Dotato di grande tecnica, fu il maggior pittore fiorentino del Seicento e godette di fama straordinaria già in vita. Carlo Dolci nacque il 25 maggio 1616, quintogenito di Andrea, «sarto molto onorato » e da Agnese Marinari, figlia e sorella di pittori. Suo padre morì nel 1620, lasciando la famiglia in gravi ristrettezze: fu così che Carlo, che aveva già appreso dal nonno materno e dal fratello maggiore le prime nozioni di pittura, «dando segno di genio», nel 1625 fu raccomandato dalla madre alla bottega di Jacopo Vignali, già allievo di Matteo Rosselli. All'età di undici anni avrebbe dipinto «per la prima volta una testa di Gesù fanciullo: ed un San Giovannino, figura intiera: dopo il quale, sopra carta mesticata ritrasse Agnesa sua madre, che la portò a vedere al maestro, ove fra altri gentiluomini si tratteneva bene spesso Pietro de' Medici, amicissimo dell'arte, e che operava in pittura; onde gli fece venire voglia di farsi fare da Carlino, che cosi' per vezzi era da tutti chiamato, il proprio ritratto: e quello di Antonio Landini, musico celebre, e suo amico. Questi ritratti, insieme col pittore stesso, furono da Pietro de' Medici fatti vedere alla gloriosa memoria del Duca di Ghisa che allora si trovava nel palazzo Serenissimo, che il tutto osservò con gusto e con meraviglia insieme: poi con quella liberalità e bontà, che fu sua solita, si trasse di tasca tre belle doble, e le donò al fanciullo: e non contento di questo, lo condusse dal Serenissimo Granduca, che volle subito vederlo abbozzare due teste; e Io rimandò con un regalo di dieci piastre nuove». Fra i suoi primi dipinti, un San Francesco in contemplazione del Crocifisso, opera di religiosità intensa. Egualmente frutto della precocità del Dolci quindicenne è il Ritratto di Stefano della Bella in giubbone trinciato e collare a lattughe: Se in generale questo dipinto ricorda i ritratti di Cristofano Allori che gli erano certamente noti, ma il Dolci «aggiunse un fascino assente nei ritratti dell'Allori, accoppiando un'acutezza psicologica inimmaginabile in un ragazzo di quindici anni. Il suo gusto per la precisa riproduzione dei dettagli si conferma nel Ritratto di Ainolfo de' Bardi, del 1632. Narra il Baldinucci, l'erudito fiorentino cui si deve la più importante biografia del Dolci, che egli conobbe, che già giovanissimo Carlo aveva preso a frequentare la «Compagnia di San Benedetto, nella quale crescendo ogni di più nella devozione, aveva fatto un molto fermo proponimento di non mai in vita sua voler altro dipignere che Sacre Immagini. E infatti il Dolci fu pittore così castigato da non rappresentare mai nudi. L' Adorazione dei Magi commissionatagli dal figlio di Cosimo II. Alla fine degli anni Trenta dovrebbero risalire i «quattro ottagonali co' quattro Evangelisti, fatti da Carlo ne' primi tempi per un suo confessore, per non più di cinque scudi l'uno. Essi sono stati individuati nel San Matteo del Getty Museum, nel San Giovanni di Berlino, dove pervenne nel 1818, e in due altre collezioni private. Il Dolci vi conferma il costante carattere ritrattistico dei volti. Ormai maestro affermato, aprì un proprio studio a Firenze presso Casa Zuccari e nel 1648 fu ammesso all'Accademia del Disegno per la quale, come d'usanza, donò una propria opera, il Ritratto del Beato Angelico, ricavata dal bassorilievo che copre la tomba del pittore nella chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva. Il Dolci, ottimo ritrattista ma di scarse capacità compositive, era uso rifarsi ad opere altrui per allestire dipinti complessi. Il suo Cristo alla mensa del Fariseo, del 1649 - oggi nella collezione Methuen di Corsham Court fu pagato da Antonio Lorenzi, suo medico, soltanto 160 scudi, mentre il marchese Filippo Niocolini giunse a offrirne 1.200. Gli ordinativi cominciarono ad arrivare da tutta Firenze, dalla corte granducale, dal