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De: solidea (Mensaje original) |
Enviado: 21/12/2010 09:27 |
Liana Millu
autrice di memorie, romanzi e racconti.
Di famiglia ebrea, rimasta assai presto orfana di madre, crebbe con i nonni materni, in quanto il padre, capostazione, viveva lontano da casa.Manifestò un precoce interesse per il giornalismo e iniziò giovanissima a collaborare con il quotidiano livornese “Il Telegrafo”, sul quale firmava gli articoli come Millu, modificando il suo cognome originario, Millul. Ottenuto il diploma magistrale, nel 1937 iniziò a insegnare nelle scuole elementari nei pressi di Volterra, proseguendo l’attività giornalistica. Espulsa dall’insegnamento a seguito delle leggi razziali fasciste, si impiegò come istitutrice presso una famiglia ebrea fiorentina, fino a quando, nel 1940, si trasferì a Genova, dove esercitò vari mestieri, pur continuando a scrivere: con lo pseudonimo di Nàila - anagramma di “Liana” - pubblicò due racconti, Il collega e Monte Pio, sulla rivista “Settimo giorno”. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza italiana entrando nel gruppo clandestino denominato “Otto” (dal nome del fondatore, il neuropsichiatra Ottorino Balduzzi), gruppo che aveva il compito di mantenere i collegamenti tra i campi alleati, ossia tra gli inglesi, gli americani e i prigionieri inglesi provenienti dai Lager liberati. Recatasi a Venezia in missione da parte dell’organizzazione, vi fu arrestata per la delazione di un infiltrato; dopo essere passata per il campo di transito di Fossoli, fu deportata ad Auschwitz-Birkenau, poi trasferita a Ravensbrück e, di qui, al campo di Malkow, presso Stettino, per lavorare in una fabbrica di armamenti. Fu liberata nel maggio del 1945, dopo un anno di prigionia, e fece rientro in Italia nel mese di agosto. Riprese a insegnare nelle scuole elementari e si dedicò, fin dal suo ritorno dalla prigionia, a testimoniare l’esperienza della deportazione. Il suo libro Il fumo di Birkenau, che racconta le vicende di sei donne, sue compagne di prigionia a Birkenau, è del 1947 (Milano, La prora), stesso anno della prima edizione di Se questo è un uomo di Primo Levi, a cui è stata legata da grande amicizia. È stato da allora molte volte riedito, fino al 2005, dalla Giuntina di Firenze, e tradotto in molte lingue. In realtà il libro – come Millu stessa ha detto – iniziò a essere scritto nei giorni immediatamente successivi alla liberazione dal campo, in condizioni assai precarie, in attesa di fare ritorno in Italia. Al centro del romanzo I ponti di Schwerin, secondo libro di Liana Millu, uscito nel 1978 per l’editore Lalli di Poggibonsi e poi nuovamente nel 1994, la vicenda di Elmina, del suo rientro a casa dalla prigionia, ma anche delle sue esperienze di vita prima e dopo la deportazione. In una testimonianza resa a David Dambitsch, e pubblicata nel volume dello stesso Dambitsch, Millu ha parlato in questi termini del carattere autobiografico del romanzo: “Due cose mi hanno spinto a scrivere questo libro. In primo luogo il ritorno dal Lager. Ma altrettanto importante era per me la rappresentazione di una giovane donna che aveva vissuto settanta anni fa e che aveva un solo scopo: la realizzazione di se stessa. Era una scelta molto difficile e dura. Ero una femminista, senza conoscere nemmeno il significato della parola; infatti durante il fascismo non esisteva né la parola né la cosa cui essa si riferisce. Quando ero giovane avevo un solo scopo: diventare libera e indipendente. Ne Il fumo di Birkenau non sono propriamente presente, ma sono, come l’ha definito Primo Levi, un “occhio che osserva”; non sono dunque un personaggio esistente, ma solo osservante. I ponti di Schwerin è un testo che tratta della mia vita, della mia vita dopo il Lager, della mia vita come donna.“ Agli inizi degli anni ottanta, insieme con Rosario Fucile, dà alle stampe Dalla Liguria ai campi di sterminio, pubblicato dalla Regione Liguria e dall'Associazione nazionale ex deportati (ANED), associazione, questa, nella quale Liana Millu ha svolto un'intensa attività e ricoperto incarichi di responsabilità. Nel 1988 esce la raccolta di racconti La camicia di Josepha (Genova, ECIG). Il volumetto Dopo il fumo. Sono il n. A 5384 di Auschwitz-Birkenau è stato pubblicato nel 1990. Il suo diario - Tagebuch : il diario del ritorno dal lager (prefazione di Paolo De Benedetti; introduzione di Piero Stefani -Firenze, Giuntina, 2006 - ) è stato pubblicato dopo la morte, avvenuta nel febbraio del 2005. Postuma anche la pubblicazione di Campo di betulle: Shoah, l'ultima testimonianza di Liana Millu, curata dal giornalista Roberto Pettinaroli, con prefazione di Moni Ovadia e postfazione di Fernanda Contri.
