Dal 12 agosto sono ricoverato, come molti sanno o pochi o non fa nulla, in ospedale. Sono stato colpito da una polmonite che m’ha invaso quasi tutto il polmone sinistro. M’ero presentato una settimana prima, avevano diagnosticato un semplice colpo d’aria, m’avevano dimesso con antinfiammatori. Una settimana dopo, otto giorni per essere esatti, mi presento con il mio scooterone alla Guardia Medica: boccheggiavo, e al malessere s’univa ovviamente il terrore dell’asfissia. Alla Guardia Medica chiamano un’ambulanza dopo avermi trattato con cortisone, mi sento un po’ meglio, semper laudetur. Mi riservo adire le vie legali, si dice così?
Una settimanuccia in una stanza a due letti, il vicino un po’ chiacchierone per i miei gusti, però va bene. Ma lo dimettono, e io vengo trasferito in una stanza a quattro. E qui comincia l’avventura…
Il trauma da trasferimento (in peggio), se vogliamo, l’ho superato presto; nemmeno ho detto più al personale che qui, d’accordo, non è un albergo, ma che se si liberasse un posto in una stanza, che so, con quarantadue vergini, gradirei esservi associato senza indugio. Anche quarantuno potrebbero bastare.
La stanza era occupata da due sole altre persone. Persone?
Quello di fronte a me aveva le ginocchia più grosse delle cosce, sembrava una foto scattata appena dopo l’ingresso degli Americani in qualche lager tedesco ma anzi peggio. Aveva mille pendagli attaccati al braccio: flebo, apparecchiature elettriche; mancavano un santino della Madonna, un cornetto rosso antisfiga e saremmo stati a posto. Lo venivano a trovare, suppongo, figlia e genero; ho visto anche un’anziana da immaginarsi consorte. Per il resto stava lì a sonnecchiare come un vegetale. Va detto che almeno per mangiare si metteva seduto. Sere fa aveva cagato (sì, ho detto ‘cagato’) e subito aveva impregnato la stanza di un effluvio che Dior non grifferebbe. Erano venute le infermiere e lo avevano nettato. Meno male.
L’altro, che giaceva (‘giaceva’) alla mia destra, nemmeno tentava di alzarsi. Al mio arrivo m’aveva mormorato qualcosa con una voce vibrante che somigliava a quella degli operati alle corde vocali di una volta, i quali ricorrevano a un apparecchietto esterno vibrante che poggiavano alla gola per poter emettere suoni udibili; quel qualcosa era stato da me sia male udito che peggio interpretato, proprio non capivo di cosa o di chi parlasse; più tardi un’infermiera, a seguito delle mie umanamente giuste lamentele per essere stato schiaffato in quel mini-lazzaretto, m’aveva spiegato che questo signore non aveva assunto i tranquillanti o che so io – insomma, delirava. Siamo a posto.
Nei giorni a seguire si sono avvicendati altri pazienti, che in comune avevano l’essere anziani e piuttosto malandati: la questione polmonare doveva essere solo una delle tante.
C’è tutta una tradizione che ci tramanda l’immagine della donna come crocerossina: le Pie Donne, la Deposizione, la Pietà, l’immagine fissa della moglie o della figlia che assistono l’uomo malato: tra le mille condanne della donna c’è anche questa, evidentemente. Sarà forse perché da sempre hanno a che fare loro con i neonati, e neonato significa piscio e merda, sarà che ci siamo inventati che ella è più paziente, sarà che forse lo è davvero per questioni genetiche; ma a questo tipo di caratteristiche insite nel DNA sono portato a credere poco: immagino siano cultura dominante, mentalità, emulazione, senso del dovere, lavaggio del cervello, fate voi; e in mezzo a tutto ciò, voglio almeno sperare, affetto.
Sta di fatto che qui si alternano mogli e figlie, tutte obbedienti, ossequienti a quello che somiglia a un copione, a imboccare e rimbocare il malato padre o marito, a chiamare l’infermiera quando questi s’è cagato addosso, ad assistere impassibili al cambio del pannolone con relativa esibizione di flaccidume, scena davvero disgustosa, laddove un tempo v’era ciò che contribuì al piacere delle prime e alla nascita delle seconde.
Cosa vuoi saperne tu, ormai mummificato nel tuo stato di single, di questa devozione, di questo che possiamo ben chiamare amore? …E cosa voglio saperne? In effetti, poco, soprattutto se pensiamo che sempre più, col passare del tempo, mi sfugge il significato di questa parola, ‘amore’, inflazionata, abusata, dalle canzonette alla letteratura per shampiste, in Facebook onde attrarre proseliti o quantomeno per manifestare la propria presenza, dovunque… Ma almeno chi ne fa uso sa cosa sta dicendo?
D’accordo, non ne so nulla. Ma al momento, e spero di mantenermi saldo nei miei propositi (di potermelo permettere), mai e poi mai vorrei mia figlia a pulire la mia merda, né ad assistere alla cerimonia. Forse pensavano e dicevano lo stesso questi vegliardi che la sorte e le esigenze di reparto mi assegnano come compagni di stanza, non lo so né posso saperlo; ma allora esprimo un altro proposito: se devo ridurmi così, una larva, sì, ho detto una larva, che il Padreterno o il facente funzioni mi mandi un colpo fulminante, un po’ come le saette di Giove: sarà meglio per me, per il bilancio dell’ASL, per i miei familiari.