Questo bellissimo seppur dolce-malinconico racconto,
oltre ad esser una lettura che ti entra nell'animo...,
può esser spunto di riflessione sulle nostre rigidità emotive...
e sulla necessità di aprirsi a chi vogliamo bene
e che ci vuol bene...
L'AMORE GUARISCE SIA CHI LO OFFRE,
SIA CHI LO RICEVE
Harold H.Bloomfield
La pelle di mio padre era itterica mentre lui era a letto collegato a monitor e fleboclisi nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale.
Normalmente uomo di robusta costituzione, aveva perso oltre quindici chili. L'infermita' di mio padre era stata diagnosticata come cancro al pancreas, una delle forme piu' maligne della malattia.
I medici facevano quello che potevano, ma ci dissero che gli restavano appena dai tre a sei mesi di vita. Il cancro al pancreas non si presta alla radioterapia ne' alla chemioterapia, per cui i medici potevano offrire poche speranze.
Alcuni giorni piu' tardi, quando mio padre era seduto a letto, mi avvicinai a lui e gli dissi: "Papa', provo un sentimento profondo per cio' che ti e' successo. Mi ha aiutato a guardare il modo
in cui mi sono sempre tenuto lontano e a sentire quanto io ti voglia bene davvero." Mi chinai su di lui per abbracciarlo, ma le spalle e le braccia gli si irrigidirono.
"Su, papa', davvero voglio abbracciarti."
Per un momento apparve sconvolto. Dimostrare affetto non era il nostro modo consueto di trattarci.
Gli chiesi di tirarsi ancora un po' piu' su per poter passare le braccia attorno a lui. Questa volta, pero', era ancora piu' teso.
Sentivo accumularsi l'antico risentimento, e cominciai a pensare: "Questo non serve a niente. Se vuoi morire e lasciarmi con la stessa freddezza di sempre, fai come vuoi."
Per anni avevo sfruttato ogni esempio delle resistenza e della rigidita' di mio padre per incolparlo, per provare risentimento verso di lui, e per dire a me stesso: "Vedi non gli interessa."
Questa volta, pero' ci pensai meglio e capii che l'abbraccio andava a vantaggio mio oltre che suo. Volevo esprimere quanto mi importasse di lui, per quanto difficile fosse per lui lasciarmelo fare. Mio padre era sempre stato molto germanico e incline al dovere; nella sua infanzia i suoi genitori devono avergli insegnato a tenere dentro di se' i suoi sentimenti, per diventare uomo.
Lasciando perdere il mio vecchio desiderio di incolparlo della nostra lontananza, effettivamente guardavo con impazienza alla sfida di offrirgli piu' amore. Dissi: "Su papa', mettimi le braccia attorno."
Mi inchinai vicino a lui sul bordo del letto con le sue braccia attorno a me. "Adesso stringi. Ecco. Di nuovo, stringi. Benissimo!"
In un certo senso stavo insegnando a mio padre come abbracciare, e mentre mi stringeva accadde qualcosa. Per un attimo trabocco' un sentimento di "ti vogliobene". Per anni il nostro saluto era stato una stretta di mano fredda, formale che voleva dire: "Ciao, come stai?" Adessi sia io che lui aspettavamo che quella vicinanza momentanea si ripetesse.
Eppure, proprio nel momento in cui cominciava ad assaporare il sentimento di amore, qualcosa gli si stringeva nella parte superiore del dorso e il nostro abbraccio diventava goffo e strano. Ci vollero mesi perche' la sua rigidita' cedesse e lui fosse in grado di lasciare che le emozioni del suo intimo passassero attraverso le braccia e mi avvolgessero.
Tocco' a me essere la fonte di tanti abbracci prima che mio padre desse inizio e un abbraccio di sua volonta'. Non lo stavo incolpando, ma sostenendo; dopo tutto stava modificando le abitudini di una vita intera, e questo richiede tempo. Sapevo che ci stava riuscendo perche' sempre piu' la nostra relazione si basava sull'affetto. Verso il duecentesimo abbraccio disse spontanamente ad alta voce, per la prima volta da quando potessi ricordarmi: "Ti voglio bene:"
Ciao da Tony Kospan