I MERCATI MONDIALI E IL GUSTO DEL BELLO
di Francesco Alberoni
L’altro giorno sono stato in un negozietto di Milano con mia moglie, per cercare un paio di guanti. E sono rimasto stupito. Ho visto guanti d’epoca in pelle sottilissima, meravigliosi fazzoletti di cotone e in lino, fazzolettini ricamati, vestaglie, sottovesti vaporose, di un gusto, una ricercatezza che non vedevo da anni, da quando a Milano, a Firenze, a Venezia, a Roma trovavi boutique con meravigliosi prodotti artigianali, espressione di una tradizione e di una creatività che non era stata ancora mortificata dal mercato di massa.
Un artigianato sorto per soddisfare i gusti di una aristocrazia e di una borghesia raffinate, esigenti, che conoscevano il bello, che sapevano fare confronti ed erano pronte a pagare la bellezza, la qualità eccezionale. Gente che aveva avuto, nel Rinascimento, come architetti Michelangelo e Bramante, come costumisti Leonardo da Vinci e, come orafi, Benvenuto Cellini. L ’humus culturale in cui è fiorita l’architettura che rende meravigliose le nostre città, e da cui ha potuto nascere, negli anni Sessanta, il design e, negli anni Settanta, la moda italiana.
Un mondo e un gusto che però oggi stanno scomparendo. Perché gli autori del made in Italy , dopo un periodo di straordinaria creatività, hanno finito per piegarsi alle esigenze di un mercato di massa e alla qualità di massa.
Per cui fanno produrre in Cina da gente che non capisce queste cose e vendono in un mercato mondiale dove non c’è mai stato questo gusto. E per lo stesso motivo sta svanendo anche l’architettura che ci ha dato gli stupendi palazzi e le confortevoli case delle nostre città d’arte.
Soprattutto l’architettura pubblica: i teatri, gli alberghi, le università, le sedi delle imprese che, nel passato, nascevano da committenti che volevano incarnarvi i propri simboli e i propri valori. Mentre oggi nascono da committenti anonimi e per un mercato anonimo. Scatole multifunzionali il cui destino è di essere vendute e distrutte. Il committente non vi oggettiva se stesso e l’architetto non ha più una immagine del suo pubblico.
Per questo tutti i nuovi teatri, auditorium, alberghi sono aridi, tristi, impersonali. Perché non sono stati pensati per individui reali. Fino al grattacielo, una forma stagliata nel cielo, ma all’interno anonima, spettrale, disumana.
Ciò che continua a restare vivo della nostra cultura è, ora, soltanto l’abitazione privata, il luogo dell’oggettivazione della nostra persona e dei nostri affetti familiari. Nessun popolo ne ha tanta cura e vi spende tanto denaro come gli italiani.
Poi viene la cucina in cui, negli ultimi tempi, sembra essersi concentrata tutta l’iniziativa e la creatività del nostro Paese. Meravigliosi vini, produzioni industriali e artigianali tipiche, una superba ristorazione. Un fatto che traspare anche nel gran numero di spettacoli televisivi sui prodotti tipici, i piatti, le invenzioni gastronomiche.
E, all’ultimo, i prodotti che servono alla salute, alla bellezza, le creme, i profumi.
In sostanza, soltanto ciò che è prossimo all’individuo, al suo corpo, e che può essere personalizzato, plasmato a propria misura.
Ciao da Tony Kospan