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De: primula46 (Mensaje original) |
Enviado: 23/02/2011 21:13 |
Alle radici del ritratto
Domenico Brusasorci, particolare del Suicidio di Cleopatra. Galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Cesena
La figura umana è il soggetto privilegiato di questo genere artistico e la resa dei tratti del volto ne costituisce l'elemento qualificante. Diverse e a volte opposte tra loro le soluzioni elaborate nel corso dei secoli. Il genere artistico del ritratto ha per tema la rappresentazione di una o più persone che divengono il soggetto privilegiato di cui l'artista, nella fase matura del genere, ricerca la somiglianza dei tratti fisici e l'individuazione del carattere morale, Il termine deriva dal latino re-traho che, letteralmente, significa "portare fuori", proprio perché l'intento è di fare emergere l'immagine più intima e più vera di chi è fatto oggetto dell'attenzione artistica.
Bassorilievo egizio che ritrae la regina Cleopatra, Louvre, Parigi. La grande differenza temporale fra le due opere, (la prima risale alla metà del cinquecento, la seconda databile tra il III e il I secolo a.C.) ci mostra i cambiamenti legati ai modi d’immaginare e ritrarre uno stesso soggetto nel corso dei secoli. Idealizzato nel caso di Brusasorci, stilizzato nel caso dell’ignoto artista egizio
Che si tratti di un disegno, di una pittura o di una scultura, il ritratto concentra, il più delle volte, la sua attenzione sulla raffigurazione del volto che costituisce l'elemento qualificante. Non di rado, nell'antica Roma, per motivi di rappresentanza, si usava "montare" la testa ritratta su un corpo ideale, come accade, per esempio, con il Ritratto dell'imperatore Claudio conservato a Napoli, dove un corpo atletico mal si combina con una testa da pensatore (il cosiddetto "ritratto ellenizzante". La vicenda del ritratto si è sviluppata tra due estremi, quello della rassomiglianza e quello dell'idealizzazione che si sono avvicendati secondo le diverse epoche storiche.
Kouros, Museo Archeologico, Atene. L’opera risale al VI secolo a.C. nell'arte greca arcaica venivano spesso realizzate statue che avevano per soggetto figure generiche, come quella del Kouros (ragazzo), per soddisfare esigenze votive o funerarie.
Alle origini, gli artisti non avevano la tecnica sufficiente per risolvere il problema della verosimiglianza e, allora, in genere, si ricorreva all'impiego di elementi esterni alla fisionomia, come iscrizioni o attributi iconografici. Un primissimo esempio in questo senso può essere individuato nel cosiddetto Cacciatore dalla testa di gallo, dipinto sulle pareti delle grotte di Lascaux tra il 15000 e il 10000 a.C. Qui non compare affatto alcun accenno fisionomico e la stilizzazione rende tutto l'insieme apparentemente generico; eppure la presenza della figura totemica del gallo ripetuto come copricapo del cacciatore, per la sua riconoscibilità, rende questo, probabilmente, il primo ritratto che sia mai stato concepito.
Particolare del gruppo statuario di Rahotep e sua moglie Nofret, Museo Egizio, Il Cairo. La statua, databile intorno al III millennio a.C., conserva ancora perfettamente i colori originali e si inquadra nel filone della ritrattistica celebrativa tipica dell' Antico Egitto.
La pittura, nonostante la sua resa rudimentale, infatti, corrisponde a quei criteri d'individuazione del soggetto che sono la vera caratteristica del ritratto. In altre parole, non si tratta di un cacciatore, ma di quel cacciatore. Per comprendere meglio, citeremo, a contrasto, le statuine in terracotta di produzione minoica dette a fi e a psi (i simboli non sono presenti nella mia tastiera e non sono in grado di riprodurli, ho scritto la loro pronuncia) che, nonostante la particolarità della forma, hanno un'impostazione seriale che è l'esatto contrario del ritratto, Per trovare di nuovo un'opera che possa definirsi "ritratto", dobbiamo aspettare l'antico Egitto, su cui torneremo tra breve, o l'ambito mesopotamico e sumero in particolare, ove nacquero, sia pure idealizzati, i ritratti di Gudea di Lagash.
