Compagni di niente 15.2.98 (ambientato nel '97)
"Ciao, Alberto, come va? E’ un po’ che non ci si sente. Sì, dei tuoi mi hai raccontato... Tua sorella l’ho vista quattro o cinque mesi fa, eh sì, non è più riuscita a rifarsi una vita (perché non restiamo piccoli?)... Ah, certo che vengo. Grazie. Be’, sì, ricordavo che più o meno era a maggio. No, il giorno proprio no..."
Mamma mia dove abita questo. Anzi, la zona non sarebbe neanche male, è questa palazzina accanto alla sua con questi mini appartamenti, poveri extracomunitari da dieci per stanza, transessuali e via dicendo, delusione e disappunto dei ceti medio-alti che pensavano di erigere qui la propria fortezza (eccola là, come al solito sono il primo...).
"Rosanna, ciao..."
"...Dicevo bene io! Quella testa bionda che scendeva dalla macchina non poteva essere che la tua!"
"Grazie della testa bionda, forse scambi pelle con capelli... ma non c’è ancora nessuno?"
"Ehm, guarda che è per sabato prossimo..."
"Ah".
"Comunque, resta a cena. Aspettiamo degli amici di Alberto, sai, le slot..."
"Eh?”
“Le slot, le macchinette da pista..."
"Sì, anche quando eravamo ragazzi aveva quella passione... E questi sono i rampolli? Guarda un po’, Alberto piccolo... L’ultima volta che ti ho vista aspettavi lui... stavate ancora nell’altra casa..."
"Allora, questa bottiglia che hai portato la beviamo come aperitivo. Appena arrivano gli altri" (Cristo, che roba sarà? Ho pescato a occhi chiusi in cantina dai miei... Guarda qua, Jesus Christ Superstar, ancora in vinile...)
"Ma come ho fatto a capire ”questo” sabato? Scusa, lo so che sono un po’ rinco..."
"No, guarda che la colpa va divisa in due, fa lei. Anche Alberto prende qualche papera..." (Grazie, mi consolo)
E si cena. Rosanna cucina niente male.
I borghesi sono spesso benestanti, spesso i benestanti sono borghesi. Ma Alberto non era tutto questo borghese. Aveva dentro di sé una giusta dose di avversione contro luoghi e comportamenti comuni; in più non poteva permettersi jeans alla moda né un motorino nuovo di zecca. Una brava persona, forse un po’ troppo sensibile. Un vero tuffo indietro: la nostra adolescenza, la nostra crescita, nel bene e nel male, noi e tutti i nostri compagni di classe, di scuola, quello che è stato poi della vita di ciascuno... E lei? Non posso dire di conoscerla a fondo. Si presenta bene, emana simpatia e non è neanche una brutta ragazza. Anzi, la maternità sembra averle giovato (Io ho qualche mese meno di Alberto. Ma non credo che farò nulla per i miei quaranta. Sì, saranno partiti avvantaggiati, lei ha portato in dote una bella casa, ma io?...).
"I miei figli stanno bene, grazie. Nonostante la separazione, sì, sono quasi dieci anni, nove e mezzo, no, non mi sembrano dei disadattati, o perlomeno non più di quanto non lo siano altri la cui famiglia sta in piedi come il famoso castello di carte. La femmina va per diciannove, il maschio per quattordici. Lei quest’anno maturità, lui licenza media. Li vedo eccome, quasi ogni giorno" (E loro sono una bella coppia. Uno sguardo al volo, una parola simpatica, sono carini...).
Lunga videocassetta sugli (o sulle?) slot. Sono passioni anche queste.
Quest’anno deve andare di moda il limoncello. Se è freddo è buono. Non si deve esagerare. Esagero. Comunque non sono ubriaco. Al commiato mi rinnovano l’invito per la prossima settimana.
"Bene, così avrò anche modo di portare un pensiero..."
"Ma no, non c’è bisogno..." (Imbecille, neanche, che so, neanche un pacchetto di caramelle col buco hai portato).
