Il cardinale Ratzinger su San Giovanni Nepomuceno Neumann
Un’omelia del 1978
Nel primo anniversario della canonizzazione del vescovo redentorista San Giovanni Nepomuceno Neumann, l’allora Cardinale Arcivescovo di Monaco-Frisinga, Joseph Ratzinger, pronunciò un’omelia sul nostro Santo nella chiesa di San Michele a Monaco il 22 giugno 1978. L’omelia fu pubblicata in spagnolo in J. RATZINGER, Dalla mano di Cristo. Omelie sulla Vergine ed alcuni santi (EUNSA) Pamplona 2005, 3ª ed., 13-19. L’edizione spagnola la si può trovare sul sito dei redentoristi spagnoli. Da essa è stata fatta la presente traduzione da P. Salvatore Brugnano.
Nonostante siano passati 23 anni, l’omelia ha una freschezza ed attualità impressionanti: il tema dell’emergenza educativa, il problema della riconciliazione tra i popoli e la persecuzione contro i cristiani.
Il santo vescovo Giovanni Nepomuceno Neumann, nel cui onore stiamo oggi riuniti, nacque l’anno 1811 in Prachatitz, Boemia, come figlio di un calzolaio che era immigrato dal Bassa Franconia. Morì nel 1860, senza avere compiuto ancora 49 anni, come vescovo di Filadelfia, negli Stati Uniti. Appartiene perciò a tre Paesi che egli unì in una vita dedicata al servizio della parola di Dio: nordamericani, tedeschi e cechi. A riguardo noi possiamo ricordare qui in Monaco il giorno del 1855 quando, al suo ritorno da Roma con destinazione il Nord America, partecipò ad una Messa Pontificale che si officiò nella nostra Cattedrale per intercedere per la salute del malato re Ludovico I, e qui ebbe occasione di ringraziare la liberalità di quel monarca verso le missioni.
Chi era San Giovanni Neumann?
Ma chi era quell’uomo che ci convoca, dal decorso della sua vita all’unità di fede e di Chiesa sotto l’unico Signore? In un passo della Scrittura, che decise la sua vocazione e che doveva accompagnarlo come fondo di tutta la sua esistenza posteriore, sta la chiave della sua personalità. Mentre studiava il secondo corso di Teologia nel Seminario di Budweis, un giorno il professore del Nuovo Testamento lodava la figura del grande Apostolo Paolo, poggiandosi sul capitolo 11 della seconda Lettera ai Corinzi, un capitolo nel quale Paolo fa una descrizione delle sue fatiche e tribolazioni apostoliche: naufragi, flagellazioni, prigionie, viaggi innumerevoli con tutti i pericoli e le penurie dei viaggi di allora!-, ed oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. (2Cor 11,28). Questa frase e l’intera descrizione si inchioderanno nel cuore del giovane studente.
Comprese la grandezza del ministero apostolico, la grandezza di una vita che, donata con gioia e senza paure per il servizio degli uomini, lungi dall’impoverirsi si arricchisce, e con la quale anche il mondo si arricchisce e si trasforma ricevendo una speranza nuova. Comprese che quella che gli si presentava non era solo una relazione di inclemenze del passato, e neanche solo una biografia sommersa nella sofferenza, ma anche un campo aperto che tutti possiamo percorrere oggi; un territorio nel quale può svolgersi la nostra esistenza, dove può alloggiarsi la nostra vita, riempirsi e traboccare di contenuto. E sentendosi invitato da quelle parole, decise di corrispondervi. Lasciò che l’avvolgessero, che penetrassero nella sua vita per dopo donarle agli altri. Perciò esse sono per noi come un ritratto della sua esistenza. Esse ci dicono quello che fu: perché egli ne fece sua carne e sangue; diede loro vita reale interpretandole con i fatti, non con le semplici teorie.
Due idee dal testo paolino della seconda lettera ai Corinzi
Osserviamo soltanto due idee del testo riferito di San Paolo e comprenderemo quanto bene il nostro santo seppe rifletterle nella sua vita.
In primo luogo, la menzione del costante camminare tra penurie e pericoli: perché è certo che la vita del nostro santo fu molto marcata dall’idea della strada, con tutte le sue difficoltà, certamente, ma anche con tutto quello che ha di illusione e di grandezza. La storia cominciò quando, finito il suo liceo e mosso dal desiderio di farsi sacerdote, soffrì la delusione di non essere ammesso nel seminario: sia perché il gran numero di sacerdoti e candidati rendeva impossibili nuove ammissioni, sia perché quella piccola diocesi non era in condizioni di formare tutti i numerosi aspiranti che volevano servire Dio nel sacerdozio. Si sentì come perso nel deserto, con la speranza seppellita nelle sabbie.
