Oggi l’Italia ogni giorno di più si sta trasformando in un Paese del Terzo Mondo, ha imboccato la spirale di una crisi al di là della quale non si intravedono possibilità di rinascita a meno di una brusca e radicale rottura rispetto all’ordine di cose attualmente esistente.
Con gli inizi di dicembre siamo di fatto entrati non solo in una crisi di governo, ma in una campagna elettorale in vista delle elezioni politiche che dovevano tenersi ad aprile 2013 e forse si terranno a febbraio e dalle quali si sa già adesso che non potrà emergere che un Monti bis o un governo Bersani, il che in definitiva significa esattamente la stessa cosa.
I ritornelli di questa campagna elettorale tesi a carpire per l’ennesima volta la fiducia del popolino bue – secondo quanto pensano i nostri politici – del popolo scientemente e incoscientemente gabbato da un sistema mediatico prezzolato, affermo io, li conosciamo già, hanno da tempo preso a suonare la loro musica ripetitiva come un carillon: il governo Monti, questo governo che sta affossando l’economia italiana con una fiscalità spagnolesca, sarebbe nato per rimediare ai presunti disastri del precedente centrodestra che ha governato fino al novembre 2011, la medicina amara che gli Italiani devono oggi trangugiare sarebbe colpa dell’irresponsabilità manifestata dal governo Berlusconi fino a un anno fa, poi, a distanza di un anno (di fronte all’evidenza di un Paese ridotto al collasso da un anno di “cura Monti”, ma questo non si dice), il centrodestra avrebbe “staccato la spina” a un governo che non ha maggioranza parlamentare, facendo risalire lo spread, eccetera, eccetera, laddove invece il segretario del PD appena confermato candidato premier da quelle primarie che pur essendo un affare interno del suo partito sono state propagandate con una spropositata grancassa mediatica, era subito corso ad assicurare la sua lealtà fino a fine legislatura all’avvoltoio-premier in carica.
Morale della favola: la colpa di tutto, delle difficoltà che stanno travolgendo in maniera sempre più pesante le famiglie italiane, è sempre, tutta e solo di Berlusconi, e sono certo che appena entreremo un po’ più nel vivo di questa campagna elettorale, non solo “i compagni”, ma anche i quotidiani sedicenti indipendenti, i giornalisti RAI, eccetera eccetera, tutti i pennivendoli che fanno opinione, parleranno come se un anno di Monti non sia mai esistito.
Si tratta di una bufala, di una mistificazione, o per meglio dire, di una serie ben organizzata di mistificazioni.
Un punto vorrei fosse assolutamente chiaro: io non sono un berlusconiano: penso che Silvio Berlusconi e il suo partito grosso modo non siano né granché migliori né granché peggiori delle altre nullità che hanno governato l’Italia negli ultimi settant’anni. Cedendo facilmente alle pressioni che l’hanno spinto a passare la mano a Mario Monti nel novembre 2011, Berlusconi ha dimostrato di non avere la statura (non intendo in senso fisico!) di un vero leader. Inoltre, convinto com’era e com’è ancora oggi, di poter tornare in sella quando vuole, ha dimostrato di essere molto meno furbo di quanto si crede, di quanto lui stesso crede di essere, ma attribuirgli tutte le responsabilità della gravissima situazione che stiamo vivendo significa essere in malafede o disinformati, significa ignorare quelle pesantissime della sinistra.
Come imprenditore, io non sarei pronto a giurare sulla sua onestà e correttezza: è ben difficile costruire praticamente dal nulla una fortuna come la sua rimanendo nell’onestà e nella legalità, tuttavia è visibile che nei suoi confronti c’è stata una persecuzione giudiziaria da parte delle “toghe rosse” per conto di una sinistra che ha usato e usa la giustizia come succedaneo dell’azione politica. Io credo che un avversario politico vada combattuto con le armi della politica, non con montature processuali. Inoltre, quale credibilità può avere una magistratura così sfacciatamente di parte?
