Le piante pensano e prendono decisioni, questa è l’ultima sensazionale scoperta che cambierà non poco le carte
(o le piatenze) in tavola ai vegetariani (e non solo). Secondo una ricerca condotta dall’Università di Firenze
in collaborazione con L’università di Bonn, le piante hanno un cervello e si troverebbe nelle radici.
Riporto alcuni tratti interessanti degli articoli che parlano della notizia.
Altro che vegetare: le piante pensano e prendono decisioni .Sono creature intelligenti che sentono, dialogano, calcolano.
A modo loro, pensano».Cosa si dicono? «Lanciano avvertimenti, scambiano informazioni, si dicono cose come
”stai lontana che questa zona è mia”, “stiamo attenti perchè è in arrivo una colonia di insetti erbivori”, “qui fa troppo caldo”,
“qui fa troppo freddo”, “spostiamoci perchè non c’è abbastanza acqua”, “qui ci sono inquinanti e non si vive bene”».
Questo significa che hanno un linguaggio proprio e che quindi possegono un relativo sistema di rappresentazioni,
prova inequivocabile che dispongono della capacità di giudizio. Hanno anche loro un Io o se vogliamo un punto di vista.
Nelle piante è stata infatti scoperta un’attività di tipo neurale che utilizza neurotrasmettitori e sinapsi a partire dalla estremità
delle radici. "I meccanismi di questa sensibilità - spiega Mancuso - non erano mai stati studiati ed analizzati,
come invece è stato fatto con queste ricerche che aprono oggi un nuovo orizzonte scientifico di immenso interesse".
Su ogni singola punta delle radici (il nome è apice radicale) c’è un gruppo di cellule che comunica usando neurotrasmettitori,
proprio come i nostri neuroni; e queste cellule elaborano e rispondono alle informazioni che arrivano qui da tutta la pianta.
Ciascun apice è autonomo, ma può anche coordinarsi con gli altri. Un vero e proprio cervello diffuso il cui funzionamento
a rete ricorda quello di internet, e che permette agli alberi non solo di comunicare, ma persino di avere una memoria e una
sorta di autocoscienza. L’impulso scorre nel cervello della pianta attraverso molecole, i neurotrasmettitori, molti dei quali
sono gli stessi con cui comunicano i neuroni animali. «In questi apici troviamo glutammato, glicina, sinaptotagmina, gaba,
acetilcolina. Ci siamo chiesti: che cosa ci stanno a fare, se le piante non hanno una trasmissione sinaptica?»
racconta il ricercatore. Se era noto che i vegetali producono sostanze attive neurologicamente, come caffeina,
teina o cannabina, la scoperta di neurotrasmettitori ha evidenziato l’attività neurale". Anche il ruolo del più importante
ormone vegetale finora conosciuto, l’auxina, è stato ridefinito. Baluska: «Permette alla pianta di accrescersi o di emettere
nuove radici ed è un neurotrasmettitore specifico dei vegetali, molto simile alle nostre melatonina o serotonina».
«è tempo di dare il benvenuto alle piante nel novero degli organismi intelligenti» afferma Peter Barlow,
della School of biological science dell’Università di Bonn. Una prova di «intelligenza vegetale», del resto, è il comportamento
in caso di difficoltà. Le piante agiscono infatti con lo stesso sistema prova-errore degli animali: davanti a un problema
procedono per tentativi fino a trovare la soluzione ottimale di cui, poi, si ricordano quando si presenta una situazione simile.
Se per esempio manca acqua, aumentano lo spessore dell’epidermide, ne chiudono le aperture, gli stomi, evitando
la traspirazione. Riducono poi il numero di foglie aumentando quello delle radici per esplorare zone vicine."
Quindi i processi biologici delle piante non sono del tutto meccanici ma le piante ci "mettono del loro". Le piante scelgono.
Tenendo conto di tutti questi stimoli l’apice decide cosa fare. Decisione che viene anche dal ricordo: una pianta che ha già
affrontato un certo problema è in grado di rispondere in modo più efficiente. «Questa caratteristica» ricorda Mancuso «era nota:
si parlava di acclimatazione. Per esempio, l’olivo a ottobre-novembre si modifica per affrontare l’inverno. Finora lo si spiegava
come una risposta meccanica alle variazioni ambientali. In realtà la pianta decide di farlo quando sente le condizioni
che ha memorizzato». Quindi non solo la pianta è in grado di imparare, analizzare, fare collegamenti e memorizzare,
ma è in grado di controllare il suo sviluppo al di là delle condizioni e gli impulsi che vengono dall’ambiente in cui si trova.