Tuttavia, inaspettatamente, gli fu comunicato che era stato ammesso; ma alla fine dei suoi studi l’aspettava la peggiore contrarietà: non gli permettevano di essere ordinato. Di nuovo, la strada si tagliava, ed il vuoto sembrava volere aprirsi sotto i suoi piedi. Con ciò andava in il suo sogno di trasferirsi in Nord America, di cui conosceva l’urgente necessità di sacerdoti. Era senza denaro, e le difficoltà erano aumentate. Infine, quasi sprovvisto di risorse e di aspettative, decise di mettersi in moto, e lo fece nel silenzio della notte per risparmiare ai suoi genitori il dolore dell’addio. La sua strada continuò nel buio. Quando arrivò a Parigi, la carrozza per la quale aveva pagato, dovè partire senza lui, perché il vescovo nordamericano in cui sperava non comparve. A piedi, proseguì la sua strada verso la costa, ma non senza sapere, nel tragitto, che il vescovo di Filadelfia in cui aveva posto le sue speranze, non aveva bisogno di sacerdoti tedeschi.
A dispetto di tutto, arriverà, sarà ordinato sacerdote, e gli sarà affidata un’estesa parrocchia nella regione delle cascate del Niágara che gli imponeva di muoversi continuamente fino all’esaurimento fisico (quando ritornerà da una visita di carattere ufficiale, morirà per le strade di Filadelfia).
La strada veniva ad essere così il simbolo della sua vita, una vita di costante andare e venire per portare agli uomini la parola di Dio. Facendo fronte a tutti gli affossamenti e alle penalità della rotta, egli fece avanzare la voce di Dio, e restò fedele nel seguire quella Via che è Cristo Gesù. Ed avendo camminato sui passi di Colui che è la Via, senza mai smettere, si trasformò a sua volta in un sentiero per gli uomini, una via di unione e di mutua intesa. Nella sua parrocchia dei tedeschi discuteva con i gerarchi che desideravano una chiesa tutta per i tedeschi. Egli voleva, al contrario, che fosse contemporaneamente una chiesa per gli italiani, francesi ed irlandesi. Nei suoi ultimi anni, si sforzò per imparare il gaelico, la lingua quasi dimenticata dell’Irlanda, per essere uno in più tra gli irlandesi; per essere tutto di tutti; per costruire una strada sui ponti distrutti.
E per essere stato così, egli oggi continua a rivolgerci la parola in questo tempo nel quale molti ancora considerano quali vie di salvezza la lotta di classe, le mutue contraddizioni degli uomini e gli scontri di egoismi tra gruppi. L’esperienza ci dice che perfino le relazioni più elementari, come quelle tra i genitori e figli, tra maestri ed alunni, sono interpretate in termini di oppressori ed oppressi, di conflitti tra classi, ed in questo modo risultano pervertite. Di fronte a questo, il nostro Santo ci appare sotto il segno della strada, e ci parla e ci invita a lottare contro l’inimicizia. Non è da cristiani la posizione comoda e semplice di gridare contro gli altri del gruppo al quale apparteniamo. è da cristiani opporsi a simile atteggiamento. è da cristiani sforzarsi di comprendere quelli che stanno dall’altra parte, benché i propri si sentano defraudati. è da cristiani attraversare continuamente le barriere per trovarsi e capirsi con gli altrui.
Questa appunto è la nostra missione qui a Monaco: a cominciare dalla famiglia, dalle mutue relazioni tra gruppi professionali e dalla comunicazione tra settori di lingue differenti. Nonostante le critiche ed i rimproveri che ci possano muovere, come cristiani abbiamo il dovere di attraversare quelle frontiere; di apprezzare nell’altro il fratello che il Signore ci ha inviato; di seguire la Via che è Gesù Cristo. E, come è logico, il santo a chi onoriamo ci invita a procurare l’intima riconciliazione tra tedeschi e cechi; chiudendo una storia millenaria di mutue incomprensioni, impariamo da questo santo il modo di accettarci gli uni gli altri.
E passiamo alla seconda idea: quella di Paolo che dice: “ed oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese”… Anche questo è un segno distintivo nella vita di San Giovanni Nepomuceno Neumann, perché egli fu sempre in cammino per il servizio dei suoi, fino all’esaurimento delle forze fisiche. Persino quando fu vescovo si riservò le visite notturne ai malati nella sede episcopale. Ma egli si distinse soprattutto per la sua dedicazione ai bambini ed i giovani. Scrisse una Storia Sacra e due catechismi, che ebbero rispettivamente 38 e 21 edizioni. Sapeva molto bene che nel XIX continuava ancora ad essere certo quanto fu nel secolo XVI: cioè che se la Riforma di Lutero ottenne fece presa nei cuori, fu perché egli seppe, col suo catechismo, rendere comprensibile e comunicare il corpus della fede secondo quanto lui capiva. Similmente, la Controriforma cattolica iniziò il suo irradiamento non appena ci furono equivalenti catechismi cattolici che, senza perdersi nei dettagli, esponevano e rendevano comprensibile l’insieme coerente della dottrina.
