La quiete della brezza fredda che rendeva l’aria tersa incoraggiava il sole, rendendone piacevole il leggero tepore; c’era aroma di legno fresco rilasciato dai ceppi spaccati che, in un grosso mucchio, ingombravano l’aia. Spuntoni di gambi di mais, oramai rinsecchiti e decomposti dalla crudeltà dell’inverno, ricordavano, nel campo adiacente alla cascina, dove macchie di verde s’allargavano ogni giorno di più, colorando il campo di piccoli numerosi fiorellini blù, antichi fasti irrimediabilmente perduti.
Piccoli fiori insignificanti, ma li chiamavano ‘gli occhi della Madonna’.
Era vecchia, la ‘nonnacampagna’, vestita sempre di nero, grembiule grigio ed un fazzoletto scuro che avvolgeva i capelli. S’addentrò nel campo, frugando fra le macchie di verde, raccogliendo ogni tanto dei piccoli ciuffetti che metteva nel grembiule, tenuto in una mano all’estremità, a mo’ di borsa. La terra cominciava ad asciugarsi e l’aria s’arricchiva di profumo di nuovo. M’allontanai, avvicinandomi al ciglio del fosso, dove ceppi senza rami raccontavano la fatica del taglio della legna. Una spanna d’acqua scorreva, e piccole macchie bianche adornavano le sponde. Raccolsi un bucaneve, bianco, una campanella rovesciata col bordo orlato di punte verde pallido. Profumato; dal picciolo reciso fuoriusciva linfa densa. Più in là una nuvola verde di anemoni approfittava del sole che col tempo le fronde degli alberi avrebbero negato, e i piccoli fiori godevano della rinascita, pronti a richiudersi alla sera, per ripararsi dal freddo della notte ancora arrogante.
Ne raccolse anche lei, dopo che ebbe finito con la valeriana. Un piccolo mazzo che legò con del refe tirato fuori da chissà dove. Entrò in casa e depositò la verdura in un cesto di vimini; mise i fiori in un vasetto con dell’acqua; sull’armadio c’era un quadretto con il nonno. Mi chiamava ‘cinì’, ma me lo ricordavo più appassito, e non riuscivo a capire perché non sentissi più il suo richiamo.
Andò al fosso e cominciò a pulire la valeriana, togliendo radichette e foglie gialle, immergendo piantina per piantina nell’acqua corrente per pulirla. Lavò, alla fine, pure il cesto e vi mise la verdura pulita.
Le galline cantavano sempre più spesso, nel pollaio.
La camera era unica, per ‘mama e bubà’ e per i figli; c’era anche il mucchio del mais e il baldacchino.
Prese uno sgabello e vi salì sopra. Toccò un paio di salami e ne staccò uno, annusandolo e controllando il colore della muffa. Bubà sapeva sempre di tabacco forte e sudore.
Nella grande cucina la stufa accesa allungava il ricordo del tepore del sole, e nella pentola già bollivano una mezza dozzina di uova.
La cena era lì: valeriana di campo, uova sode e salame a fette di mezzo centimetro l’una; la promessa di primavera accentuava gli aromi, rendendo allegro il pasto.
La luce fioca della lucerna, nella sera inoltrata, sbiadiva il suo profilo, seduta accanto all’armadio dove il profumo dolce dei piccoli fiori forse ridava vita ad un ricordo incorniciato di tristezza e nostalgia.
Bisbigliava qualcosa di misterioso, ed il dormiveglia, dove oramai i sogni avevano quasi del tutto sopraffatto la realtà, mi portò il sapore di un richiamo lontano.
‘Cinìiiiiii…..’