Il vento faceva frusciare le foglie oramai quasi tutte secche e raccoglieva l’aroma dolce delle pannocchie mature; settembre accentuava la malinconia per un’estate sfiorita.
La stradicciola erbosa lasciava appena intravedere i tre solchi: quello centrale, lasciato dai passi del cavallo e i due laterali, formati dalle ruote dei carri; al lato gli alberi e i ciocchi frondosi nascondevano il fosso e la vista, rendendo il posto quasi tenebroso.
L’ombra delle fronde diminuiva considerevolmente il raccolto, ma dava legna, unico combustibile dei tempi.
Dovevo rimanere più tempo possibile a far guardia al raccolto, spesso intaccato da ladruncoli che operavano per necessità, più che altro, con l’intento di raccogliere di che ingrassare polli e conigli.
Non era una mansione noiosa; almeno lo era solo all’inizio. Ma poi qualcosa aveva scacciato la voglia di teppisteggiare per campi e per fossi: il silenzio, quasi assurdo, che inizialmente si era fatto strada con leggero tono di ancestrale paura.
Quel silenzio che portava via i pensieri pur leggeri, data l’età, lasciando scorrere liberamente solo sensazioni fresche e piacevoli nella cornice di luce, di verde, di cielo, di suoni sfragliati, lontani e spesso indistinti. Creando emozioni che scivolavano senza ostacoli sulla stradicciola erbosa, segnando il piacere dell’esistenza come tale.(Fuori dalla complessità).
(Camminare fra mucchi di ostacoli e rifiuti, col solo scopo di evitarli, ed accorgersi solo all’ultimo minuto di non essersi prefissati alcun traguardo, e cercare inutilmente di respingere l’amaro in bocca per aver sprecato tutto).
La stradicciola erbosa è un po’ più larga, il fosso è di cemento e gli alberi sono quadi del tutto eliminati.
L’orizzonte è pressochè libero.
Fra poco porteranno ostacoli e rifiuti.
(La Montasèla