Particolare del busto di Nefertiti, Museo Egizio, Berlino risalente al XIV secolo a.C. L‘accuratezza con cui è riprodotto il viso della giovane regina anticipa lo stile tipico degli artisti greci del V secolo.
Si crea, qui, una tipologia sempre uguale e ripetuta, che mostra questo governatore del XXII secolo a.C. dal volto calmo e dai capelli ordinati in una corona compatta che, nelle iscrizioni, vanta di aver costruito templi grandiosi per la felicità dei suoi sudditi. In ogni modo, il salto di qualità con il genere del ritratto, prima del miracolo greco, si deve all'antico Egitto. La statuaria egizia rappresenta sempre qualcuno e l'identificazione avviene attraverso il nome, i particolari dell'abito, gli atteggiamenti o anche la somiglianza fisica. Le statue vengono realizzate per trovare collocazione nelle tombe o per essere poste nei templi. Il ritratto assume una funzione magica quando nella tomba ha il compito di sostituirsi al defunto stesso, sicché viene collocato in un apposito spazio, chiamato sirdab, connesso con la sala del culto mediante una stretta fessura. La ritrattistica in particolare celebra la figura del faraone, e il problema della rassomiglianza fisica, specialmente durante l'Antico Regno, è tenuto in scarsa considerazione, a tal punto da impiegare statue di re precedenti per nuovi faraoni, cambiando soltanto il nome. Nel Medio Regno (2160-1765 a.C.) si fa strada la volontà di rendere l'individualità dei tratti fisionomici che pure rimangono idealizzati come nella statua di Sesostri III.
Ritratto di Pericle, Museo Archeologico, Atene. Lo statista ateniese viene raffigurato con in testa l'elmo anche per coprire la particolare prominenza del suo cranio.
Tuttavia, l'esempio di raffinatezza, eleganza e sintesi formale più alto, nella ritrattistica del Nuovo Regno, è rappresentato dal busto della regina Nefertiti (1359-1342 a.C.) conservato a Berlino, ove si notano i tratti caratteristici dello stile di quest'epoca: zigomi pronunciati, bocca carnosa e sensuale, mento definito, Si tratta di opere che anticipano fortemente quelle che saranno le abilità dei Greci del V secolo, perché, prima di questo periodo, con l'arte minoica si assiste, semmai, a ritratti indotti come quelli delle celebri maschere funerarie scoperte da Schliemann e da lui attribuite ad Agamennone e agli altri principi achei (XV secolo a.C.).
La maschera funeraria in oro di Agamennone, Museo Archeologico, Atene. L’opera è stata attribuita al re di Micene da Heinrich Schliemann, che la rinvenne nel 1876, ed è databile intorno al XV secolo a.C.
L'arte greca arcaica, invece, propone delle figure generiche che non possono essere definite ritratti, ma che mostrano tratti stereotipati con formule fisionomiche fisse, come quella del cosiddetto "sorriso eginetico", perché caratteristico della scuola scultorea di Egina (e siamo al VI secolo), che sono un passo indietro rispetto alla produzione egiziana precedente. Dunque, per poter apprezzare lo sforzo creativo verso il ritratto, bisognerà aspettare opere come il celebre Auriga di Delfi, la cui conformazione dell'orecchio, per nulla idealizzata, insieme alla particolare preponderanza della mandibola, lascia intendere che ci si trovi proprio dinanzi al ritratto dell’auriga che vinse la corsa per Polizalo, il fratello del tiranno di Siracusa, in un'epoca che oscilla fra il 490 e il 470 a.C. Il ritratto greco era un miracolo d'equilibrio fra idealizzazione e realtà fisionomica, come quello celeberrimo di Pericle, il cui elmo aveva sì una funzione celebrativa, ma pure il compito di nascondere la particolare prominenza del cranio dello statista greco.