Tranne poche lodevoli eccezioni individuali, questa classe, questa “casta” giudiziaria è la stessa che ha perseguitato con montature senza fine Franco Freda, Stefano Delle Chiaie, Paolo Signorelli, e in compenso si è rifiutata di indagare sulla strage di via Acca Larenzia, sul rogo di Primavalle, su tanti episodi funesti che ci hanno colpiti negli “anni di piombo” ma anche sulle tangenti al PCI, sui “contributi” che lo stesso PCI riceveva dall’Unione Sovietica, sulla Gladio rossa, sulla trattativa stato-mafia che esponenti della sinistra allora al governo avrebbero condotto negli anni ’90 e via dicendo.
Un conteggio abbastanza semplice ci mostra che nel ventennio ormai intercorso dalla fine della Prima Repubblica e dalla sparizione dell’egemonia democristiana la sinistra degli ex comunisti (che è la forza egemone del centrosinistra, a differenza di quelli anteriori al 1992 che erano a guida democristiana) ha governato per circa 12 anni contro gli 8 complessivi del centrodestra guidati da Berlusconi; inoltre non si è mai interrotto il suo controllo su vasti pezzi dell’apparato dello stato, a cominciare dagli enti amministrativi, le regioni in primis. Di certo non può chiamarsi fuori senza mentire spudoratamente dalle sue gravissime responsabilità nello sfascio italiano.
Materialmente sappiamo bene come è cominciata questa crisi, anche se da ciò sembra che i commentatori politici siano perlopiù incapaci di (o forse non vogliono) trarre le conseguenze giuste. Di sfondo c’è il cappio che si è messa allegramente al collo la maggior parte dei Paesi europei con l’introduzione dell’euro, cioè la rinuncia alla propria sovranità monetaria, che ci pone tutti quanti nella stessa posizione dei Paesi del Terzo Mondo che devono pagare i loro debiti in valuta straniera, cioè in una valuta sulla quale non possono esercitare alcun controllo. Chi controlla l’emissione degli euro? La BCE vale a dire un’istituzione privata gestita dal grande capitale finanziario, che sfugge del tutto al controllo degli stati. Aggiungiamo che tutte le istituzioni europee sono di fatto inconsistenti e prive di potere effettivo a eccezione della BCE stessa, per cui quando diciamo UE potremmo anche dire BCE, e chiediamoci a che cosa e a chi gli stati nazionali europei stanno trasferendo parti sempre più consistenti della propria sovranità.
L’Italia ha aderito all’euro nelle condizioni più sfavorevoli alla nostra economia, con un tasso d’inflazione programmata al 2% e un tasso reale almeno decuplo. E chi era allora il commissario europeo che presiedette alla funesta operazione? Ma lui, l’uomo di punta della sinistra in quel periodo, che vantava già “il merito” di aver affossato l’IRI, l’ineffabile Romano Prodi!
Sempre in sottofondo, come pre-condizione, c’è la crisi innescata nel 2008 dallo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime negli USA e che il sistema bancario ha trasferito all’Europa vendendo ai risparmiatori i crediti inesigibili delle banche americane, scatole vuote e titoli tossici che spesso hanno inghiottito come in un gorgo i risparmi di una vita di moltissime persone.
Che Berlusconi non sia quella specie di orco che alla sinistra fa comodo rappresentare, non significa che sia un leader affidabile: non gli mancano strafottenza e superficialità, una visione rozza e schematica della politica, l’illusione di poter risolvere tutto a colpi di decisionismo, ecco quindi che ha preso nei confronti dell’Unione Europea un impegno quasi impossibile da mantenere, quello del pareggio del bilancio dello stato italiano, da trasformare addirittura in un impegno costituzionale. Un impegno quasi impossibile da mantenere perché l’Italia deve pagare gli interessi su un enorme debito pubblico gonfiatosi in decenni di malgoverno. Questo ha significato né più né meno che offrire il collo al vampiro.
