Sarebbe stato un assurdo pensare alle rose a dicembre, o altri fiori strani, da terre lontane.
C’era quello che offriva la stagione: per la casa, la chiesa o per il cimitero, e la stagione più abbondante era di certo la tarda primavera.
L’aiola era stretta, delimitata da una fila di sassi, ai piedi del muro ad ovest, e quello che vi cresceva era ciò che il ciclo naturale delle stagioni permetteva: rose rampicanti, piccole , ma dai fitti grappoli profumati, calendule, giaggioli e margherite, soprattutto, queste, nei prati.
Tutta roba umile, da cascina, che unita a qualche papavero e fiordaliso dava un tocco di semplice grazia alla camera da letto.
Oltre al profumo, dolce e intenso, fresco.
Stava seduta sulla pietra per il bucato sul ciglio del fosso, ascoltando il fresco sorriso dello scorrere sereno dell’acqua limpida.
Gli uomini e le donne erano intenti col fieno nei campi, il cui aroma riempiva l’aria, lasciando spazio però anche a refoli di profumo di robinia, giaggiolo e rose.
Lei era vecchia e non più adatta a certe mansioni: stava sorvegliando l’ultima covata di pulcini che una chioccia pettegola e feroce con gli estranei cercava di tenere a bada.
- Come va? – d’improvviso una sua coetanea e conoscente sbucò dalla stradina dietro il cascinale-
- Bene, e voi? Come mai da queste parti? – e il tono della voce era un attimino contrariato.
- Eh, sapete, stavo cercando qualche fiore per la tomba del mio povero ‘Tistì’, ma non ce ne sono tanti. Ma voi che belle rose avete! –
L’espressione di mia nonna variò come la luminosità del sole disturbata da un cirro.
- Sì, belle. Ne volete qualcuna? –
- Ma non vorrei … però, dai solo due rametti. Grazie, neh, Pina! –
Staccò due rametti carichi di roselline, li contemplò quasi per significare il loro valore, li annusò e salutò.
Senza troppo entusiasmo, ma capendo.
La chioccia si era allontanata con la sua banda, e lei andò a riportare ordine e disciplina.
I rami del grande ciliegio cominciavano a punteggiarsi di rosso, e aumentava sempre più la mia frustrazione per non poterli raggiungere.
L’assiolo sul maestoso pioppo, ancora carico di lanuggine, annunciò il pomeriggio, e la nonna, chiamandomi, recitò una cantilena legata dal canto del piccolo strigide: “Ciot, ciot, me la cassa e te la mort…’.