Particolare della Battaglia di Alessandro contro Dario, Museo Archeologico, Napoli una delle poche testimonianze della ritrattistica pittorica del IV secolo a.c.
Con Alessandro Magno prima e il sistema statale dei principi ellenistici poi, si sviluppa il ritratto nella numismatica, nel quale i suoi eredi sfruttano l'effigie alessandrina per affermare la propria legittimità a governare. In precedenza, infatti, sulle facce delle monete si usava collocare il profilo di una divinità. Dobbiamo poi rammentare che, oltre a una produzione di ritratti in scultura, esisteva anche una ritrattistica pittorica che è andata completamente perduta, salvo rare eccezioni come il celebre mosaico della Battaglia di Alessandro contro Dario, ove compare il condottiero macedone. Così, il ritratto in età ellenistica vedrà l'intensificarsi della drammaticità espressiva che darà molto spazio al gioco psicologico e sentimentale dei singoli individui e influenzerà, in parte, la futura ritrattistica romana, specie quella di età repubblicana.
Testa in marmo di Aristotele, Museo Nazionale Romano, Roma.
Questa, infatti, affonda le radici nel mondo etrusco e si differenza da quella greca per la volontà di evitare l'idealizzazione dell'individuo. Se si esclude la produzione alta come il celebre sarcofago da Cerveteri conservato a Villa Giulia a Roma (V secolo a.C.), dove i due coniugi hanno un volto idealizzato e generico, i coperchi di urnetta cineraria come quella detta anche dei "vecchi coniugi" di Volterra (I secolo a.C.) sono fortemente caratterizzati e hanno una notevole carica espressiva. Del resto, l'attenzione alla fisionomia e agli atteggiamenti è già presente in quel pregevole ritratto che è il cosiddetto "Arringatore" (II secolo a.C.): l'opera nasce da una mescolanza di caratteri greci, autoctoni, ossia etruschi e romani che si pongono alla radice di quella che sarà la grande ritrattistica romana.
Testa in bronzo di Augusta, Museo Greco-Romano, Alessandria d'Egitto.
La tendenza al realismo nel ritratto romano prende piede nel periodo repubblicano, grazie anche all'uso di realizzare maschere funerarie di cera. Erede di quella etrusca e dell'Ellenismo, l'arte romana pone l'accento sulla resa della fisionomia e sulla capacità di penetrazione psicologica che caratterizza queste sculture, come i celebri ritratti di Mario e Silla.
Il sarcofago fittile di Cerveteri, che raffigura due sposi, Museo Nazionale Etrusco, Roma. L’opera risale al V secolo a.C. i coniugi hanno il volto idealizzato, contrariamente a molti altri ritratti eseguiti in epoca etrusca.
Tuttavia, non ci si fermerà soltanto alla ripresa di personaggi insigni, ma si estenderà l'attenzione anche a mercanti e patrizi romani che non disdegneranno di potersi ammirare in effigie. Condizione sufficiente per soddisfare il proprio narcisismo sarà quella della disponibilità economica. La produzione dei ritratti, che ci è nota soprattutto attraverso la scultura, era, però, impiegata anche per le esigenze di tipo funerario, come nel caso del triplice ritratto del cosiddetto Bruto Barberini. Come si vede, gli ambiti della ritrattistica romana sono assai vari, ma la nostra breve disamina non sarebbe completa se non ricordassimo la produzione ufficiale che celebra gli imperatori.
Molto più realistico il volto di donna (qui un particolare), databile intorno al IV secolo a.c., Louvre, Parigi. in cui pregi e difetti della protagonista vengono resi senza alcuna stilizzazione.
L'impiego del ritratto imperiale va dal monumento equestre, come quello di Marco Aurelio, a quelli "di situazione" che compaiono nella colonna coclide dello stesso Marco Aurelio e di Traiano (98-117 d.C.), apice dell'arte romana, fino alla rappresentazione in veste di divinità, come per esempio il Ritratto di Commodo come Ercole.
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Davvero un bellissimo ed interessantissimo post...
