Doveva essere il nostro segreto, ma si notava nel raggio di trecento metri.
Il nostro capanno, sulla riva più frondosa, costruito con rami e foglie che, data la stagione estiva, appassivano in poche ore ed in un paio di giorni seccavano, creando una macchia nitida nel verde cupo caratteristico dell’estate.
Seguivamo i modelli autunnali dei cacciatori, che duravano quasi integri fino alla fine dell’inverno, e doveva essere il nostro rifugio.
Un angolo per ascoltare la pioggia battente all’esterno e restarne protetti, isolati, godendo del piacere di una sicurezza che l’istinto faceva lontana, dolce e misteriosa.
Avevamo utilizzato grossi bastoni per l’intelaiatura, legati con pezzi di filo di ferro trovati presso un vecchio attrezzo di metallo, da sempre lasciato alle intemperie, e che le stesse avevano oramai trasfigurato, confondendone l’origine e lasciando alla fantasia ed all’immaginazione l’antica utilità, velata solo per un attimo da un pizzico di tristezza, che però la vitalità infantile dissolveva come la prima rugiada al sole d’agosto.
I vari strati di foglie ci garantivano sicurezza d’impermeabilità, creando all’interno aromi piacevoli e freschi.
Come atteso arrivò il temporale, e finalmente potemmo goderci l’orgoglio della nostra opera.
Lo scroscio ci lasciò un piacevole brivido: all’interno eravamo asciutti; forse una goccia dispettosa che era riuscita a filtrare da chissà quale pertugio. O forse i pertugi erano tanti, o forse non avevamo capito l’arte dei cacciatori: dopo cinque minuti eravamo fradici.
La grande stanza odorava di fuliggine e di soffritto rancido, e nel camino il fuoco ardeva allegro; seduti sul piedistallo cominciavamo ad asciugarci, con l’unica consolazione che quella sera non avremmo dovuto lavarci.
La pioggia battente musicava sinfonia sulle foglie degli alberi e del mais già fiorito; la sera scivolò sui pensieri trasformandoli in sogni.
Il mattino presto, bloccato dalla pesante anta della farinera, dove oltre alla farina trovavano alloggio miriadi di tarme, c’era il sacchetto di tela pieno di chiocciole, raccolte nella notte ed accomunate dal triste destino di diventare pranzo, quel giorno.
La pioggia non cessava, la sua musica era dolce.
La sera è cupa e triste: stavolta le previsioni c’hanno azzeccato.
Non ho voglia di dormire.
Lo scroscio genera rumore; forse una musica, a ben ascoltare. Ma corrosa dal tempo che le ha tolto l’originale armonia, lasciando solo per un attimo un soffio di tristezza, subito cancellato dal passaggio di un’automobile su una pozzanghera formatasi sulla strada.
La pioggia è solo un fastidioso contrattempo.