NOTTE SU BIRKENAU
Un’altra notte. Torvo, il cielo si chiude ancora
sul silenzio mortale volteggiando come un avvoltoio.
Simile ad una bestia acquattata, la luna cala sul campo —
pallida come un cadavere.
E come uno scudo abbandonato nella battaglia,
il blu Orione — fra le stelle perduto.
I trasporti ringhiano nell’oscurità
e fiammeggiano gli occhi del crematorio.
È umido, soffocante. Il sonno è una tomba.
Il mio respiro è un rantolo in gola.
Questo piede di piombo che m’opprime il petto
è il silenzio di tre milioni di morti.
Notte, notte senza fine. Nessuna alba.
I miei occhi sono avvelenati dal sonno.
La nebbia cala su Birkenau,
come il giudizio divino sul cadavere della terra.
Tadeusz Borowski, KL Auschwitz
27 gennaio del 1945 i carri armati sovietici entravano in un campo fortificato della cittadina polacca di Oswiecin (Auschwitz è il nome tedesco), mostrando al mondo il volto crudele e spietato del delirio nazista. Al di là del cancello con la scritta “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi) pochissimi sopravvissuti a testimoniare l’orrore del genocidio perpetrato, in quel lager come in altri, ai danni di un intero popolo.
Per ricordare quella data, che negli anni si è caricata di un enorme valore simbolico, da qualche anno l’Italia (come già in passato avevano fatto altre Nazioni Europee) ha deciso di istituire il “Giorno della Memoria“. Una data che, per dirla con le parole di Elena Loewenthal “non è infatti, un omaggio alle vittime, ma una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Non è la pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di persone hanno permesso che accadesse“.
Grazia