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General: Per il mio amico Botja.
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De: Peterpan® (Mensaje original) |
Enviado: 16/09/2012 13:10 |
'Prima di tutto il nord', l'ultimo slogan in ordine di tempo della Lega, cosa sta a significare? Che della villa Bossi va ristrutturata per prima la facciata a Settentrione? |
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Fagiano che non sei altro... lo slogan 'Prima di tutto il Nord' vuol dire che si comincerà a pagare le tasse, prima di tutto dal nord, poi dal centro e infine dalla terunia.
Politica industriale? Sì, ma non solo parole...
Un'agenda che cerchi di ridare vigore al sistema industriale italiano deve prima di tutto: diminuire la forbice tra il Nord e il Sud del Paese, trovare una risposta alla crisi dei grandi settori labour intensive, ripensare il ruolo delle grandi imprese pubbliche, puntare su nuovi grandi progetti-Paese e aumentare produttività ed efficienza generali.
di Giampiero Gastano
Si torna a parlare di politica industriale. Finalmente, verrebbe da dire. Ma come sempre tra il dire e il fare... La realtà sono decenni di nulla, di laissez faire sgangherato, di mancanza di politica e di industria che arretra.
Anziché discettare se sia utile (o addirittura se esista) la politica industriale, forse sarebbe più utile elencare i problemi, condividerli il più ampiamente possibile e delineare tempi, modi e risorse per risolverli. Non è per "spirito pratico" che formulo questa proposta, ma per dare un senso alle parole ed evitare il rischio di una discussione "estiva".
I nodi "industriali" che la "politica" deve affrontare, sono il precipitato di quelli già affrontati nel corso di tutto il secolo passato; le soluzioni allora individuate sono in crisi e in molti casi già collassate. Furono scelte importanti per l'Italia e per un intero continente. Le classi dominanti imboccarono strade che hanno consentito una crescita oggi esaurita. In alcuni Paesi sono già state imboccate strade nuove, da noi non ancora.
Avendo presente questi riferimenti, richiamo quattro argomenti più uno che ne rappresenta il contorno indispensabile.
1. IL GAP ECONOMICO E INDUSTRIALE NORD-SUD CRESCE.
Sono in crisi (per motivi non sempre identici) le soluzioni a suo tempo individuate per la crescita industriale del Mezzogiorno. Basti pensare ai grandi poli di sviluppo della industria di base: siderurgia, chimica, cemento tra le altre. In quelle aree spesso è rimasto solo il deserto economico e la disgregazione sociale; si pensi a Sardegna, Campania, Sicilia, alcune aree del Lazio e della Puglia.
Servono nuove idee e nuovi progetti quando invece, purtroppo, prevale la "pigrizia conservatrice"; si insiste a riproporre ciò che è andato in crisi non per il destino cinico e baro, ma perché le condizioni di 60/80 anni fa non esistono più e non si possono ricostruire se non a costi senza alcun senso economico e nemmeno sociale.
Di Sud, di crisi sistemica, di poli industriali obsoleti non si parla più o comunque non a sufficienza. Una domanda allora: si può fare politica industriale senza affrontare questo primo nodo? La domanda è retorica e la risposta è ovvia.
2. LA CRISI DEI GRANDI SETTORI LABOUR INTENSIVE
E' iniziata negli anni 80 con il settore tessile di base (filatura, tessitura, ...), ha interessato gradualmente l'elettronica civile, i componenti e gli apparati TLC, il motociclo, l'arredamento ed ora è la volta dell'elettrodomestico. Un discorso a sé merita invece l'automotive in senso lato (non solo auto).
I settori ad alto contenuto di lavoro hanno caratterizzato lo sviluppo dell'Italia, hanno consentito la crescita della occupazione e del reddito utilizzando il "bacino di forza lavoro" dell Sud con e senza processi migratori. Oggi sono settori aggrediti "dal basso" da concorrenti dell'est europeo o asiatici e "dall'alto" da concorrenti tedeschi che occupano nicchie ad alto valore aggiunto e ad elevato impatto simbolico.