E quello che succedeva nei secoli XVI e XIX, può affermarsi ancora di oggi. Necessitiamo un’altra volta, persino nel nostro mondo tanto cambiato, contare su catechismi e catechesi che riescano a trasfonderci il deposito della fede nella sua totalità unitaria, non solo per frammenti. Questo non significa discendere a molti particolari, bensì a trasmettere quell’unità in cui si esprime e diventa percettibile l’unitario messaggio del Signore.
A quanto indicato si aggiunge, nel caso di San Giovanni Nepomuceno Neumann, la sua statura di gran vescovo dell’insegnamento. Fondò centinaia di scuole nei quasi otto anni del suo episcopato, e lo fece perché sapeva che il futuro di un paese dipende da come è il suo insegnamento. Il nostro, qui in Baviera, è oggi pacifico grazie a Dio. Grazie ai concordati e alla stessa Costituzione, abbiamo garantito il carattere essenzialmente cristiano dell’educazione; e disponiamo per fortuna di multeplici maestri che cercano con tutti i loro sforzi di educare i nostri bambini ai valori fondamentali della nostra fede cristiana. Di tutto ciò dobbiamo essere grati.
Ma non dobbiamo ignorare che in Germania esistono anche potenze ostili impegnate con tutte le loro energie a rompere le fondamenta della nostra educazione, per cambiarle la radice e tramutarla nella nostra società e nel mondo intero. Una profusa letteratura di manuali e di libri di pedagogia si impegna ad imporre il seguente metodo: seminare la sfiducia nelle relazioni tra gli uomini; intorbidare e turbare la consonanza degli uomini con la vita, la fedeltà, l’amore e la fiducia nella verità; incriminare tutto ciò come mezzo di oppressione ed intronizzare al suo posto, come obiettivi pedagogici supremi e permanenti, la diffidenza, la ripugnanza, lo scontento e la negatività. Quando si inquina in questo modo l’aspetto più profondo ed autentico del giovane essere umano, illudendolo con ciò di propiziare la sua libertà ed il suo auto-sviluppo, in realtà non si cerca di aiutare il suo progresso e sviluppo, bensì di inculcargli le proprie negazioni e la propria rottura con la vita, e di corrompere l’esistenza dalle sue radici più profonde.
Dobbiamo opporci a quell’impegno, e farlo con la chiara coscienza che, benché siano importanti, non abbiamo abbastanza peso con gli accordi e le leggi. Lotteremo con successo contro l’impugnazione della fedeltà che è denunciata come abuso di intenzione dominante, se sappiamo dimostrare nelle nostre mutue relazioni che nella fedeltà risiede la verità e tacceremo come false le vituperazioni dell’amore e della mutua comprensione se, dal fondo delle nostre vite, rendiamo degne di fede entrambe le cose. Nella lotta per l’educazione, che è il combattimento per il futuro degli uomini, ci giochiamo addirittura il nostro proprio essere umano. Punto e a capo, gli altri mezzi importano quasi niente. Solo se riusciamo a pesare col nostro essere nella bilancia, riusciremo a conservare e trasmettere nel futuro quei valori che sostengono il nostro mondo, che nutrono le nostre vite perché sono i valori nei quali crediamo.
2011: anno del Bicentenario della nascita del Santo
“Passione di Cristo, dammi forza”
Quando Giovanni Nepomuceno Neumann fu consacrato vescovo, prese come motto la giaculatoria “Passio Christi conforta me“: Passione di Gesù Cristo, dammi forza.” Questa supplica è una glossa dello stesso testo di San Paolo nella sua prima Lettera ai Corinzi che accompagnò tutta la sua vita. Le sfortune dell’apostolo non solo meritano di essere sorvegliate, ma mostrano una propria bellezza, perché sappiamo che lo stesso Dio dovette sopportarle. E qui sta la ragione per cui il mondo, perfino nei momenti di dolore e di tenebre, merita la nostra solidarietà; per cui Dio è degno di fiducia, e possiamo credere nell’amore; per cui i patimenti di Gesù Cristo ci offrono forza e danno vigore alla nostra vita.
Passione di Cristo, dammi forza. Ascoltando questa supplica dalle labbra di un vescovo venuto dalla Boemia, non possiamo non avere un ricordo per la fornace di dolori con cui sono tormentati i nostri fratelli per la fede in Cecoslovacchia. Per ciò, la preghiera che eleviamo in compagnia del santo vescovo Neumann sarà un’intercessione per quei nostri fratelli che si trovano all’altro lato della frontiera.
Supplichiamo:
■Signore, invia loro la luce della speranza nella notte dei loro dolori;
■illumina con la luce della tua presenza l’oscurità della solitudine e dello scoraggiamento che stanno soffrendo;
■fa’ sentire loro la certezza della tua verità e la tua vicinanza a quel mondo che perseguita la nostra fede;
■e aiuta tutti noi ad essere servi del tuo Amore in questo nostro mondo.