Qui arriva il ruolo profondamente deleterio che la sinistra ha giocato (gioca e purtroppo continuerà a giocare) nella situazione italiana. La riduzione del debito, infatti, richiedeva (richiede e richiederà sempre più in futuro) tagli alle spese e ai servizi e un aggravio dell’imposizione fiscale, che già era la più alta d’Europa, e questo sullo sfondo di una situazione economica già di crisi non poteva significare altro che una brusca riduzione dei consumi, quindi la chiusura di molte aziende, un’impennata della disoccupazione, ulteriore contrazione dei consumi e via dicendo, il classico effetto domino, una spirale recessiva.
Sarebbe stato logico e ragionevole chiedere una dilazione, “tempi di rientro” più lunghi. Questo Berlusconi non l’ha potuto fare, l’Italia non l’ha potuto fare, e in conseguenza di ciò ci troviamo costretti a dissanguarci fino all’osso. Perché? Grazie alla sinistra!
In un qualsiasi Paese normale, dove la democrazia non è (ancora?) giunta alle sue più aberranti conseguenze, il governo governa e l’opposizione si oppone, esercita un ruolo di critica e di controllo, ma senza mettere in discussione la legittimità a governare di chi governa in base al consenso elettorale. Questo in Italia non è accaduto. Una sinistra avida di conseguire in maniera stabile e possibilmente perpetua il potere pregustato in seguito al crollo del sistema democristiano, si è vista rompere le uova nel paniere dalla comparsa sulla scena dell’outsider Berlusconi, e ha reagito mettendo in moto la macchina del fango, la “gioiosa macchina da guerra” della diffamazione che è la sua grande specialità, grazie al potere che le deriva dal controllo del sistema mediatico e della magistratura, ha riversato tonnellate di sterco non solo sull’uomo che sedeva a Palazzo Chigi e sul suo governo, ma anche sulla credibilità internazionale dell’Italia. Questa è la storia dell’ultimo ventennio.
Il danno che la sinistra ha provocato all’economia italiana, inutile dirlo, non si limita a questo singolo episodio peraltro gravissimo: il discredito internazionale che essa ha gettato sul nostro Paese ha avuto anche l’effetto di scoraggiare gli imprenditori stranieri, di deprezzare i nostri titoli di stato costringendoci quindi a pagare interessi più alti su un debito pubblico già pesante al limite del sopportabile, con un chiaro “ritorno” sulla pressione fiscale già gravosissima prima della “cura Monti”.
Berlusconi si è trovato nell’impossibilità di portare avanti la cura che avrebbe ammazzato il paziente – l’economia italiana – la stessa cura che oggi il signor Monti sta allegramente somministrando, perché la Lega non era disposta ad avallare una simile macelleria sociale, ecco allora che l’Italia è stata “commissariata” dalla BCE con l’imposizione del premier-commissario-avvoltoio Monti. Una cosa deve essere ben chiara; Monti è l’uomo della BCE, è dove si trova per fare gli interessi di quest’ultima, non quelli dell’Italia. Vi dirò di più: mi sembra improprio persino considerare Monti un italiano; non lo è, è un tipico esponente di quell’alto ceto di capitalismo bancario-finanziario che ha enormemente più a che fare con i suoi omologhi che hanno altre cittadinanze, piuttosto che con il popolo di cui teoricamente fa parte. Per gente della sua risma la cittadinanza è semplicemente un timbro su un documento, nulla di più, e non sarà certo l’amor patrio a trattenerlo dallo spremerci fino all’osso.
La BCE ha subito trovato la sinistra italiana pronta a farle da sponda, e in particolare il suo esponente più “autorevole”, quello che non è mai stato “il presidente di tutti gli Italiani”, Giorgio Napolitano che ancor prima che si aprisse la crisi di governo, ha provveduto a nominare Mario Monti senatore a vita. Il messaggio a Berlusconi che per inciso era comunque il premier di una maggioranza avallata dal voto popolare, era chiarissimo: “O te ne vai, o te ne vai”.
