Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello
fu il principale protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione civile della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Essendo un personaggio di grande rilevanza nel panorama folkloristico di Napoli, le vicende della sua vita si mescolano spesso al mito e alla tradizione popolare della città partenopea.Quella di Masaniello non fu una rivolta antispagnola e repubblicana, come avrebbe voluto la storiografia dell'Ottocento che, profondamente influenzata dai valori risorgimentali, vedeva in lui un patriota ribellatosi alla dominazione straniera. La rivolta fu scatenata dall'esasperazione delle classi più umili verso le gabelle imposte sugli alimenti di necessario consumo. Il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva il re di Spagna, mora il malgoverno», secondo Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le rivendicazioni popolari, a causa di un comportamento sempre più dispotico e stravagante Masaniello fu accusato di pazzia, tradito da una parte degli stessi rivoltosi ed assassinato all'età di ventisette anni.La famiglia di Masaniello era umile ma non poverissima. Il padre, Francesco (Cicco) d'Amalfi, era un pescatore e venditore al minuto. La madre, Antonia Gargano, incinta di Masaniello prima del matrimonio, era una massaia. Aveva due fratelli minori ed una sorella: Giovanni, che fu un altro capo della ribellione; Francesco, che morì durante l'infanzia; e Grazia. La casa dove visse si trovava tra la pietra del pesce, nel quartiere Pendino, dove avveniva la riscossione della gabella sui prodotti ittici, e Porta Nolana, dove invece avveniva quella del dazio sulla farina. Napoli era all'epoca, con circa 250.000 abitanti, una delle metropoli più popolose d'Europa; e piazza del Mercato, nei cui dintorni Masaniello trascorse tutta la sua vita, ne era il centro nevralgico.Nel corso degli anni quaranta del Seicento, la Spagna asburgica si trovava a dover affrontare una lunga serie di conflitti rovinosi: la rivolta dei Paesi Bassi (1568-1648), la guerra dei trent'anni (1618-1648), la sollevazione della Catalogna (1640-1659), e la secessione del Portogallo (1640-1668). Per sostenere lo sforzo bellico, il regno iberico impose una forte pressione fiscale al Vicereame di Napoli allo scopo di risanare le casse del suo enorme impero, il cui Siglo de Oro stava fatalmente volgendo al termine.in un'ottica europea, riaccesero la tradizionale contesa tra Spagna e Francia per il possesso della corona di Napoli.reperire un milione di ducati per finanziare la guerra contro la Francia.La vigilia di Natale, uscendo dalla Basilica del Carmine, il duca d'Arcos fu circondato da un gruppo di lazzari che gli estorse la promessa di abolire le tasse sugli alimenti di necessario consumo. Tornato a Palazzo Reale, il viceré fu però convinto dai nobili, ai quali era stata affidata la riscossione delle tasse, a non abolire la gabella sulla frutta Il popolo, sempre più provato dalla prepotenza dei gabellieri, attese invano per sei mesi l'abolizione dell'imposta. Alla situazione già esplosiva si aggiunse l'esempio della Sicilia, dove nel biennio 1646-1647 il malcontento popolare verso la forte tassazione provocò una serie di gravi tumulti cittadini. Il 24 agosto 1646, Messina fu la prima città siciliana sotto il dominio spagnolo ad insorgere contro le gabelle. Nel maggio dell'anno successivo scoppiarono poi i moti di Catania e Palermo, i cui buoni risultati contribuirono a spingere i popolani napoletani alla rivolta. Il 6 giugno 1647, alcuni popolani guidati da Masaniello e dal fratello Giovanni bruciarono i banchi del dazio a piazza del Mercato. Domenica 30 giugno, durante le prime celebrazioni per la festa della Madonna del Carmine, il giovane pescatore radunò un gruppo di lazzari vestiti da arabi ed armati di canne come lance, i cosiddetti alarbi, che durante la sfilata davanti al Palazzo Reale rivolsero ogni genere di imprecazione ai notabili spagnoli affacciati al balcone.La domenica seguente, il 7 luglio, dopo essere stati incoraggiati da Genoino, un gruppo di lazzari si riunì nei pressi di Sant'Eligio allo scopo di sostenere