Due ottime figure in una sola serata. Prendi due paghi uno. Sbaglio data e mi presento a mani vuote. L’unica speranza è che ricordino, anzi, che Alberto ricordi, che anche in adolescenza ero un tipo, diciamo, originale...
Ma poi comincio a pensare che al di là dei festeggiamenti del cammin di nostra vita abbia anche qualcos’altro cui badare, mah...
*
Ma io domando e dico, una cravatta almeno te la potevi mettere? Solo a un altro manca, un libraio loro parente o che so io. Il regalo è uscito fuori: l’editore mi ha finalmente spedito copie del mio primo libro; dedica, pacchetto-regalo e via (Ma, potrebbero aver pensato, anzi sicuramente lo hanno fatto, era convinto che fosse la settimana scorsa e si era presentato a mani vuote, peggio, con lo spumantino da soldi quattro?). Filippo è un vecchio amico di Alberto. Conoscevo anche lui vent’anni fa. No, sono venticinque. Ingegnere, non in proprio. Tronfio e smargiasso, tale era e tale è rimasto. Probabilmente un grosso complessato.
La loro cugina Monica. Non era male - quando però io ero ben lungi dal solo supporre che una ragazza potesse mettersi con me. Mi sembra di ricordare che a quei tempi era stata per un periodo proprio con il tronfio Filippo. Adesso ha messo qualche chilo. Non mi saluta né io saluto lei. D’altronde, non è che neanche al tempo avessimo chissà quali rapporti. Capitava d’incontrarsi là, in quell’enorme appartamento dove abitava la famiglia di Alberto, padre, madre, cinque dicasi cinque figli, e una ragazza a servizio. Ah, anche un rompicoglioni, cinquantenne scapolone che stava sempre tra i piedi, amico di casa, specie di cicisbeo anni (millenovecento)settanta. Monica non è vestita proprio da sera, bensì da una che cerca di acchiappare. Non so chi mi ha detto che non le è andata tanto bene nella vita.
Sono in giacchetta e jeans. Mi sento in imbarazzo. Il padre di Alberto è ingrassato, la madre, ma questo lo sapevo, è diventata completamente sorda. Ci scriviamo sul blocchetto che si porta sempre dietro. E che altro può fare? Rosanna cucina veramente bene.
I fratelli di Alberto sono sempre simpatici e in gamba. Uno, ma il buon giorno si vedeva già dal mattino, è un serissimo integerrimo funzionario. Un altro è commercialista e dà lavoro alla loro unica sorella, la maggiore tra i cinque. Il più piccolo è architetto. Ha vagamente del gay, affari comunque suoi.
Mi ritrovo una mezz’oretta ad ascoltare una conversazione su questioni edili. Parlano uomini e donne, probabili colleghi o concorrenti. Alberto è ingegnere e ha con un altro tipo uno studio di progettazione.
Siamo diventati grandi. (Siete. Io no. Io voglio andarmene. Cosa ci sto a fare qua? Non conosco che pochi convitati, il loro mondo è il loro e il mio chissà dov’è. Alberto, perché m’hai invitato? Come sta tutta questa gente, come stai tu, come sto io?)
La sorella di Alberto, la maggiore tra i cinque, è brutta. Non sta bene dire questo di una donna, ma il termine, purtroppo per lei, calza. Grassa e afflosciata, i due incisivi superiori scheggiati da quando la conosco, occhialacci da segretaria zitella che accentuano ulteriormente il naso, aquilino e deviato da una parte. Stasera e solo stasera è vestita in modo passabile. Aveva sposato Marco, compagno di classe mio e di Alberto. Marco poi aveva conosciuto un’altra con la quale ora ha due figli. Con Costanza ne ha uno.
La suddetta mi aveva chiamato a gennaio. Una lunga chiacchierata, recupero di circa sedici anni, e visita alla sua bella casa, ricordo ed eredità di un matrimonio andato a monte.