Bisogna dire qualche parola su quest’uomo che tutto sommato non è l’individuo più indegno che abbia ricoperto la suprema carica dello stato dal momento che in questo ruolo è stato preceduto da Oscar Luigi Scalfaro, un vecchio comunista che da quando è salito sullo scranno presidenziale ha dimostrato di aver ben assimilato l’ampollosità retorica di Scalfaro e Ciampi.
La fortuna, si dice, aiuta gli audaci, ma talvolta il destino cinico e baro premia immeritatamente le nullità. Napolitano ha dovuto la sua carriera nel PCI a una casuale somiglianza con l’ex re d’Italia Umberto II, ed è stato usato dal PCI come specchietto per le allodole per attirare verso la falce e martello le inconsce simpatie monarchiche dell’elettorato meridionale, o almeno così dicono i maligni che di solito ci azzeccano.
Forse ricorderete le circostanze che hanno portato l’illustre sosia al quirinale, altrimenti vi rinfresco io la memoria. Le elezioni politiche del 2006 furono “vinte” dal centrosinistra con una risicatissima maggioranza di non più di 20.000 voti ottenuta in maniera alquanto truffaldina grazie a una lista di pensionati che poco prima dell’apertura delle urne passò rocambolescamente dal centrodestra al centrosinistra portandosene appresso circa 50.000. Questa maggioranza risicatissima e blindata elesse Napolitano al Quirinale e diede vita al governo Prodi che, incapace di governare, dovette passare la mano e si ebbero le elezioni anticipate del 2008. Ora, pensateci bene: questa è la gente che si appresta a riprendere in mano l’Italia fra qualche mese. Purtroppo però, Napolitano è rimasto, inamovibile per un settennio.
Penso ricorderete la legislatura, la guerra di trincea 2001-2006, fatta di quotidiani assalti alla baionetta da parte di un’opposizione di centrosinistra che non intendeva lasciare al governo alcuna possibilità di governare, che avrebbe fatto ostruzione anche sui dieci comandamenti. Al confronto, quella dal 2008 al 2011 è stata un’opposizione quasi rilassata, e il motivo è ovvio: i “compagni” sapevano e sanno di avere in mano il Quirinale per vanificare azioni di governo loro sgradite.
Sempre dal Quirinale, prima di Napolitano, Oscar Luigi Scalfaro aveva dato un’eccellente dimostrazione del fatto che i democristiani quando vogliono sanno essere perfino peggiori dei comunisti. A questo esimio fucilatore di ragazzi della RSI non sarà parso vero, nel 1995, di avere l’occasione di stravolgere l’espressione della volontà popolare dando vita a quel pateracchio che fu il governo Dini, e così non sarà parso vero a Napolitano, un anno fa, di ricalcare le sue fetide orme.
Alcuni forse si domanderanno: ma è possibile, come si spiega, da dove nasce questa alleanza apparentemente innaturale fra la sinistra e il grande capitale finanziario e bancario internazionale? Può essere che dei lavoratori molti dei quali per un irrazionale atavico riflesso condizionato continuano a votare a sinistra, alla sinistra stessa non gliene freghi nulla? Chi si fa una simile domanda non ha compreso cosa è la sinistra, ma non possiamo fargliene una colpa, perché è vittima di “un’informazione” falsata e tendenziosa.
Da un certo punto di vista appare comprensibile che la sinistra “orfana” dal 1991 dei “socialismi reali” dell’Est europeo abbia visto nel grande capitale internazionale il nuovo “grande fratello” a cui allinearsi: molti degli obiettivi di quest’ultimo tesi a creare un unico grande mercato planetario somigliano molto ai suoi “ideali”: lo svuotamento del potere degli stati nazionali, la sparizione delle nazioni stesse e delle differenze culturali in un mondo ibridato e imbastardito, ma questa spiegazione, seppure giusta, è a mio parere ancora troppo incompleta.
Cerchiamo allora di capire insieme cos’è questa sinistra. Cominciamo col rilevare un fatto non secondario: altrove in Europa la sinistra è di matrice socialista o socialdemocratica, mentre in Italia è composta principalmente da ex comunisti. Secondo elemento basilare: questa sinistra sedicente ex comunista è sempre stata parte integrante del sistema di corruzione e di malaffare della politica italiana.