il cognato di Masaniello, il puteolano Maso Carrese, che capeggiava un gruppo di fruttivendoli decisi a non pagare la gabella sulla frutta. Per calmare gli animi fu chiamato l'eletto del popolo Andrea Naclerio che, nonostante il suo ruolo, si schierò dalla parte dei gabellieri. La zuffa che si scatenò tra Carrese e Naclerio fu la scintilla che scatenò la ribellione, Masaniello ed i suoi alarbi sollevarono la popolazione, ed al grido di: «Viva il re di Spagna, mora il malgoverno» la guidarono fino alla reggia dove, sbaragliati i soldati spagnoli ed i mercenari tedeschi di guardia, giunsero fino alle stanze della viceregina. Il duca d'Arcos, riuscito miracolosamente a salvarsi dall'aggressione di un popolano,si rifugiò nel Convento di San Luigi e da qui fece recapitare all'arcivescovo di Napoli, il cardinale Ascanio Filomarino, un messaggio in cui prometteva l'abolizione di tutte le imposte più gravose. Temendo ancora per la sua sorte, il viceré si spostò prima a Castel Sant'Elmo ed in fine a Castel Nuovo.Ottenuta l'abolizione di tutte le gabelle come voleva Masaniello, Genoino, che perseguiva un progetto rivoluzionario più ambizioso, chiese il riconoscimento di un vecchio privilegio concesso nel 1517 da Carlo V (popolarmente chiamato Colaquinto) al popolo napoletano. Il privilegio avrebbe dovuto sancire per il popolo una rappresentanza uguale a quella dei nobili, oltre alla riduzione ed equa ripartizione delle tasse tra le classi sociali. Nella notte tra il 7 e l'8 luglio furono puniti tutti coloro che erano ritenuti responsabili delle gabelle, primo fra tutti Girolamo Letizia, il colpevole dell'arresto della moglie di Masaniello, a cui fu bruciata la casa nei pressi di Portanova. Seguirono la stessa sorte diversi palazzi nobiliari, le case di ricchi mercanti e quelle di altri oppressori, tra cui quella di Andrea Naclerio. Furono poi dati alle fiamme tutti i registri delle imposte e liberati dalle prigioni tutti coloro che erano stati incarcerati per evasione o contrabbando.Ottenere i documenti chiesti da Genoino fu molto difficile: diverse volte il viceré ed i nobili sottoposero all'esame del vecchio prelato dei documenti falsi o inutili. Un tentativo fu fatto anche dal duca di Maddaloni Diomede Carafa che, una volta smascherato, fu costretto a scappare per salvarsi dalla furia dei popolani. La stessa sorte toccò a Gregorio Carafa, priore della Roccella. Il 9 luglio, mentre si aspettava la consegna del documento autentico, il giovane pescivendolo organizzò con successo la presa della Basilica di San Lorenzo e si impossessò di alcuni cannoni che erano custoditi nel chiostro. Finalmente una copia del privilegio autentico fu consegnata dagli spagnoli al cardinale Filomarino, che la consegnò a Masaniello, e quindi a Genoino. Il privilegio era in realtà stato concesso alla fedelissima città da Ferdinando il Cattolico, e poi confermato da suo nipote Carlo V nel 1517, al momento della sua investitura a Napoli da parte di papa Clemente VII. Il 10 luglio, la quarta giornata di rivolta, Masaniello si era procurato già molti nemici. Il duca di Maddaloni allo scopo di attentare alla sua vita fece introdurre trecento banditi nella Basilica del Carmine, ritrovo dei rivoltosi. I banditi in realtà, servendo la nobiltà ai danni dei più umili, erano molto più simili ai bravi manzoniani che a dei semplici fuorilegge.. La plebe allora si vendicò sul fratello del duca, don Giuseppe Carafa, che dopo essere stato ucciso fu decapitato affinché si potesse portare la sua testa in trionfo da Masaniello.Lo stesso giorno si addentrarono nel golfo di Napoli le galee spagnole di stanza a Genova agli ordini dell'ammiraglio Giannettino Doria. Temendo uno sbarco, Masaniello ordinò che la flotta stesse lontana almeno un miglio dalla terra ferma, costringendo l'ammiraglio Doria ad inviargli un messaggero per ottenere almeno la possibilità di fare scorta di viveri per gli equipaggi. Il messaggero supplicò il pescatore di Vico Rotto, a cui si rivolse chiamandolo «Sua Signoria illustrissima», di concedere vettovaglie alla flotta, e Masaniello accettò ordinando di provvedere alla richiesta con quattrocento palate (pezzi) di pane. Giovedì 