una prova che l’evoluzione non è un processo esclusivamente involontario. Viene da chiedersi, però, se non si tratti di stimoli
puramente meccanici. «No, si tratta di un comportamento intelligente» sostiene Mancuso. «Se le radici dovessero
solo trovare acqua, potrebbe essere automatico. Ma devono anche cercare ossigeno, nutrienti minerali, crescere secondo
il senso della gravità, evitare attacchi E valutare quindi contemporaneamente le comunicazioni chimiche che le piante
si scambiano attraverso l’aria e la terra: messaggi sullo stato di salute o sui parassiti. Se sono attaccate da patogeni,
comunicano alle simili della stessa specie con gas e sostanze volatili che c’è un pericolo, invitandole ad aumentare
le difese immunitarie. I vegetali, così, dimostrano di essere anche sociali» Sociali ma non necessariamente socievoli.
Essendo esseri territoriali, le piante si mandano segnali del tipo «qui ci sono io», emettendo sostanze disciolte nel terreno.
Le radici intercettano le comunicazioni, capiscono se hanno vicino una pianta della stessa specie, e in tal caso la reazione
è blanda, oppure se è un’avversaria, e allora diventano aggressive fino a lanciare sostanze velenose. Le piante hanno anche
una certa coscienza di se. Diversi esperimenti hanno mostrato che, prendendone due geneticamente identiche,
due cloni, e mettendole accanto, quella che è messa in ombra dall’altra si muove alla ricerca di luce.
Se invece si accorge di essere essa stessa a farsi ombra con un ramo, nulla accade.
Ma tutte le piante sono ugualmente dotate? Un filo d’erba ha lo stesso Q.I. di una quercia centenaria?
«è possibile che ci siano piante più intelligenti, ma ancora non lo sappiamo» riconosce Mancuso.
«Per misurare il quoziente intellettivo di un ratto lo si mette in un labirinto e si guarda quanto impiega
ad arrivare al cibo. Si è visto che una radice di mais inserita in un labirinto la cui meta era dell’azoto ci arrivava
senza sbagliare, trovando la via più corta: in questo caso si tratta di organi di senso più raffinati».
E si anche le piante hanno un quoziente intellettivo «Siamo appena all’inizio di una rivoluzione nel nostro modo
di pensare alle piante» commenta Dieter Volkmann, del gruppo di Bonn. Questi studi, oltre a rivoluzionare le conoscenze
sulle piante, hanno ricadute anche sull’uomo. I neuroni verdi possono fungere da modello per sperimentare terapie
contro malattie degenerative del sistema nervoso, come il morbo di Parkinson e di Alzheimer..". «Gli animali vengono utilizzati
con successo, in questo tipo di studi. Usare le piante non è però un regresso nella scala evolutiva» dice Mancuso.
«Una cellula neuronale vegetale è sì un modello semplificato di neurone, ma proprio per questo consente di individuarne
più facilmente i meccanismi. Non ci sono problemi di vivisezione e le cellule delle piante sono facilmente
trasformabili geneticamente, caratteristiche che potrebbero farne un materiale da laboratorio valido dalla ricerca
di base alle applicazioni terapeutiche..Il Medical research council di Cambridge, il laboratorio di biologia molecolare
fucina di premi Nobel, collabora con noi in questo campo». Non è finita: i neuroni delle piante potrebbero presto
diventare un modello anche per gli studi sull’intelligenza artificiale". Nasce la Neurobiologia Vegetale:
sinapsi, neurotrasmettitori, calcolo distribuito e memoria nelle piante. Nel 1880 Charles Darwin propose
che gli apici radicali rappresentassero una sorta di cervello diffuso delle piante in grado di percepire
segnali multipli dall’ambiente circostante e di prendere, sulla base di questi, decisioni in merito alle strategie da seguire.
Se Mancuno dice che anche le piante pensano, io dico che qualsiasi essere vivente riconosciuto tale è un essere pensante.
Ciò che rende possibile l’esistenza è innanzitutto la percezione, strumento con il quale testimoniamo la nostra e la presenza degli altri .
Sia la coscienza di se che la percezione degli altri è un requisito fondamentale per l’azione, perchè da questa doppia
percezione accediamo alla capacità di agire. Senza di essa non saremmo in grado di "vivere" con gli altri,
( e con noi) cioè di interagire con loro. Ma la molteplicità degli esseri ci costringe per forza di cose a scegliere verso chi
indirizzare le nostre azioni. Per cui Una scelta non pùò essere fatta senza aver valutato la scelta. Valutare significa giudicare
e il giudizio è il processo necessario che ogni soggetto pensante deve fare prima di compiere un azione. Perchè il giudizio
precede l’azione e ogni azione è preceduta da un giudizio. Da questo si può sostenere che ogni essere in grado di agire,
qualunque esso sia, pensa.