A beneficio soprattutto dei più giovani, sarà bene ricordare che in Italia, che aveva il dubbio onore di ospitare il più forte partito comunista dell’Europa occidentale, negli anni della Guerra Fredda, il lunghissimo periodo che va dal 1945 al 1991, si era creata una situazione di staticità del quadro politico con la Democrazia Cristiana, perno del sistema di potere permanentemente al governo, e il PCI che occupava quasi tutto lo spazio dell’opposizione. Questa situazione aveva oltremodo favorito lo sviluppo della corruzione e del malaffare in politica, dell’appropriazione indebita della cosa pubblica, delle tangenti, dei finanziamenti illeciti perché i politici non avevano di fatto da temere il giudizio elettorale. L’elettorato era quasi equamente ripartito fra quanti votavano comunista per rabbia verso il malgoverno democristiano e quanti votavano DC per la paura che l’Italia sotto il tallone comunista si trasformasse in una tirannide di tipo sovietico. In questo contesto, a molti il malgoverno democristiano appariva il male minore.
I dirigenti comunisti e democristiani si erano senza dubbio resi conto da un pezzo di questa situazione, e dell’interdipendenza reciproca che si era di fatto creata fra i due maggiori partiti, ed erano passati a quella che veniva chiamata “democrazia consociativa”: contrapposizione di facciata e accordi sottobanco, e sicuramente il PCI ha pescato nel torbido mettendo le mani sulla ricchezza prodotta dal lavoro degli Italiani agli stessi livelli della DC. In più, questa situazione permetteva ai comunisti di coniugare i vantaggi morali dell’opposizione (almeno apparente) con quelli concreti e sonanti del sottogoverno.
Tra gli uni e gli altri, i democristiani e i comunisti, c’era però una differenza essenziale: per la DC questa situazione poteva andare avanti benissimo per l’eternità, mentre per “i compagni” era comunque una condizione transitoria in vista della conquista totale e definitiva del potere.
Il crollo dell’Unione Sovietica ha cambiato le carte in tavola, perché la magistratura si è sentita le mani libere: la paura dell’Unione Sovietica agli Italiani era passata, la rabbia per il sistema di corruzione democristiano invece no.
Quando l’inchiesta giudiziaria “mani pulite” ha scoperchiato il pentolone degli affari sporchi della classe politica, come è successo che i democristiani, i socialisti e gli alleati minori della DC (socialdemocratici, liberali, repubblicani) abbiano pagato lo scotto della corruzione uscendone stritolati, mentre il PCI non solo non ne ha pagato il prezzo politico (a parte qualche rara “noia” giudiziaria a qualche dirigente più esposto) ma è rimasto la forza egemone della sinistra e passato attraverso varie modificazioni di facciata e cambi di denominazione: PDS, poi DS e oggi PD, sia diventato la forza che ha governato l’Italia per la maggior parte di questo ventennio? La risposta è semplice: grazie all’aiuto delle “toghe rosse”, gli amici che il PCI-PDS-DS-PD ha nella magistratura e che gli hanno permesso di occultare l’immondizia sotto il tappeto.
In un primo tempo, la magistratura indagò liberamente in tutte le direzioni. “Striscia la notizia” che, essendo un TG satirico, era – ed è – forse l’unico telegiornale serio esistente in Italia, teneva una singolare classifica degli avvisi di garanzia consegnati quotidianamente agli esponenti della DC, del PSI, del PCI; era in testa ora l’uno ora l’altro, ma in una situazione di sostanziale parità. Emerse chiaramente che tutta la classe politica: il PCI, la DC e i suoi alleati erano tutti coinvolti nel sistema della corruzione. Solo il MSI, “i fascisti” erano gli unici che non si erano sporcati le mani appropriandosi illecitamente del denaro pubblico, diedero indirettamente una lezione di moralità civica e di onestà alla “repubblica democratica e antifascista”.