11 luglio, dopo la ratifica dei capitoli del privilegio nella Basilica del Carmine da parte di un'assemblea popolare, Masaniello cavalcò tra le acclamazioni ed i festeggiamenti dei popolani, insieme al cardinale Filomarino ed al nuovo eletto del popolo Francesco Antonio Arpaja, fino a Palazzo Reale per incontrare il viceré. Alla presenza del duca d'Arcos, a causa di un improvviso malore, perse i sensi e svenne iniziando a manifestare i primi sintomi di quell'instabilità mentale che gli avrebbe poi procurato l'accusa di pazzia. Iniziò da questo momento a frequentare la corte spagnola e fu coperto di onori dai nobili e dallo stesso duca d'Arcos. I suoi abiti non erano più quelli di un pescivendolo ma quelli di un nobiluomo, e sotto la sua casa a Vico Rotto venne eretto un palco dal quale poteva legiferare a suo piacimento in nome del re di Spagna. Fu più volte ricevuto a Palazzo Reale con la moglie Bernardina, che si presentò come "viceregina delle popolane" alla duchessa d'Arcos e la sorella Grazia. La tradizione vuole che la presunta pazzia di Masaniello fu causata dalla roserpina, un potente allucinogeno somministratogli durante un banchetto nella reggia. Probabilmente il comportamento di Masaniello era improvvisamente mutato a causa dell'improvvisa ascesa al potere, e gli "atti di follia" che commise erano in realtà causati dall'incapacità di gestire grandi responsabilità di comando. Al culmine del potere i segni di squilibrio che manifestò furono numerosi: il lancio del coltello tra la folla; le interminabili galoppate; i tuffi notturni nel mare; e l'insistere nel progetto strampalato di trasformare piazza del Mercato in un porto, e di costruirvi un ponte per collegare Napoli alla Spagna Il 12 luglio iniziò inoltre ad ordinare diverse esecuzioni sommarie dei suoi oppositori, compresa quella di un bandito verso il quale Genoino gli chiese di essere clemente. Ormai il vecchio prete era consapevole di aver perso ogni influenza sul capopopolo e sulla rivoluzione. La popolazione cominciò a non vedere di buon occhio il fatto che un popolano pretendesse simile obbedienza e rispetto, ed iniziò a credere alle voci sulla pazzia del suo protettore. Cominciò anche a diffondersi la voce che Masaniello fosse un pederasta, e che intrattenesse una relazione omosessuale con il sedicenne Marco Vitale, suo amico e segretario. Il 13 luglio il viceré giurò solennemente sui capitoli del privilegio nel Duomo di Napoli: il popolo era alla fine riuscito ad imporre le proprie rivendicazioni al governo spagnolo. Questo successo, a cui Masaniello aveva contribuito più di tutti, non lo risparmiò dall'ostilità di alcuni suoi ex-compagni di lotta, tra cui Genoino che di nascosto tramava la sua eliminazione. Il 16 luglio, ricorrenza della Madonna del Carmine, affacciato da una finestra di casa sua, cercò inutilmente di difendersi dalle accuse di pazzia e tradimento che provenivano dalla strada. Il capopopolo, il cui fisico era ormai debilitato dalla malattia, accusò i suoi detrattori di ingratitudine e ricordandogli le condizioni in cui versavano prima della rivolta, pronunciò la frase rimasta proverbiale:«tu ti ricordi, popolo mio, come eri ridotto?».Sentendosi braccato cercò rifugio nella Basilica del Carmine, e qui, interrompendo la celebrazione della messa, pregò l'arcivescovo Filomarino di poter partecipare prima di morire, insieme a lui, al viceré ed alle altre autorità della città, alla tradizionale cavalcata in onore della Vergine. Poi salì sul pulpito per tenere il suo ultimo discorso: Dopo essersi spogliato ed essere stato deriso dai presenti fu invitato a calmarsi dall'arcivescovo e fatto accompagnare in una delle celle del convento. Qui venne raggiunto da alcuni capitani delle ottine corrotti dagli spagnoli: Carlo e Salvatore Catania, Andrea Rama, Andrea Cocozza e Michelangelo Ardizzone. Sentita la voce amica di quest'ultimo, Masaniello aprì la porta della cella e fu freddato con una serie di archibugiate. Il corpo fu decapitato, trascinato per le strade del Lavinaio, e gettato in un fosso tra Porta del Carmine e Porta Nolana vicino ai rifiuti, mentre la testa fu portata al viceré come prova della sua morte |