Che fare? Senza idee e senza interventi, la risposta è scontata, ma qualche esempio virtuoso c'è già (si pensi all'industria lombarda e marchigiana dell'arredamento) e va seguito a dimensione più ampia. Investimenti in ricerca e nella qualificazione dei mercati hanno reso possibile il cambiamento. Si è fatto leva sulla cultura della produzione di beni durevoli, per proporsi come leader mondiali di prodotti di alta qualità. Una politica industriale accorta deve far leva sulla cultura accumulata; le competenze ci sono, le imprese ancora vivono e un lavoro congiunto pubblico-privato nella ricerca sui materiali, nella innovazione di prodotto, nella automazione e nella integrazione sistemica dei prodotti, nelle azioni verso i mercati internazionali, può dare frutti importanti. C'è tempo per tutto questo? NO. Si deve fare in fretta per non disperdere il patrimonio.
3. IL TENUE RUOLO DELLA GRANDE IMPRESA PUBBLICA.
Le nostre grandi imprese "pubbliche" sono tutte quotate (ad eccezione di Fincantieri); operano nel mercato esattamente come le altre Società di capitali e questa scelta non è in discussione. Ma sono anche guidate da un management che, pur entro certi limiti, risponde agli indirizzi dell'azionista di maggioranza (ovvero del sistema Paese).
Orbene, da molto tempo non si assiste ad una azione "di sistema" che in altri Paesi sono regola indiscutibile, sia se svolti dalle strutture centrali o dalle strutture territoriali, come in Germania.
Fare sistema non significa che le imprese a controllo pubblico debbano acquisire aziende in crisi o addirittura senza futuro (come in queste settimane sento dire). Sarebbe una sciocchezza. Penso invece che Finmeccanica, Enel, Eni, ST Microelectronics, Fincantieri, ciascuna nel loro ambito, possono determinare ricadute su molti settori a loro contigui o funzionali sia attraverso azioni spontanee, sia attraverso azioni orientate. L'interesse generale deve prevalere sul profitto specifico, altrimenti perché non vendere anche la quota residua e lasciare che tutto funzioni secondo astratte regole di mercato? Insomma, non deve essere più possibile che una azienda cinese vinca una gara per aver fatto lo sconto maggiore e una impresa italiana (qualitativamente identica) fallisca. Il costo economico (e sociale) per il Paese é ben superiore al beneficio di una singola impresa "pubblica".
Fare sistema, usando le leve che già ci sono: é un pezzo di politica industriale che va riscoperto e perseguito con forza e convinzione.
4. ASSENZA DI GRANDI PROGETTI-PAESE.
Se ne parla e se ne parlerà in continuazione, ma quasi mai si é fatto qualcosa. Ora ci sono scadenze molto precise e di grande impatto; penso all'Agenda Digitale che in autunno vedrà la luce anche in Italia ed alla annunciata preparazione del Piano Nazionale Energia.
Se non si perderanno nei meandri della Pubblica Amministrazione, potranno essere (soprattutto i progetti previsti nella Agenda Digitale) non solo una grande occasione di modernizzazione, ma uno strumento di politica industriale ad alto impatto. Non a caso l'industria delle TLC, dell'informatica e più in generale chi si occupa di innovazione guarda a quei progetti con grande interesse e speranza. Ricerca, innovazione, formazione ne costituiscono il presupposto, ma apparati, reti, sistemi saranno la ricaduta in termini di prodotti e servizi che miglioreranno la vita di tutti e daranno grandi opportunità di lavoro.
Ma l'approccio sistemico deve diventare un presupposto culturale e un fondamento costante di politica industriale. Da almeno 40 anni non vi sono progetti-paese, non vi è un approccio sistemico ai problemi della innovazione e dello sviluppo. La ripresa non ci sarà in Italia se in questa fase non si daranno indicazioni generali, linee guida, obiettivi generali di alto valore strategico, da raggiungere insieme.
5. PRODUTTIVITÀ' ED EFFICIENZA GENERALI.
E' l'ultimo punto, ma il più importante, della concreta agenda di politica industriale che ho delineato.
Mi riferisco alle carenze strutturali del nostro sistema industriale che nell'ultimo decennio si sono costantemente aggravate: deficit di produttività, modesti investimenti in R&D conseguenza anche della ridotta dimensione media delle nostre imprese, procedure burocratiche snervanti e presenza della criminalità nel processo economico.
