Lavinia era figlia del pittore manierista Prospero Fontana, nella cui bottega poté attingere, accanto agli insegnamenti del padre, ad una vasta gamma di esperienze pittoriche, sia emiliane (dal Parmigianino a Pellegrino Tibaldi) che venete (Veronese, Jacopo Bassano), lombarde (Sofonisba Anguissola) e toscane. Presso il padre poté anche frequentare i Carracci (Ludovico, Agostino e Annibale), poco più giovani, ma che non mancarono di influire su di lei. Si narra che, ricevuta dal pittore Giovan Paolo Zappi la richiesta di sposarlo, la già attempata (25 anni) Lavinia pose la condizione di poter continuare a dipingere. Zappi accettò la cosa, tanto che rinunciò in pratica a lavorare in proprio ed assunse il ruolo d'assistente della moglie. Lavinia Fontana acquistò ben presto, già a Bologna, fama come ritrattista, distinguendosi soprattutto per l'accuratezza dei particolari, come abbigliamento e acconciature, nelle figure femminili. Ma, a differenza di altre artiste, Lavinia non fu monocorde e nella sua opera si incontrano spesso anche soggetti mitologici, biblici e sacri. Le prime commesse pubbliche che ottenne furono, nel 1584, la Madonna Assunta di Ponte Santo e i santi Cassiano e Pier Crisologo (Imola, Palazzo comunale) e un dipinto dell'Assunzione della Vergine per una chiesa bolognese.
Ma i successi maggiori le giunsero a Roma dove fu chiamata, pare vincendo una certa sua riluttanza e grazie ai maneggi del marito, dal nuovo papa Gregorio XIII, suo conterraneo, e si trasferì stabilmente nel 1603. Grazie a tale alta protezione, Lavinia eseguì innumerevoli lavori per l'entourage della corte papale (nobiltà romana e rappresentanze diplomatiche) tanto da essere soprannominata «la Pontificia Pittrice». Lavinia aveva già eseguito nel 1599 il dipinto della Visione di san Giacinto per il titolo cardinalizio di Santa Sabina. E proprio nella Basilica di San Paolo fuori le mura poco dopo il suo arrivo a Roma dipinse una Lapidazione di Santo Stefano (1604), opera che le valse critiche per le sproporzioni delle figure umane e che andò perduta in un incendio nel 1823. Ma anche nella sede papale la maggior mole di lavoro che Lavinia Fontana riuscì a svolgere, nonostante il notevole peso delle incombenze domestiche (Lavinia partorì undici figli, di cui otto morirono prematuramente), riguarda i ritratti di diplomatici, personalità e, soprattutto, di nobildonne, tanto da far poi scrivere all'abate Luigi Lanzi che «divenne pittrice di Gregorio XIII; e più che da altri fu ambita dalle dame romane, le cui gale ritraea meglio che uomo del mondo». Continuò, comunque, a prodursi in altri soggetti, come la Minerva in atto di abbigliarsi (1613), oggi alla Galleria Borghese di Roma, in cui la dea vergine è sorpresa nuda nell'atto d'indossare il manto (quasi una Venere che indossi gli abiti di Minerva, come parrebbe suggerire Cupido che si gingilla con l'elmo) e guarda maliziosamente verso lo spettatore. Nell'ultimo periodo della sua vita Lavinia Fontana fu colta da una crisi mistica che nel 1613 la portò a ritirarsi in un monastero, assieme al marito. Morì a Roma nell'agosto dell'anno seguente.