro che l’amore si esprime nel servizio, nel dare la vita all’altro come Lui ha fatto.
Al tempo di Gesù la lavanda dei piedi era un gesto che esprimeva ospitalità e accoglienza nei confronti degli ospiti. In via ordinaria era svolto da uno schiavo oppure dalla moglie nei confronti della moglie e anche dalle figlie verso il loro padre. Inoltre era consuetudine che tale rito della lavanda dei piedi avvenisse sempre prima di mettersi a mensa e non durante. Tale inciso dell’azione di Gesù intende sottolineare la singolarità del suo gesto.
E così Gesù si mette a lavare i piedi ai suoi discepoli. Il reiterato uso del grembiule con cui Gesù si è cinto sottolinea che l’atteggiamento del servizio è un attributo permanente della persona di Gesù. Difatti quando avrà terminato la lavanda Gesù non si toglie il panno che funge da grembiule. Tale particolare intende sottolineare che il servizio-amore non termina con la sua morte. La minuziosità di tali dettagli mostra l’intento dell’evangelista a voler sottolineare la singolarità e l’importanza del gesto di Gesù. Lavando i piedi dei suoi discepoli Gesù intende mostrare ad essi il suo amore, che è un tutt’uno con quello del Padre (10,30.38).
É davvero sconvolgente questa immagine che Gesù ci rivela di Dio: non è un sovrano che risiede esclusivamente nel cielo, ma si presenta come servo dell’umanità per innalzarla a livello divino. Da questo servizio divino scaturisce per la comunità dei credenti quella libertà che nasce dall’amore e che rende tutti i suoi membri «signori» (liberi) perché servi. É come dire che solo la libertà crea vero amore. D’ora in poi il servizio che i credenti renderanno all’uomo avrà come scopo quello di instaurare rapporti tra gli uomini in cui l’uguaglianza e la libertà siano una conseguenza della pratica del servizio reciproco. Gesù con il suo gesto intende mostrare che qualsiasi dominio o tentativo di sopravvento sull’uomo è contrario all’atteggiamento di Dio che, invece, serve l’uomo per elevarlo a sé. Inoltre non ha più senso le pretese di superiorità di un uomo sull’altro, perché la comunità fondata da Gesù non ha caratteristiche piramidali, ma dimensioni orizzontali, in cui ciascuno è a servizio degli altri, sull’esempio di Dio e di Gesù.
In sintesi, il gesto che Gesù compie esprime i seguenti valori: l’amore verso i fratelli chiede di tradursi in accoglienza fraterna, ospitalità, cioè in servizio permanente.
a) Resistenza di Pietro:
La reazione di Pietro al gesto di Gesù si esprime in atteggiamenti di stupore e protesta. Anche nel modo di rapportarsi a Gesù avviene un cambiamento: Pietro lo chiama «Signore» (13,6). Tale titolo riconosce a Gesù un livello di superiorità che stride con il «lavare» i piedi, un’azione che compete, invece, a un soggetto inferiore. La protesta è energicamente espressa dalle parole: «tu lavi i piedi a me?». Agli occhi di Pietro questo umiliante gesto della lavanda dei piedi è sembrato come un inversione dei valori che regolano le relazioni tra Gesù e gli uomini: il primo è il Messia, Pietro è un suddito. Pietro disapprova l’uguaglianza che Gesù vuole creare tra gli uomini. A tale incomprensione Gesù risponde invitando Pietro ad accogliere il senso del lavargli i piedi come una testimonianza del suo affetto verso di lui. Più precisamente gli vuole offrire una prova concreta di come lui e il Padre lo ama. Se Pietro non è disposto a condividere la dinamica dell’amore che si manifesta nel servizio reciproco non può condividere l’amicizia con Gesù e rischia, davvero, di autoescludersi. Pietro e i discepoli non hanno più bisogno del rito giudaico della purificazione ma di lasciarsi lavare i piedi da Gesù; ovvero di lasciarsi amare da lui, conferendo loro dignità e libertà.
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