Poi all’improvviso, di tutti gli affari sporchi in cui il PCI era coinvolto, non si è più parlato, è stato messo il silenziatore alla magistratura e alla stampa da quando l’inchiesta “mani pulite” fu avocata dal procuratore capo di Milano, dal “grande inquisitore” Francesco Saverio Borrelli e dai suoi tirapiedi Colombo, Davigo e Bocassini.
Tiziana Parenti che indagava sugli affari sporchi della Lega delle Cooperative, l’organo economico del PCI fu brutalmente estromessa dal pool “mani pulite”. Prima del 1991, tutti sapevano che qualunque imprenditore che voleva commerciare con l’est europeo, doveva pagare la tangente, il “pizzo” al PCI, secondo una procedura tipicamente mafiosa. Stranamente, di questo sistema di estorsioni, non si è più parlato. Il colmo del grottesco però forse le “toghe rosse” intente a nascondere sotto il tappeto l’immondizia comunista lo raggiunsero quando vennero in Italia i magistrati russi che indagavano sui finanziamenti illeciti versati dall’Unione Sovietica al PCI: non trovarono nessun collega italiano disposto a ricevere i loro atti: chi voleva indagare sugli affari sporchi del PCI, si trovava istantaneamente avvolto da un clima di intimidazione mafiosa.
Quando e come è successo che la sinistra ha voltato le spalle alle classi lavoratrici? Sorprendentemente, si può indicare una data precisa, il 1968. Questa è una tematica su cui sono tornato più volte, ma è bene avere le idee chiare al riguardo. La contestazione sessantottesca arrivò in Europa per imitazione delle proteste degli studenti dei campus americani che non volevano andare a combattere nel Vietnam, ma se quella che altrove fu una stagione, da noi durò dieci anni, venti almeno considerando anche la “coda” terroristica, è perché si saldava a situazioni preesistenti e ben altrimenti importanti. L’Italia, arrivata tardi nello sviluppo industriale, era diventata un Paese industrializzato solo negli anni ’60, e con l’industrializzazione erano arrivati il benessere e la scolarità di massa. I buoni semi piantati dal fascismo avevano finalmente cominciato a dare frutto nonostante “la gelata” della seconda guerra mondiale. La contestazione partì dagli atenei, guarda caso.
La combinazione della scolarità di massa con una scuola selettiva di estrazione gentiliana rischiava di essere esiziale per i “compagni” figli di papà. Un vasto “plateau” in grado di accedere alle scuole superiori fra cui scegliere i picchi delle eccellenze, avrebbe significato per costoro una difficoltà molto maggiore dei loro padri o nonni a riprodurre lo status sociale delle loro famiglie d’origine, molta più concorrenza in più, con il rischio che capacità e competenza contassero più dell’estrazione familiare.
La contestazione, distruggendo la selettività, distruggeva un canale fondamentale di promozione sociale, la scuola si trasformava in un distributore di diplomi-pezzi di carta svalutati che non avrebbero più garantito l’accesso alle professioni, e poiché il vertice della piramide sociale non può essere allargato a piacere, ecco che la selettività cacciata dalla porta della scuola, ricompariva/ricompare nella società affidata a strumenti molto meno equi: l’origine familiare, amicizie, raccomandazioni, tessere di partito, magari affiliazioni mafiose.
Si è trattato di un’operazione di conservazione sociale travestita da fenomeno rivoluzionario, compiuta da tanti piccoli Metternich in sedicesimo mascherati da Filippo Buonarroti e da Bakunin. Si concretizzò un pactum sceleris fra i contestatori e la sinistra, un affare conveniente per entrambi: in cambio dell’avallo “rivoluzionario” a questi ultimi, ne ricavava una robusta iniezione di marxismo in tutti i gangli della cultura e della società italiana, una generazione di futuri uomini di apparato, un’entrata privilegiata in tutti i meccanismi del potere e della formazione del consenso, dai “media” alla scuola, alla magistratura.