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“La gente non credeva a quella crudeltà.
Oggi rischia di dimenticarsela”
Auschwitz, ricordi?
La testimonianza della scrittrice
“La gente non poteva capire cos’era il posto da cui venivamo e quello che abbiamo passato noi”. Al ritorno a casa da Auschwitz-Birkenau Liana Millu trovava difficoltà a farsi capire. Nonostante uscisse dall’esperienza traumatica della seconda guerra mondiale, la gente non riusciva a concepire l’esistenza di un universo tanto mostruoso quanto il sistema dei campi di concentramento nazisti. Non si credeva allora che un così orribile sterminio fosse potuto essere concepito, organizzato e soprattutto realizzato. Infatti, a quel momento era difficile percepire la vastità del fenomeno e solo anni più tardi ci si è resi conto delle reali dimensioni del crimine che era stato perpetrato contro l’umanità.
Una colonna di prigioniere
“La gente non poteva capire, così ho scritto questo libro”. Sono parole di Liana Millu, internata ad Auschwitz-Birkenau dopo essere stata arrestata quale partigiana ed identificata come ebrea.
È stata l’esigenza di “far capire” che l’ha spinta a scrivere un libro “Il fumo di Birkenau” che è stato tradotto in molti paesi tra cui Stati Uniti, Germania, Olanda, Francia, e che è diventato un classico della letteratura di testimonianza sui Lager tedeschi. In esso Liana Millu rievoca le esperienze e le sofferenze, sue e delle sue compagne, nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove hanno dovuto vivere e penare sotto un cielo che di giorno era sempre oscurato dal fumo e di notte era arrossato dai bagliori delle fiamme che divoravano esseri umani.
Da quando è tornata a casa dopo la liberazione Liana Millu ha sempre considerato suo dovere dare testimonianza e l’ha fatto con i suoi scritti, partecipando a dibattiti e conferenze, incontrando i giovani nelle scuole.
Oggi, a mezzo secolo di distanza, non è più il tempo dei dubbi, ma è subentrata l’assuefazione, l’indifferenza e talvolta persino un senso di fastidio verso il ricordo dei fatti di allora. In questo clima trovano spazio i cosiddetti “storici revisionisti” i quali possono perfino arrivare ad affermare che il genocidio nazista non è mai avvenuto, anzi che è un’invenzione degli ebrei e degli alleati. Così i naziskin possono sfilare esibendole loro croci uncinate e urlare il loro odio verso gli stranieri, gli ebrei e contro chiunque loro con aggradi senza suscitare particolare sdegno, anzi contando sull’indifferenza e persino sul consenso della “maggioranza silenziosa”. Gli atti di violenza razzista contro le persone e le abitazioni vengono tollerati, giudicati con indulgenza, e troppo presto dimenticati.
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