Su queste materie il gap non si azzera in poco tempo, ma questa non è una scusa. Subito possono essere dati segnali importanti. Prima di tutto dalle forze sociali che, in un rapporto di stretta collaborazione con l'azione di Governo (che chiameremo come più ci piacerà: codeterminazione, concertazione, cooperazione), possono stringere un "patto per lo sviluppo" che sia operativo immediatamente e verificabile ogni sei mesi per correggerne le distorsioni.
Sindacati e Confindustria sono soggetti attivi di ogni politica industriale: si tratta di capire oggi se questa loro attività si traduce in scelte condivise, in obiettivi definiti, in azione concreta, oppure restano le giaculatorie quotidiane che, nel concreto, hanno concorso al degrado di una realtà non più sostenibile.
La domanda a cui rispondere è semplice: è possibile mettere sul tavolo crescita della produttività, crescita della occupazione, crescita degli investimenti, crescita della formazione professionale, crescita dell'industria nel Mezzogiorno, crescita dell'efficienza della P.A., crescita in generale?
Ognuno deve mettere su quel tavolo le proprie disponibilità, i propri "sacrifici" e cercare seriamente e con convinzione una intesa.
Sarebbe la migliore cornice per una politica industriale per l'Italia.
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Belle parole, ma fin che gli Asiatici avranno la manodopera a costi vicini allo zero ci faranno sempre il culo.
Certo, se poi cominciassimo da parte nostra ad ottimizzare la produzione, a limitare gli sprechi, ad aumentare in qualche modo la produttività, non sarebbe male, no. |
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...E rimane aperto l'interrogativo: 'sta villa di Bossi la ristrutturiamo o no? Cominciando dal lato settentrionale, ovviamente, anche per questioni ideologiche? |
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Invece si spenderebbe meno radendola al suolo e facendone, sulle macerie, un bel ritrovo per ex leghisti in disarmo. |
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invece di fare lo spiritoso sarebbe meglio che cercassi di informarti su quello che sta accadendo a Taranto,
dove stanno usando l'Ilva come pretesto per finanziare il porto di proprietà dei cinesi
che lo usano per il traffico di rifiuti che arrivano lì da tutti i paesi del mondo, USA in primis
occorrono 350 milioni, la Cina ne mette solo 17, gli altri indovina chi ce li mette, tenendo sempre presente
che da sole le quattro regioni produttive del nord regalano allo stato quanto tutte le altre 17 messe insieme
PRIMA IL NORD significa che i soldi del nord devono essere spesi prima di tutto per il nord
e che quindi devono essere spesi per il disinquinamento dall'amianto in Piemonte, prima che per quello
dei fumi a Taranto
anche perchè in Piemonte ci sono i piemontesi, e non i cinesi
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Confesso, o inclita Cla, che non ero a conoscenza di quest'ennesima tarantella... portuale (questi rifiuti poi dove finiranno?). Concedimi però che l'ultimo slogan della Lega la battuta te la serve sul classico piatto d'argento. E credo inoltre che sia di carattere generale, non riferito alla sola questione ILVA.
Lo slogan, anzi, l'associazione di idee che esso suggerisce, somiglia un po' a quanto disse una volta un tipo da queste parti durante un comizio: 'Ero consigliere comunale e mi vennero a bussare a casa [costruttori corruttori in quel di Salerno, donde proveniva l'oratore, n. del Peter]; si presentarono con cinque milioni [di lire, n. del Peter]; li mandai via!' Mi morsi le labbra per non dire: 'AO', ERANO POCHI?'