resto d'Italia e d'Europa. I principi Poniatowski si fermarono appositamente a Firenze per commissionargli una serie di opere . Sposò, nel 1654, Teresa Bucherelli: racconta il Baldinucci, la mattina della celebrazione del matrimonio, il pittore non si faceva trovare. «Si cerca e si ricerca Carlino ed alla compagnia ed alla casa, e per diverse chiese, e Carlino non si trova: e finalmente essendo vicinissima l'ora del desinare, chi con non poca speranza di più trovarlo il cercava, nella Chiesa della Santissima Nunziata lo ritrovò nella cappella del Crocifisso de' morti ben rincattucciato in atto di orazione». Ebbero otto figli: sette figlie - alcune monache - e un solo figlio maschio, Andrea, che si fece prete. Per committenti veneziani fece diversi quadri, tra i quali il Gesù bambino che replicò più volte, e una versione fu fatta per l'imperatrice Claudia Felicita, figlia di Ferdinando Carlo e di Anna de' Medici. Per l'occasione delle nozze di costei con Leopoldo il Dolci, in quanto «pittore d'alta riga», fu invitato a farne il ritratto, essendo il ritrattista degli Asburgo, Giusto Sustermans, ormai troppo avanti negli anni. Dovette intervenire il nobile fiorentino fra' Cesario Larioni, suo confessore, a comandargli il viaggio a Innsbruck al quale il Dolci, che non era fin allora mai uscito da Firenze, si sarebbe molto volentieri sottratto a causa della sua innata timidezza. Partito il 5 aprile 1673, fu introdotto il giorno prima di Pasqua dinnanzi alla prossima imperatrice. Dopo le feste pasquali, fece due ritratti di Claudia Felicita, uno dei quali in veste di Galla Placidia, un San Filippo Neri per il cortigiano abate Viviani e restaurò diverse tele della quadreria imperiale finché, ben ricompensato con denaro e gioielli, ripartì il 25 agosto per Firenze, dove giunse l'8 settembre 1673. Fu la prima e ultima volta che Dolci usci' dalle mura di Firenze. Il viaggio comunque, sebbene un successo da un punto di vista artistico, ebbe postumi traumatici per Dolci che entro' in una specie di blocco del pittore, aggravato da una serie di problemi familiari. Si affaticavano i suoi più teneri amici di ritirarlo da quei pensieri, che persuadevano a credere di aver ormai perduta ogni abilità, né esser più buono da nulla; e questo gli era di tanto maggiore affanno, quanto che egli si vedeva già carico di sette figliuole fanciulle; né poca gravezza apportava alla sua tormentata fantasia, il vedere la sua moglie per la fatica, a cui l' obbligava la cura di sua persona di dì e di notte in quel frangente, ridotta a pessimo stato di sanità, fino a partorirgli un figliuolo maschio fuori di tempo. Domenico Baldinotti al quale egli pure aveva insegnato a disegnare, essendosela intesa col Padre Ilarione suo Confessore, si portò un giorno insieme con esso alla sua casa: il Baldinotti diede di mano a una tavotozza, vi accomodo' sopra i colori, messe all' ordine bacchetta e pennelli, e poi fece dar fuoco al pezzo grosso, e questo fu, che il Religioso si messe io posto, gli comandò per obbedienza il mettersi a finire un velo ad una delle due Immagini di Maria Vergine gloriosissima, che egli aveva già condotte, una per la Serenissima Granduchessa Vittoria e l' altra per Filippo Franceschi, ricco cavaliere Fiorentino. Obbedì il pittore; ed il lavoro riuscì sì bene, che in un subito si dileguò in lui la forte apprensione di aver perduta ogni abilità nell' arte. Riprese dunque la sua attività artistica e le commissioni tornarono a piovere sulla sua bottega. Cadde di nuovo in depressione acuita dall' età avanzata e dagli acciacchi fisici. A nulla valsero gli espedienti già usati in precedenza per farlo uscire dalla crisi che si aggravò ulteriormente l' anno successivo con la morte della moglie. Dolci si pose a letto e non si riprese più. È sepolto nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze. |