LA TASCA RIGIRATA DEL TEMPO
Stanotte, potrei giurarlo, t’ho incontrata.
Ero bella?
Eri bella. Eri sogno. Eri notte. Eri ovunque.
E cosa facevamo?
Prima o dopo?
Prima o dopo cosa?
Prima o dopo aver fatto tutti quegli strani silenzi?
Prima.
Prima si pigliava per il culo gli incubi, leggendo poesie da un libro blu. Tu me le indicavi col dito, io te le leggevo dalle mani.
Ti piaceva?
Mi piaceva come piegavi la testa per guardare meglio.
Lo sto facendo anche adesso.
E perché non ti vedo?
Non lo so. Ma io ci sono.
Forse dovrei chiudere gli occhi.
Forse.
Mi vedi ora ?
Non so spiegarti. Ma è come quando ti trovi in una stanza buia, buia che ogni tanto ti inventi un piccolo sorso di luce per non affogare. Come in una stanza dipinta di buio, hai due occhi che non puoi vedere ma sai, lo sai più di te, che in quell’istante sono aperti. E sono lì che ti guardano.
Dopo che facevamo?
Dopo, avevo freddo. E tu dicevi una cosa buffa tipo: sai che il rovescio della paura è il bacio? E io rispondevo: allora rovesciami di baci. E i minuti passavano in fretta che si dice i sogni siano una tasca rigirata del tempo e noi ci siamo infilati in quella tasca. E ti stringevo, Dio quanto ti stringevo. Poi ballavamo io avevo la bocca vicino al tuo collo con una mano reggevo il libro blu e ti leggevo per la quarta volta la tua poesia preferita. E tu mi dicevi: mi sa che il sogno sta per finire. Ti si vede attraverso. E l’ultima cosa che ho visto era l’infinito dei tuoi occhi.
Sono qui.
Ho gli occhi chiusi. Ma ancora non ti vedo.
Esco. Vado a cercarti.
Vengo con te?
Sono uno che si perde spesso.
Lo so. Non farmi aspettare.
Andrew Faber
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