Costanza è intelligente; nella sua storia familiare sa mettere la dovuta dose di critica e di autocritica. Cena con servizio degno dell’educazione della sua famiglia.
Anche tu, perché mi avevi chiamato quella volta? Ma nel caso tuo forse lo so.
Sei sola come un cane, hai solo tuo figlio. E a una donna non basta. Da me, comunque, cosa vuoi? Ah, guadagni anche poco. Proprio non ce la fai a tirare avanti.
Depressione esaurimento orizzonte nero ah la vita. Siamo cresciuti. Per sempre.
Marco le dà poco. Suo fratello anche. Non può darle di più, non ha ancora sfondato. Io vorrei dirle Ma perché non cerchi di aggiustarti un po’?, ma non si dice e sarebbe inutile.
Ha avuto un tipo dopo Marco. Questi, pare, si è poi rimesso con sua moglie più figli, lei lo ha cercato ancora ma ha trovato un muro. The end. Me lo sogno la notte, sai? Be’, forse perché ora non hai nessuno...
Quando ero uscito in gennaio dalla casa di Costanza i miei dubbi erano aumentati. Ma che vuoi da me? Amici? Magari; è un vero piacere stare con te. Altro? No, grazie. Perché sono brutta? Sì, forse per questo. E poi perché cerco anche qualcuno che mi aiuti a tirare avanti? Guarda che qualcuna così servirebbe a me, ma poi tanto non andrebbe bene a me per primo se pure la trovassi...
Ma Costanza è donna. Non c’è rivalità.
Io invece ora sono qui, solo, senza cravatta. E in jeans. E il regalo l’ho portato in ritardo rispetto a quando pensavo che avrei dovuto. Con quella fetenzia di spumante, m’ero presentato. Ecco, la si potrebbe mettere così: aspettavo da un giorno all’altro l’uscita del libro e la settimana scorsa non ho detto niente perché niente sapevo. Te l’avrei comunque fatto avere in seguito se l’uscita avesse ancora tardato...
Finisco a tavola con uno dei fratellini. Com’erano piccoli. E com’eravamo giovani io e Alberto. Non stavamo ancora alla conta dei capelli. Alberto s’è imbruttito. Ma è l’anima che sta male. Che lavori troppo? Oppure?... ...ma sembrano così affiatati... Niente smancerie, no; tutto con garbo, con discrezione, ma sembrano sprizzare affetto da tutti i pori.
Quando finisce ’sta tortura? Voglio andarmene...
Alberto spegne le quaranta candeline.
Camerieri luminarie al terrazzo bella gente brusìo il giusto. Anche il singalese in servizio permanente effettivo stasera si è ripulito. La settimana scorsa stava in ciabatte. Rosanna fa la beata tra gli uomini per sua stessa ammissione. Un marito, due figli maschi. E maschio anche il factotum. Non ha voluto donne. Che sia gelosa? No, non dev’essere così. E’ che forse vuole sentirsi la reginetta della casa. E in fondo lo è. Alberto la adora, o quantomeno adora la famiglia che si è voluto costruire con lei.
O sua moglie ancora telefona a qualcuno? Chissà se Rosanna si ricorda di quando mi aveva telefonato. Aveva chiamato lei. Lei, Rosanna, aveva chiamato me. Non in nome di entrambi, voglio dire di sé e di Alberto: aveva chiamato lei e aveva chiamato me. E io non avevo capito o non avevo voluto capire; quella volta restammo, o almeno io restai, al Sì, quando capita ci andiamo a mangiare una pizza tutti insieme...
Sì, certo, la pizza...
Ma dai, non telefona più a nessuno... Avrei potuto quella volta fare questo a Alberto? L’occasione c’era, oggi non credo di sbagliarmi.
