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De: solidea (Mensaje original) |
Enviado: 04/07/2010 06:43 |
Giuseppe Garibaldi
(Nizza, 4 luglio 1807 – Isola di Caprera, 2 giugno 1882) è stato un
diede al proprio asino, "Pionono", e dal fatto che egli si riferisse al
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« la più nociva fra le creature, perché egli, più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza fra gli uomini e popoli » |
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(Giuseppe Garibaldi, Memorie, BUR
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papato e il clero e, in particolare, verso Pio IX è testimoniato dal nome che Garibaldi
pontefice usando la locuzione «un metro cubo di letame», oppure con la frase
Anche noto con l'appellativo di Eroe dei due mondi, per le sue imprese militari compiute sia in Europa, sia in America meridionale, è la figura più rilevante del Risorgimento, ed è uno dei personaggi storici italiani più celebri nel mondo.
È considerato, insieme a Giuseppe Mazzini, Vittorio Emanuele II e Cavour, uno dei padri della Patria.
Garibaldi nacque a Nizza, quando la città era parte del Primo Impero (tornata al Regno di Sardegna dopo il Congresso di Vienna (1815), restò sotto il governo dei Savoia fino al 1860). Era il secondogenito di Domenico, capitano di cabotaggio immigrato da Chiavari, e Rosa Raimondi, originaria di Loano. Angelo era il nome di suo fratello maggiore, mentre dopo Giuseppe nacquero altri due maschi, Michele e Felice, e due bambine morte in tenera età. I genitori avrebbero voluto avviare Giuseppe alla carriera di avvocato, di medico o prete. Ma il figlio amava poco gli studi e prediligeva gli esercizi fisici e la vita di mare, essendo come lui stesso ebbe a dire «più amico del divertimento che dello studio». Vedendosi ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, tentò di fuggire per mare verso Genova con alcuni compagni, ma fu fermato e ricondotto a casa. Tuttavia, si appassionò all'insegnamento dei suoi primi precettori, soprattutto del signor Arena, un reduce delle campagne napoleoniche, che gli impartì lezioni d'italiano e di storia antica. Rimarrà soprattutto affascinato dall'antica Roma.Convinto il padre a lasciargli seguire la carriera marittima a Genova, fu iscritto nel registro dei mozzi nel 1821. A sedici anni, nel 1824, si imbarcò sulla Costanza, comandata da Angelo Pesante di Sanremo, che Garibaldi avrebbe in seguito descritto come «il migliore capitano di mare». Nel suo primo viaggio si spinse fino a Odessa nel mar Nero .Tra il dicembre 1835 ed il 1848 per le sue idee rivoluzionarie Garibaldi trascorse un lungo esilio in Sud America. Prima a Rio de Janeiro, accolto dalla piccola comunità di italiani aderenti alla Giovine Italia.Poi, il 4 maggio 1837, ottenne una 'patente di corsa' dal governo della Repubblica Riograndense (Rio Grande do Sul), ribelle all'autorità dell'Impero del Brasile, e prese a sfidare un impero con il suo peschereccio, battezzato Mazzini.Dopo molti episodi, inclusa una fuga in Uruguay, e poi a Gualeguay, in Argentina, prese parte alle sue prime battaglie sulla terraferma. L'11 aprile 1838 respinse un intero battaglione dell'esercito imperiale brasiliano ("Battaglia del Galpon de Xarqueada"). Partecipò, quindi, alla campagna che portò alla presa di Laguna, capitale dell'attigua provincia di Santa Caterina, il 25 luglio 1839.Il 15 novembre l'esercito imperiale riconquistò la città, e i repubblicani ripararono sugli altipiani, ove si svolsero battaglie che ebbero esiti alterni. In particolare, Garibaldi fu impegnato per la prima volta in un combattimento esclusivamente terrestre, nei pressi di Forquillas: attaccò con i suoi marinai il nemico e lo costrinse alla ritirata.