Complimenti... Grazia... |
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Uno dei cosiddetti ritratti del Fayyum, eseguiti su tavolette lignee tra il I e il II secolo d. C.: i tratti del viso dell'anonima figura femminile sono tutt'altro che idealizzati, anzi vengono resi con un certo realismo.
Il ritratto nel Medioevo E’la ritrattistica romana di tipo funerario la prima a passare il testimone alla neonata arte cristiana, anche se non possiamo tacere di quell'ampia documentazione proveniente dal Fayyum, in Egitto, che costituisce un fenomeno artistico a sé stante che permette di farci un'idea di come doveva essere la ritrattistica dipinta dell'epoca. Grazie al clima secco del deserto, infatti, si sono conservate le tavolette lignee del I e II secolo d.C., con i ritratti a encausto che completavano e corredavano le mummie d'età romana. L'arte dei sarcofagi che influisce sul nascente cristianesimo è, in principio, quella dell'età dei Flavi che poi si evolve in tipologie se non rinnovate, certo adattate alle nuove esigenze religiose, le quali vivono la necessità di perpetuare il ritratto del defunto. Non è certo qui il caso di entrare nello specifico, ma basterà ricordare un paio d'esempi, come il Sarcofago d'Isacco conservato presso il Museo Lateranense, oppure il Sarcofago dei due fratelli che mostra addirittura come la primitiva destinazione femminile fosse poi stata modificata in corso d'opera per committenti maschili: gli artigiani si adattarono a cambiare tratti fisionomici alle effigi scolpite, tralasciando di modificare in maniera adeguata la foggia dell'abbigliamento.
Il mosaico dell'arco trionfale (VI secolo) che si trova nel presbiterio della basilica di San Lorenzo fuori le mura, a Roma. Papa Pelagio II, committente dell'opera, è rappresentato (primo a sinistra) più piccolo del Cristo e dei santi, per rispetto della gerarchia morale.
Verso la stilizzazione
La diffusione del pensiero e della religiosità cristiane, contribuirono a modificare fortemente l'impostazione del ritratto che fu uno dei temi più influenzati dall'irrigidimento della forma e dal processo di stilizzazione e semplificazione che investì, in genere, l'arte tardoantica e quella dell'Alto Medioevo, come dimostrano già alcune opere del tardo impero, I Tetrarchi (IV secolo d.C.) di porfido collocati a Venezia (San Marco), quasi negazione del concetto di ritratto, mostrano nella ripetizione degli stereotipi l'immagine dell'unità dello Stato e l'intercambiabilità degli individui rispetto all'impero. Certo, quello dei Tetrarchi è un caso particolare, che non ritroviamo in opere di poco più tarde come la valva d'avorio del dittico di Stilicone (395 d.C.) che rappresenta la moglie Serena e il figlio Eucherio, dove la fisionomia è rispettata. Bisogna, poi, ricordare che l'abitudine di utilizzare tavolette d'avorio per suggellare il conferimento di cariche più o meno pubbliche, si perpetuò anche nel tardo impero, quando l'irrigidimento della forma divenne fenomeno che si perpetuò e si accentuò in maniera sempre più marcata, come dimostra, per esempio, il dittico eburneo di Flavio Boezio, databile al 487. Il ritratto del padre di Severino Boezio, rivela una scelta semplificatoria dei tratti della figura e del volto, che è stato interpretato in maniera non univoca dagli storici dell'arte. Per alcuni si tratta dell'influsso della cultura barbarica d'Oltralpe, che paralizza l'indirizzo della classicità fino ad allora trionfante; del resto Boezio padre era patrizio sotto Odoacre. Per altri si tratta di una scelta che rivèla l'emergere di quel substrato culturale artistico che doveva costituire il vero volto dell'espressività italica (subantico), emerso una volta lacerata la "pellicola" della classicità, imposta dalla cultura dominante romana. In un caso o nell'altro, è certo che il ritratto si mostri come il punto più sensibile di questa complessa vicenda.
I Tetrarchi di porfido della basilica di San Marco a Venezia, risalenti al IV secolo e dalla fisionomia volutamente stereotipata.