PS: In Piemonte sono tutti terùn, da decenni. | |
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De: skikko |
Enviado: 19/09/2012 00:27 |
le solite minkiate di claretta tirate fuori distorcendo fatti per piegarli alla sua bisogna
i cinesi stanno solo decidendo se usare taranto (ke è e rimane un porto italiano) come Hub nel mediterraneo
mancano infrastrutture ma se si concludesse (ke ancora nulla è deciso) si porterebbe rikkezza e lavoro per una buona parte della costa ionica italiana
pet...leggi la notizia qua e se vuoi approfondire segui i links, non dare retta a sta ballista in camiciola verde
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In effetti mi sembra di leggere posizioni assai differenti da quanto enuncia la Cla: dall'articolo si ricava che per i Cinesi utilizzare Taranto o un altro porto sarebbe la stessa cosa; anzi, l'editorialista Lao Xi o chi diavolo mai sarà suggerisce all'Italia di darsi una mossa per lo stesso bene suo e dell'Europa. No, non mi sembra che i Cinesi, sia quelli filogovernativi che quelli polemici con il regime, si vogliano comprare Taranto. |
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Detta in parole poverissime, i signori del made in china, cercano un punto d'appoggio nel mediterraneo, anzi, il miglior punto di appoggio e lo hanno individuato nella città di Taranto. Non sto qui ad elencare il contributo che porterebbe a questa città, alla Puglia, al meridione e oserei quasi dire, colpevole di bestemmiare, a tutta l'Italia. Se i numeri elencati di import- export sono quelli che si leggono, inviterei i cinesi a correre a Taranto e ad iniziare una collaborazione proficua, oso dire di nuovo, soprattutto per l'Italia. Oltre a risistemare un porto ormai in empasse, ne gioverebbe il trasporto su treno, su ruota, su nave. Senza pensare agli imbarazzantissimi posti di lavoro in più, credo nell'ordine di decine di migliaia, nell'inversione di rotta dei disoccupati cronici.
Ma è possibile che siamo sempre qui a tacciare i terroni di essere fannulloni nel dna e una volta che li si scrolla non va bene nemmeno questo?
Il Piemonte è per metà terrone, perché la Lombardia?
Non vorrei che si sbagliasse, portando avanti la solita politica dei raffazzonamenti. Si guardi alle opere magne e poi ai piccoli cantieri. L'intervento della Cina a Taranto è ossigeno puro e ben venga. |
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Bo'... secondo Saviano già usano alla grande Napoli, sebbene al nero, per l'abbigliamento. Però questo non vuol dire nulla: Taranto sarebbe a questo punto il terminal europeo ufficiale e, cacchio, c'è da farci sopra un bel pensierino, anche a proposito delle infrastrutture che si renderebbero necessarie come strade, autostrade e trullallero (soprattutto quest'ultimo). |
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Greggio Peter, ultimamente colta da mania di persecuzione, guardo tutte le etichette dei prodotti di abbigliamento e non, che compro. Ebbene sono tutti made in Italy ma confezionati in china.
E diciamocelo che fa comodo a tutti avere un lino, una seta, o un volgare cotone italiano cucito o zigzagato in cina. Costa un quarto!!! |
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De: fannie |
Enviado: 19/09/2012 09:54 |
consiglio di informarsi su tiscali
ho seguito un'intervista al fondatore, questo ha fatto una egregia operazione finanziaria con lo straniero invasore: visto che in italia non gli davano il becco di un quattrino, è ito in china, e ha trovato un investitore, col quale ha stipulato che avrebbe solamente utilizzato lavoratori italiani, pagati col denaro cinese...
ecco... |
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Ma se è per questo, a quanto mi riferiscono, in Cina se apri un'attività mi sembra che non paghi l'IVA per due anni. |
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Milano aveva solo 600 mila abitanti nel 45, ma va tenuto conto che il 30% delle abitazioni
era andato distrutto dai bombardamenti
tra il 50 e il 60 sono arrivati a Milano 250 000 meridionali, boss e picciotti compresi, oltre
due terzi di loro trovarono lavoro nell'edilizia, si adattavano a coabitazioni di massa, ma
ottenevano immediatamente la residenza e insieme la precedenza in graduatoria per
l'assegnazione delle case popolari, rispetto ai milanesi, che essendo sfollati oltre alla
casa avevano perso anche la residenza
e posso testimoniare in prima persona che, malgrado i 10 figli, noi milanesi che abitavamo
a 50km da Milano, in due vani di una cascina semidiroccata, non avevamo nessuna possibilità
di entrare in graduatoria, proprio perchè avevamo perso la residenza
ma l'avevamo persa perchè sia la nostra casa che quelle dei nonni erano state distrutte nei
bombardamenti del 1943
nel 1950 le case solo sinistrate sono state occupate dai meridionali, che avevano lasciato la
famiglia nei paesi di origine, ma bastava documentarne l'esistenza per ottenere punti in graduatoria
vabbè, sta di fatto che nel 60 Milano aveva già un milione di abitanti, ma i milanesi erano meno che
nel 1945
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PRIMA IL NORD = prima CHIUNQUE viva e lavori nel Nord !!
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