Fu la figura più importante della Resistenza in Piemonte. Figlio di Tancredi e di Alice Schanzer, studiosa e poetessa di origini austriache, gli vennero imposti i nomi di Tancredi, Achille, Giuseppe, Olimpio, ma per tutta la vita sarebbe stato, appunto, Duccio. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a Torino, esercitò l’attività di avvocato e continuò a svolgere studi inerenti a problemi giuridici. Quando giunse il momento della chiamata obbligatoria alle armi, decise di svolgere il servizio di leva come soldato semplice, perché per poter frequentare il corso di allievo ufficiale avrebbe dovuto iscriversi al partito fascista. Mazziniano fervente, negli anni tra il 1940 e il 1942 tentò di organizzare gli antifascisti cuneensi. Nel 1942 fu tra gli organizzatori del Partito d'azione nella sua città, raccogliendo attorno a sé personaggi di antiche convinzioni democratiche e un gruppo di giovani maturati agli ideali dell'antifascismo. Galimberti venne clamorosamente allo scoperto dopo la destituzione di Mussolini: il 26 luglio del 1943 si affacciò alla finestra del suo studio che dava sulla Piazza Vittorio (divenuta negli anni successivi piazza Galimberti in suo onore) e arringò la folla. Intervenne la polizia fascista e le persone accorse ad ascoltarlo vennero disperse a colpi di manganello. Nello stesso giorno parlò in un comizio a Torino. Gridò: «Sì, la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista!». Queste frasi gli causarono subito un mandato di cattura delle autorità badogliane, che fu revocato soltanto tre settimane dopo. L’8 settembre lo Studio Galimberti a Cuneo si trasformò in centro operativo per l’organizzazione della lotta armata popolare, dopo che Galimberti non riuscì a convincere il Comando militare di Cuneo ad opporsi in armi all’avanzata dell’esercito tedesco che stava calando dal Brennero in tutta la penisola. Tre giorni dopo Duccio, con altri dieci amici si recò in Valle Gesso, dove costituì il primo nucleo della banda partigiana Italia Libera. Duccio dimostrò rilevanti capacità di organizzazione e conduzione della lotta partigiana. Egli si occupava tra l’altro del reclutamento di nuovi partigiani vagliando la validità "morale" dei nuovi arrivati. L’umanità di Galimberti traspariva dal suo tratto, dal suo sorriso, dalla sua saggezza, ed anche dal suo disagio di fronte alle crudeltà, quali erano le rappresaglie ritenute indispensabili sui tedeschi e i fascisti che avessero infierito sulla popolazione civile. Quando il 13 gennaio 1944 i tedeschi investirono in forze la posizione di San Matteo, furono contrastati dalla tattica elastica dei partigiani, i quali riuscirono a far fallire il loro piano. Nel gennaio del 1944 Galimberti venne ferito durante un rastrellamento e curato sommariamente da una dottoressa, ebrea polacca, sfuggita ai nazisti e riparata tra i partigiani. La gravità delle ferite lo costrinse ad andare all’Ospedale di Canale. Dopo un periodo di cure trascorso in un rifugio nelle Langhe, venne nominato comandante di tutte le formazioni Giustizia e Libertà del Piemonte e loro rappresentante nel Comitato militare regionale. Si trasferì a Torino dove iniziò ad esercitare l’incarico della direzione militare regionale. Galimberti cominciò in tal modo un'opera incessante e rischiosissima di organizzazione, entrando a far parte dei Comando regionale dei Corpo volontari della libertà. In seguito ad una delazione, venne arrestato il 28 novembre 1944, in una panetteria di Torino che era il recapito del Comando partigiano. I frenetici tentativi delle forze della Resistenza di operare uno scambio di prigionieri con i tedeschi furono inutili: Galimberti era una figura importantissima per i partigiani resistenti e, per i nazisti e i fascisti, una preda troppo ambita per lasciarla sfuggire. Quattro giorni più tardi, nel pomeriggio del 2 dicembre, un gruppo di fascisti dell’Ufficio politico di Cuneo andò a Torino per prelevarlo dal carcere. Fu trasportato nella caserma delle brigate nere di Cuneo: qui Galimberti venne sottoposto a interrogatorio e ridotto in fin di vita dalle sevizie, ma nonostante questo i fascisti non riuscirono ad ottenere alcuna informazione riguardante le formazioni partigiane della montagna cuneese. Il mattino del 4 dicembre, fu caricato su un camioncino e trasportato nei pressi di Centallo dove venne ucciso con una raffica di mitra alla schiena.