L'influenza bizantina
Del resto, la contaminazione con l'arte bizantina, inevitabile dopo la conquista di larga parte della Penisola da parte delle truppe di Belisario, se da una parte perpetua la fissità ieratica dei volti di Giustiniano e Teodora nei celebri mosaici di San Vitale a Ravenna, dall'altra permette il recupero di un'impostazione classicista come dimostra, per esempio, il celebre Avorio Barberini conservato al Louvre, dove il ritratto equestre di Giustiniano recupera schemi e parametri che erano stati della classicità più piena. Il filone classicista, sia pure compresso all'interno della nuova espressività di contaminazione subantica e popolaresca (per non dire barbarica), riemergerà come un fiume carsico, condizionando di volta in volta la ritrattistica aulica la quale si avvantaggia di precise formule di riconoscimento più che di una ricerca fisionomica vera e propria. È quanto accade con i ritratti di Carlo Magno disseminati in codici e manufatti che vanno fino alla celebre statuetta equestre conservata ad Aquisgrana dove il modello da seguire è, al solito, quello del Marco Aurelio romano. Allo stesso modo, il ritratto dell'imperatore tedesco, sui Vangeli di Ottone III, conservati nella Biblioteca di Monaco, lascia intuire come sia proprio l'apparato iconografico che determina l'inequivocabile riconoscimento del personaggio e non la capacità imitativa della fisionomia.
Guglielmo il normanno offre la chiesa alla Vergine, particolare del mosaico nel duomo di Monreale, del XII secolo. Il personaggio ritratto è immediatamente riconoscibile grazie al suo abbigliamento imperiale e alla presenza della corona.
Alla base di questa scelta c'è una difficoltà tecnica che viene aggirata facilmente grazie a segni convenzionali di riconoscimento che possono arrivare fino alla scritta vera e propria del nome. È il caso dell'immenso crocifisso di Ariberto d'Intimiano, il vescovo di Milano famoso per essersi opposto al Barbarossa e aver coalizzato intorno alla propria figura la Lega lombarda. Bene, alla base di questo crocifisso di metallo, sotto gli enormi piedi del Salvatore, c'è una figuretta a sbalzo dorato che è lo stesso vescovo committente. Ricurvo, ripreso nell'atto di offrire la chiesa di San Oionigi, il prelato non sarebbe identificabile se non ci fosse vicino la scritta «Aribertus Indignus Archiepiscopus». In altri casi è il contesto e l'abbigliamento che rendono facile il riconoscimento del personaggio ritratto, così come accade, per esempio, nel duomo di Monreale, dove Guglielmo Il indossa una veste e una corona che, al di là della scritta, lo rendono immediatamente identificabile.
La Vergine con il Bambino, mosaico databile tra il IX e il XII, conservato nella chiesa di Santa Sofia, a Istanbul. Anche in quest'opera le immagini si stagliano su uno sfondo dorato e nonostante le figure reali siano ritratte senza un particolare studio sulla fisionomia sono chiaramente identificabili, grazie alla presenza di scritte e alle loro caratteristiche vesti.
In particolare l'abbigliamento, derivato dalla tradizione bizantina, con la lunga striscia di cuoio e pietre preziose (loros), esclusivo appannaggio dei sovrani, rende impossibile qualsiasi errore d'identificazione, a prescindere dalle scritte. Uno di questi mosaici, infatti, rappresenta proprio Guglielmo Il in atto di ricevere la corona da Cristo e di offrire il modellino della chiesa alla Vergine.
Un particolare dell'affresco Il Giudizio universale, realizzato da Giotto nella cappella degli Scrovegni (Padova), nei primi anni del XIV secolo. Enrico degli Scrovegni, committente di quest'opera caratterizzata da uno studio sui colori e sui corpi innovativo per l'epoca, viene raffigurato nell'atto simbolico di donazione della cappella alla Madonna.
L’opera, di chiaro intento celebrativo, secondo i dettami classici dell'arte bizantina, raffigura Ottone III di Sassonia, morto nel 1002 a Castel Paterno, nell'alto Lazio, quando aveva poco più di vent'anni.