Chi ci ha rimesso, ha continuato a rimetterci, ci rimette ancora oggi, sono le classi lavoratrici che si sono viste private di un’importante mezzo di promozione sociale per i loro figli, e l’Italia nel suo complesso, che si è vista privata della possibilità di avere una classe dirigente degna, valida, capace, competente.
Gli effetti si vedono bene alla lunga distanza: pensiamo che da allora in Italia è scomparsa l’innovazione tecnologica, necessari a una nazione a economia industriale per rimanere competitiva, soprattutto oggi che in una situazione di mercato globale le produzioni a bassa tecnologia, dall’agroalimentare all’abbigliamento, rischiano di sparire sotto l’incalzare della concorrenza del Terzo Mondo dove la manodopera ha costi bassissimi. Di fatto, abbiamo imboccato la via del sottosviluppo.
Ci dobbiamo forse stupire che la sinistra compia tutte le scelte di politica nazionale e internazionale che favoriscono gli interessi del grande capitale bancario e finanziario? Per forza, sono loro, almeno quelli che contano, anche se come massa di manovra esiste la pletora degli ingenui che credono ancora che essa tuteli le masse lavoratrici.
Alcuni esempi recenti e meno recenti rendono bene l’idea. Pensiamo a Carlo De Benedetti, che con le sue operazioni disinvolte ha distrutto una delle più importanti industrie italiane quale fu la Olivetti, grande sponsor de “La Repubblica” e de “L’Espresso”, la tana mediatica di tutto il sinistrume radical-chic. Un caso analogo è rappresentato dal “Corriere della sera”; il presunto maggior quotidiano “indipendente” italiano è da decenni schierato a sinistra, spesso con un livore contro il centro-destra e quanti avversano il potere “rosso” in Italia, da reggere tranquillamente il confronto con “L’Unità” e “La Repubblica”. Qualche anno fa in un’intervista televisiva, Paolo Mieli, ex direttore del “Corriere” raccontò che Berlusconi aveva varie volte tentato la scalata all’assetto societario del “Corriere”, sempre invano perché la sua proprietà è saldamente in mano a una dozzina di famiglie della più alta borghesia milanese.
Nel 2006, la Confindustria, per bocca di Diego Dellavalle suo portavoce di fatto, “scomunicò” pubblicamente Silvio Berlusconi e il suo governo, e questa “scomunica” ebbe con ogni probabilità un peso determinante nel portarci al biennio di governo Prodi e alla presidenza Napolitano. Con la sua entrata in campo da outsider, Berlusconi ha certamente sparigliato il gioco della sinistra, ma d’altra parte le ha fatto anche un grande regalo, le ha dato un bersaglio, un capitalista con cui prendersela per mascherare il fatto di essere d’accordo con tutti gli altri.
Attualmente, appena confermato candidato premier dalle primarie del PD, Pierluigi Bersani è corso da Monti per garantirgli la lealtà del suo partito, la lealtà a un governo che non solo tra tagli e imposizione fiscale è riuscito a portare l’economia italiana in recessione, ma ha imposto tagli e tasse in maniera fortemente iniqua dal punto di vista sociale, senza tagliare minimamente i costi e i privilegi della casta politica, e ha deciso di non far pagare l’IMU alle banche perché “enti benefici”, vere e proprie ONLUS, come sappiamo.
Chi ha ancora in testa l’immagine della sinistra operaista di un secolo fa, ha una visione che oggi è del tutto al di fuori della realtà.
Tuttavia questa “mutazione genetica” era in un certo senso inevitabile, era già iscritta nel DNA della sinistra. Ancora una volta occorre, per così dire, ripassare i fondamentali, ritornare su concetti sui quali mi sono espresso più volte: la forma della piramide sociale non può essere decisa da mezzi politici, essa dipende dalle condizioni economiche e tecnologiche della società. Ciò che la politica può invece decidere, sono i criteri di accesso alle classi superiori e alla classe dirigente. Tutte le società si possono disporre a vari livelli lungo una scala che va dalla società di caste a mobilità sociale assente alla società di élite funzionali dove la collocazione sociale di una persona dipende esclusivamente da abilità, attitudini e meriti. L’egualitarismo di stampo marxista è l’esatto contrario della vera uguaglianza, l’unica che può esistere veramente: uguali possibilità di farsi valere in base alle capacità e al merito.