Ma qui non si tratta di opportunità bensì della voglia o meno di sfruttarle. Proprio Alberto? Avrei potuto? Chissà... Se quel giorno alla telefonata non fosse stata presente una ragazza con la quale al tempo mi accompagnavo, e che non aveva ovviamente mancato di esprimere qualche, diciamo, perplessità sui motivi di quella chiamata inattesa, sì, forse saremmo stati un passo avanti... Ma Alberto? Quant’è che ci conosciamo? O forse sarebbe potuta prevalere quella sana insana follia che a un certo punto ti fa solo desiderare la trasgressione... Peccare per il gusto di farlo. Scegliere di fare una tra le cose più sporche: andare con la donna di un tuo amico. Proprio perché non si deve fare. Perché la domenica dovevi raccontare al prete se avevi detto stupido o se te l’eri toccato. Perché una donna ti si offre e carpe diem.
E se la guardo non posso fare a meno di pensare a quella telefonata, a cosa sarebbe potuto succedere, a come riuscire a guardare in faccia Alberto di lì in avanti, magari sarebbe venuto a saperlo, o magari gliel’avrebbe raccontato lei stessa, o magari... ...ma non sono, non riesco a essere neanche adesso, non lo ero neanche quella volta, completamente fuori dalla tentazione...
Quando si comincia ad andare?
Dai, non telefona più a nessuno...
La cravatta. Ma sono loro che misurano te o sei tu che ti senti misurato? Oppure sei tu che misuri loro, ma dal basso, non hai la cravatta... Ma come, tutto quello che hai sempre rifiutato, tutto il mondo al quale non ti sei voluto (o saputo?...) adeguare adesso ti mette in crisi? L’hai rifiutato tu o era ed è un’uva acerba? Coetanei che stanno più avanti di te? Alberto con bella casa, cameriere asiatico fisso, denaro per organizzare ’sto quarantesimo, tu non potrai farlo, non adesso almeno... Invidia? No, non li hanno presi a me i loro soldi, né stavamo tutti insieme correndo verso lo stesso mucchietto d’oro e loro sono arrivati prima. Ma imbarazzo, questo sì.
Non ho la cravatta.
Quando si va via?
'L’estate andiamo a Santa Severa. Perché non ci vieni a trovare?'
'Be’, Rosanna, se farete i bravi...' (Ma cosa ti posso rispondere? Vuoi telefonarmi ancora?)
Si va.
"Costanza, ti accompagno io. Ma allora, come va tra Alberto e Rosanna? Ma insomma a vederli sembrano così affiatati, teneri, dolci..."
"Be’, sai, lei forse all’inizio non accettava il fatto che una famiglia numerosa come la nostra sia così unita, forse se ne sentiva esclusa, ma noi siamo così..."
"Sì, lo so, l’ho sempre saputo. E ho parlato spesso di voi quando in qualche discorso si andava a toccare il tema della famiglia. Siete esemplari. Avete avuto un’ottima educazione e pochi soldi in tasca..."
"Dai, non esagerare..."
"No no, è proprio quello che penso e che mi è capitato di dire con altri, sapete, conosco una famiglia... Ma loro due, insomma?"
"Be’, sai, Alberto ci sta male... Anche lui, come tutti noi, crede tanto nella famiglia... Per lui Rosanna e i bambini sono tutto..."
"E lei?"
"Lei, te l’ho detto, forse si sente un po’ tagliata fuori (Costanza è una persona intelligente, almeno quasi sempre)..."
"Ah, è per questo che...?"
"Sì, penso di sì..." (Ah, sarebbe per questo?... ...e chi te la racconta la telefonata?)
"E’ tardi Costanza sentiamoci (Scusa se non posso farti da compagno di vita e di conto in banca, proprio non m’interessa. Tu naturalmente m’hai chiamato una volta, hai sondato, sembrerebbe, il terreno, e discorso chiuso. Eppure mi piacerebbe frequentarti. Ma non come pensi tu. E poi è meglio per te, io sono matto. Sono un incostante, un inaffidabile... E’ bene essere matti, incostanti, inaffidabili. Ti evita un sacco di rogne. E di impegni). Salutami Alberto e Rosanna".
Un giorno li chiamo. Chissà se stanno ancora insieme.