Una nuova ricerca espressiva Una maggiore attenzione alla resa dei tratti fisionomici, preludio alla svolta rinascimentale, possiamo apprezzarla, in generale, nella scultura fiorita sotto il regno di Federico Il e, in particolare per quel che riguarda il ritratto, nel busto del sovrano (1230 ca.), conservato al Museo di Barletta, che, sebbene sia in pessime condizioni, lascia ampiamente intuire lo sforzo di un'imitazione fisionomica motivata dalla volontà di rifarsi a precisi modelli classici. L’ambizione di Federico II, infatti, fu quella di recuperare l'immagine imperiale romana e di rinnovarla nel presente, come preciso paradigma politico oltre che artistico. Del resto, l'attenzione al modello imperiale romano non era soltanto appannaggio di sovrani, per così dire "laici" come Federico II, ma affiorava anche dalle scelte dei pontefici, come per esempio Bonifacio VIII che volle farsi ritrarre da Arnolfo di Cambio nella statua frammentaria a fianco del sacello funebre demolito nel 1605 che si trovava nel vecchio San Pietro Vaticano. Il valore dell'opera, tuttora esistente, oltre a quello devozionale, significava una presenza perenne, come il simulacro dell'imperatore al centro della città Come si vede, una delle principali ragioni del ritratto continuava a essere quella di perpetuare i volti del sovrano o del pontefice che in quel momento rappresentavano il potere temporale e spirituale.
Una delle 57 miniature che compongono l'Evangelario di Bamberg, conservato nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera.
Tuttavia, il ritratto serviva anche a immortalare i committenti, come nel caso di Enrico Scrovegni, dipinto da Giotto nella cappella dell'Arena a Padova, oppure le gesta di un condottiero, come il celeberrimo Guidoriccio da Fogliano che Simone Martini celebra nel suo affresco per il vittorioso assedio di Montemassi del 1328. Infine, anche con il ritratto medievale, si poteva collocare questo o quel personaggio nei panni non più di divinità pagana, ma di figure bibliche o evangeliche, come nel Dittico Wilton dove i tre sovrani d'Inghilterra Edoardo il Confessore, Edmondo e Riccardo II, il committente, alludono alla funzione di novelli Magi.
Teodora e la sua corte 546-547 SAN VITALE, RAVENNA - Anonimo IL RITRATTO mostra Teodora adorna della corona e di preziosi monili. Per conferire maggiore solennità alla figura, il mosaicistaha stagliato la sua immagine contro la nicchia definita "della glorificazione".
LA BASILICA DI SAN VITALE fu solennemente inaugurata nel 547 in assenza degli imperatori, la cui presenza è evocata invece dalla realizzazione dei mosaici, che si trovano nei riquadri ai lati dell'abside. Queste opere avevano la funzione di testimoniare il possesso imperiale sull'edificio in questione e quindi sui territori conquistati. I modelli, messi in opera da maestranze ravennati, venivano direttamente da Bisanzio. La scena mostra la sovrana e il suo corteggio nel momento in cui si accingono a varcare la porta che conduce al matroneo da dove assisteranno alla Santa Messa. Il mosaico che fa da pendant con quello di Giustiniano imperatore di Bisanzio, celebra l'imperatrice, consorte del sovrano. Quest'ultimo, dopo la sanguinosa guerra greco-gotica, in seguito alla quale aveva riconquistato buona parte dell'Italia, individuò in Ravenna la nuova capitale dell'Impero.
l'ELABORATO COPRICAPO è un elemento di distinzione di una delle dame che accompagnano l’imperatrice, la moglie del generale Belisario, artefice della vittoria nel territorio italiano.
IL CORTEO che segue l'imperatrice e le dame di corte è composto da esponenti femminili della nobiltà locale, schieratasi dalla parte di Giustiniano. Il mosaico rappresenta, in questo senso, una forma di ringraziamento per aver ricostituito l'antico Impero Romano.
Continua…
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