Voltando le spalle alla società di élite, il marxismo ripropone inevitabilmente la società di caste; il “socialismo reale” non ha tradito Marx, lo ha solo applicato, e il suo modello più esemplare è stato forse rappresentato dalla Romania di Ceaucescu e dal palazzo presidenziale più grande della reggia di Versailles che sorgeva a Bucarest circondato dalle baracche miserabili di un popolo stremato. Dobbiamo stupirci che nella sinistra italiana si sia manifestata e si manifesti la stessa tendenza?
Oggi Berlusconi tenta la sua ennesima discesa in campo. Quando ha passato la mano a Monti perché c’erano dei provvedimenti impopolari da prendere, era convinto di poter rimontare in sella quando avesse voluto, si ritiene molto più furbo, come ho detto, di quanto effettivamente non sia, gli manca soprattutto il senso dei propri limiti, non ha voluto capire che una volta mollate le redini non avrebbe potuto tornare a riprenderle in mano. Oggi, con il PDL attorno al 10%, dopo aver rotto insanabilmente con Casini, con Fini, dopo che i rapporti sono diventati gelidi anche con la Lega, ha tante possibilità di tornare ad essere presidente del Consiglio quante ne ho io di diventarlo, ma il suo fantasma sarà per la sinistra uno spauracchio molto comodo da agitare, uno zimbello su cui gettare tutte le colpe, le sue e quelle dei suoi avversari, dimostra di preferire una sconfitta umiliante a un dignitoso ritiro, eppure una semplice occhiata ai sondaggi e soprattutto ai risultati del test delle elezioni siciliane avrebbe dovuto fargli capire che sul suo sogno di tonare a palazzo Chigi avrebbe potuto farci una croce sopra, anzi una Crocetta.
Che Berlusconi se ne renda conto o no, politicamente è un morto che cammina, uno zombi, e la prossima tornata elettorale sarà il suo Miglio Verde.
Non si sa bene per quale motivo, ma è un fatto che la Sicilia è sempre stata il laboratorio dove sono state sperimentate le soluzioni e le alchimie poi usate a livello nazionale da questa democrazia che più cambia più è uguale a se stessa. Le elezioni siciliane ci fanno capire quale sarà la formula che governerà l’Italia dalla prossima primavera: un centrosinistra con l’appoggio esterno (magari non dichiarato) del Movimento Cinque Stelle. Tutto come da copione, l’unica cosa che forse sorprende è la rapidità con cui il movimento di Beppe Grillo è passato dall’antipolitica a componente e pilastro del sistema.
Il governo Bersani che avremo dalla prossima primavera (con o senza l’appoggio esterno di Beppe Grillo) non farà altro che proseguire la politica del suo predecessore; anche se avesse voglia di fare una politica diversa – e sicuramente non ce l’ha – i “paletti” messi dalla UE non glielo permetterebbero.
Per salvare l’Italia dal baratro in cui stiamo sprofondando, occorrerebbe una politica del tutto diversa: dovremmo recuperare la sovranità monetaria e sganciarci da questa UE che non è l’Europa ma uno strumento per sfruttarla. Ci ritroveremmo da soli, potendo contare solo sulle nostre risorse, sulla laboriosità, sulla creatività, sull’intelligenza del nostro popolo. Dovremmo affrontare alcuni anni non meno duri di quelli che stiamo vivendo ma, padroni di noi stessi, potremmo riprendere la strada dello sviluppo, mentre proseguendo sulla strada attuale, quello che possiamo aspettarci è di sprofondare sempre più nel baratro, con gli euro-vampiri che ci faranno balenare davanti agli occhi lo specchietto per le allodole di una ripresa sempre dietro l’angolo e sempre rinviata.
Ma un’alternativa non può venire da sinistra: la sinistra è il problema, o almeno una parte non piccola di esso.
Autore: Fabio Calabrese