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« Garibaldi è un uomo capace di trionfare in qualsiasi impresa. » |
Giuseppe ed Anita si erano conosciuti a Laguna nel 1839, quando la giovane donna aveva diciotto anni ed era sposata (o fidanzata: la cosa non è storicamente chiarita) a un calzolaio. In circostanze che lo stesso Garibaldi nelle sue Memorie tenne volutamente ambigue, Anita abbandonò il marito (o fidanzato che fosse) probabilmente il giorno stesso in cui incontrò il capitano corsaro. È spesso raccontato il fatto che Anita, abile cavallerizza, insegnò a cavalcare al marinaio italiano, fino ad allora del tutto inesperto di equitazione. Giuseppe a sua volta la istruì, per volontà o per necessità, ai rudimenti della vita militare. Garibaldi e Anita ebbero quattro figli, tra i quali una femmina che morì durante un'epidemia di vaiolo. Garibaldi rientrò in Italia nel 1848, poco dopo lo scoppio della prima guerra di indipendenza. Qualche mese prima della sua partenza aveva fatto imbarcare Anita e i tre figli su una nave diretta a Nizza, dove furono affidati per qualche tempo alle cure della famiglia di lui.Tornato dunque in Europa per partecipare alla prima guerra di indipendenza contro gli austriaci, Garibaldi si recò il 5 luglio a Roverbella, nei pressi di Mantova, per offrirsi volontario al re Carlo Alberto che, avvertito dai consiglieri della sua partecipazione all'insurrezione di Genova, lo respinse.Partecipò comunque alla guerra come volontario al servizio del governo provvisorio di Milano. Con la Legione che aveva organizzato ottenne due piccoli successi tattici, sugli Austriaci del d'Aspre, a Luino e Morazzone.La "trafila" rappresentò una delle pagine più drammatiche e dolorose di tutta l'avventura terrena di Garibaldi. Rimasto solo con Anita incinta e con il fedelissimo "Leggero", braccati com'erano dalla polizia papalina e, ancora una volta, dalle truppe del tenente-feldmaresciallo d'Aspre, che comandava il corpo di occupazione austriaco in Toscana, Garibaldi perse la moglie, che morì nelle paludi delle Valli di Comacchio, spossata dalla fuga e dalla gravidanza.Al pianto disperato di Garibaldi, che non voleva abbandonare il cadavere della donna, "Leggero" lo avrebbe sollecitato a proseguire la fuga e a mettersi in salvo dicendogli: «Generale, per i vostri figli, per l'Italia...»Garibaldi tornò in Italia nel 1854. Comprò metà dell'isola di Caprera (isola dell'arcipelago sardo di La Maddalena) con un'eredità di 35 mila lire. Partendo dalla casa di un pastore costruì, insieme a 30 amici, una fattoria.Si mise a fare il contadino, il fabbro e l'allevatore: possedeva un uliveto con circa 100 alberi d'ulivo, si occupava di un vigneto con cui produceva anche un buon vino e allevava 150 bovini, 400 polli, 200 capre, 50 maiali e più di 60 asini.Cinque anni dopo partecipò alla seconda guerra d'indipendenza (maggio-giugno 1859) guidando in una brillante campagna nella Lombardia settentrionale, i Cacciatori delle Alpi. Dopo aver sconfitto gli austriaci nella battaglia di San Fermo occupò la città di Como.In seguito alla vittoria dei franco-piemontesi sull'esercito austriaco, i piemontesi occuparono militarmente la Legazione delle Romagne [6]. Vittorio Emanuele incaricò Garibaldi di controllare il confine tra il Riminese ed il Pesarese, dove cominciava lo Stato della Chiesa. Garibaldi andò oltre i propri compiti, profondendosi nell'attacco di Marche e Umbria. L'iniziativa era prematura ed improvvida (assente il consenso di Napoleone III) e venne bloccata dal generale Manfredo Fanti. Per evitare di creare imbarazzi al governo torinese, Garibaldi fu convinto a dimettersi dal comando in seconda della Lega dell'Italia Centrale.Nel 1860 Garibaldi organizzò una spedizione per conquistare il Regno delle Due Sicilie.Garibaldi incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, A Teano Ponte S.Nicola e gli consegnò la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. Garibaldi accompagnò poi il re a Napoli il 7 novembre e, il giorno seguente, si ritirò nell'isola di Caprera, rifiutando di accettare qualsiasi ricompensa per i suoi servigi. Tale atteggiamento basta da solo a confermare come egli non avesse mai immaginato di formare una repubblica garibaldina in Sicilia o a Napoli, bensì restare fedele al motto che aveva fatto proprio all'inizio del 1859: Italia e Vittorio Emanuele.Nel 1880 ufficializza la sua unione con la piemontese Francesca Armosino, sua compagna da 14 anni e dalla quale ebbe tre figli; di cui la prima Clelia Garibaldi, dedicherà alla sua memoria l'intera sua vita e racconterà in un libro Mio padre gli ultimi anni della sua vita in cui l'eroe dei due mondi si trasforma da condottiero a padre amorevole e marito affettuoso. Fu affetto negli ultimi anni di vita da una grave forma di artrite che lo costringeva su una poltrona a rotelle.La sua ultima campagna politica riguardò l'allargamento del diritto di voto, nella quale impegnò l'immenso prestigio e la fama mondiale conquistate con le sue incredibili vittorie. Accentuò inoltre la polemica anticristiana intervenendo, come ospite d'onore, a varie riunioni della Società Nazionale Anticlericale.Si era auto-esiliato nell'Italia che egli aveva costruito perché il regno d'Italia lo aveva preferito in disparte. Morì a Caprera il 2 giugno 1882, con lo sguardo rivolto intenzionalmente verso la Corsica. Nel testamento, una copia del quale è esposta nella casa-museo sull'isola di Caprera, Garibaldi chiedeva espressamente la cremazione delle proprie spoglie. Desiderio disatteso dalla famiglia, pare pressata da Francesco Crispi, che preferì, addirittura, farlo imbalsamare. Attualmente la salma giace a Caprera in un sepolcro chiuso da una massiccia pietra grezza di granito. Sembra che negli anni trenta sia stata effettuata una ricognizione della salma, che sarebbe stata trovata in perfetto stato di conservazione Garibaldi, massone ed anticlericale convinto, inserì nel proprio testamento anche alcuni passaggi tesi a sventare eventuali tentativi di conversione alla religione cattolica negli ultimi attimi della vita:
« Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada »
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Mia madre Nelle circostanze più terribili della mia vita, quando l’oceano ruggiva sotto la carena, contro i fianchi della mia nave, sollevata come un sughero; quando le palle fischiavano alle mie orecchie e piovevano a me d’intorno fitte come la gragnola, io vedevo sempre mia madre inginocchiata, immersa e nella preghiera, ai piedi dell’Altissimo. Ed in me, quello che trasfondeva quel coraggio, di cui anch’io rimanevo stupito, era la convinzione che non poteva cogliermi alcuna disgrazia, mentre una così santa donna, un tale angelo pregava per me.
Giuseppe Garibaldi |
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